La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25341/2015 risponde al quesito se il danneggiato, a seguito di incidente stradale, che ritenga non congrua la liquidazione del danno effettuata dal giudice di primo grado possa chiedere una quantificazione maggiore in sede di impugnazione.
Il caso è il seguente: a seguito di un sinistro mortale i familiari della vittima - la moglie, anche per il figlio minore, e le sorelle - convenivano in giudizio per il risarcimento dei danni il conducente, la proprietaria e l'assicuratrice del veicolo investitore, le Generali Assicurazioni s.p.a.; in corso di causa decedeva la moglie della vittima.
Il Tribunale liquidava in primo grado, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di 174.320,00 Euro in favore del figlio minore (di cui Euro 84.350,00 iure proprio ed Euro 89.970,00 iure hereditatis) e quella di Euro 20.000,00 a ciascuna delle sorelle della vittima; la Corte di Appello adita rigettava l'impugnazione degli eredi nella parte in cui era stato richiesto un incremento dell'importo liquidato a titolo di danno non patrimoniale.
Infatti, per la Corte territoriale, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale "vanno applicate le tabelle del Tribunale di Milano", ma che, "ex art, 345 c.p.c. non è ammissibile, come richiesto in questo grado dall'appellante, l'incremento del risarcimento oltre l'importo indicato nell'originario atto di citazione".
L'erede ricorre in Cassazione avverso la sentenza di secondo grado, lamentando la "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. nonché "vizio di motivazione sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, per avere la Corte d'Appello liquidato il danno non patrimoniale in maniera assolutamente inadeguata..”; infatti il giudice di appello, pur avendo ritenuto applicabili le tabelle milanesi vigenti nell'anno 2011 (che prevedevano, per la perdita del marito o del padre convivente, un risarcimento compreso fra 154.350,00 e 308.700,00) nella sentenza aveva liquidato importi molto inferiori (di 77.468,50 Euro in favore del figlio e di 92.962,20 Euro in favore della moglie) sulla base dell'erroneo presupposto che non sarebbe possibile richiedere in grado di appello un importo superiore a quello indicato nell'originario atto di citazione.
Per il ricorrente, una diversa quantificazione della pretesa non da ingresso ad una domanda nuova e non viola, pertanto, l'art. 345 c.p.c. tanto più che il giudice può fare ricorso all'applicazione di nuove tabelle nel frattempo intervenute indipendentemente dalla sollecitazione della parte.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, accoglie le ragioni del ricorrente alla stregua di un consolidato principio di legittimità secondo cui "la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i suoi fatti costitutivi, non comporta prospettazione di una nuova "causa petendi" in aggiunta a quella dedotta in primo grado e, pertanto, non da luogo ad una domanda nuova, come tale inammissibile in appello....cosicché, "in tema di risarcimento danni la circostanza che l'attore, nel domandare il ristoro del danno patito, dopo aver quantificato nell'atto di citazione la propria pretesa, all'udienza di precisazione delle conclusioni domandi la condanna del convenuto al pagamento di una somma maggiore, al fine di tenere conto dei nuovi criteri standard di risarcimento (c.d. "tabelle") adottati dal tribunale al momento della decisione, non costituisce mutamento inammissibile della domanda, sempre che attraverso tale mutamento non si introducano nel giudizio fatti nuovi o nuovi temi di indagine".
Nel caso in esame, conclude la Corte, non sono stati introdotti nuovi temi di indagine, ma è stato richiesto un importo adeguato ai più aggiornati parametri tabellari, per cui deve escludersi che la variazione puramente quantitativa del petitum abbia comportato l'introduzione di una domanda nuova e pertanto la sentenza deve essere cassata nella parte in cui ha ritenuto di non potere superare il limite economico segnato dalle conclusioni prese nell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.
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