La riforma del condominio ha davvero sdoganato la libera detenzione di animali domestici all’interno del condominio?
Lunedi 17 Marzo 2025 |
La risposta non può che essere una. Le norme di un regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Così recita l’art.1138 c.c. ultimo comma come implementato dalla legge n.220/2012. Una disposizione, quella codicistica, che avrebbe cementato quel rapporto uomo-animale già ampiamente valorizzato da fonti nazionali e sovranazionali.
A nulla rilevando, come afferma recente giurisprudenza di merito (si veda tra le più recenti; Trib. Cagliari, sent.134/2025; Corte appello di Bologna, sent. 766/2024), che una disapplicazione automatica di una norma regolamentare che impone il divieto di animali all’interno delle proprietà esclusive sarebbe lesiva del diritto degli altri condomini all’osservanza di un regolamento (e di una sua norma) che, oltre ad essere stato voluto dagli originari redattori (costruttore), può aver costituito riferimento per coloro – i successivi acquirenti – che non volessero o finanche potessero convivere con gli animali. Giuridicamente parlando, non un problema di poco conto.
Ma è davvero così? L’evoluzione del rapporto uomo-animale (qui da intendersi però limitata al cane o gatto) può finanche spiegare effetti inficianti il principio, pure codicistico, della autonomia contrattuale (art.1322) e della relatività degli effetti contrattuali (art.1372) c.c.? Senza nulla togliere, anzi riconoscendo questa maggiore sensibilità verso gli animali (forse solo verso alcuni), è così dirompente da neutralizzare principi giuridici codificati?
A mio modo di vedere una simile interpretazione deve fare i conti con una serie di considerazioni. La prima, e più banale, è quella che non tutti gli umani hanno empatia per gli animali. Alcuni ne possono avere finanche timore. Magari per alcune tipologie di cani. Forse temendo l’ignoranza o l'incapacità di gestire il proprio cane da parte di non pochi. Davvero non se ne deve tenere conto? La seconda, meno banale. Quell’evoluto rapporto uomo -animale pare non abbracciare i cani di allerta medica come anche i cani accompagnatori di persone affette da disabilità (ovviamente quando all’esterno delle realtà condominiali). Una importante novità si deve comunque registrare perché a breve dovrebbe essere estesa la gratuità del trasporto dei cani guida dei ciechi sui mezzi di trasporto pubblico anche a tutti i cani di assistenza.
Una terza considerazione riguarda il fatto che chi loca un appartamento può comunque impedire al conduttore di condividere quell’appartamento con il proprio compagno non umano. In questo caso l’evoluzione del rapporto uomo-animale non penetra all’interno del rapporto contrattuale.
Salvo volere affermare una essenzialità del diritto all’animale d’affezione ricavabile da una non recente sentenza della Cassazione (sent. 14343/2009). Si trattava invero del divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, ritenuto confliggente con “l'adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l'ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all'interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l'esplicazione di rapporti di amicizia”. Forse un tantino estensiva una interpretazione che volesse riferire tale principio anche al rapporto locativo.
Una ulteriore considerazione riguarda un paio di altri oggettivi limiti di questa evoluzione del rapporto umano-non umano. Il proprietario di una attività commerciale può continuare ad inibire l’ingresso ai cani; sul posto di lavoro non vi è alcuna norma generale che ne autorizzi la loro presenza.
Altre sono le considerazioni che a mio avviso potrebbero maggiormente inficiare questa interpretazione così condivisa dalla più parte della giurisprudenza di merito. Quelle che attengono alle c.d. categorie giuridiche quali espressione della realtà nella dimensione giuridica.
Ad oggi, nonostante l’intervenuta modifica costituzionale, gli animali sono ancora res. Siamo così sicuri che l’art. 1138 c.c., anche nella sua riformulazione, riguardi anche il rapporto uomo/animale e che invece attenga meramente al godimento o utilizzo di un immobile in un contesto condominiale? E dunque colui che è favorevole alla detenzione di animali non potrà che negare il proprio consenso ad una clausola regolamentare che lo vieti. E l’eventuale futuro acquirente avrà modo di verificare attraverso i registri immobiliari tale limitazione. Siamo dunque di fronte ad una violazione del rapporto uomo/animale o invece siamo di fronte ad una clausola negoziabile?
Una sentenza della Corte di Cassazione civile (sent. n. 24526/2022 ) potrebbe aiutarci a risolvere il “busillis” laddove manda in archivio il regolamento condominiale contrattuale. Non esiste un regolamento condominiale contrattuale alternativo a quello assembleare. Un’autentica rivoluzione nei termini che seguono.
Il regolamento condominiale contrattuale “non esiste se non come formula verbale riferita ad una delle due possibili tecniche di formazione, piuttosto che alla sua natura”. Origine e natura di esso. L’espressione “regolamento contrattuale”viene definita dalla suprema corte un ossimoro e la ragione è convincente. Un regolamento condominiale è un contenitore che al suo interno contiene norme regolamentari propriamente dette e previsioni non regolamentari richiamate dal quarto comma dell’art.1138 c.c., cioè contratti, e come tali soggetti al principio di relatività degli effetti. In buona sostanza il regolamento, ove disciplini anche altro che non sia l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, è in parte qua un contratto e non un regolamento, quale che sia la sua modalità di formazione, e cioè ad opera del costruttore e con riproduzione negli atti di vendita delle unità singole oppure in base all’accordo specifico, consapevole e totalitario dei condomini tutti riuniti in assemblea.
Citando una felice esempio del Dott. Felice Manna potremmo mai considerare una servitù convenzionalmente individuata non quale diritto reale di godimento su cosa altrui ma come fosse un contratto? Ed essendo un contratto, si legge nella richiamata sentenza- esso deve corrispondere ad una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che si traduce in una relatio perfecta attuata mediante l’inserimento, all’interno dell’atto d’acquisto dell’unità immobiliare individuale, delle parti del regolamento aventi natura negoziale ed effetto limitativo della proprietà singola, non bastando, per contro, il solo rinvio al regolamento stesso. Gli effetti giuridici non si possono creare a sorpresa (sempre cit. Dott. Manna). Se questo riguarda la formazione di un regolamento condominiale, il vincolo del principio di relatività si supera con la trascrizione.
E ritorniamo alla domanda iniziale. L’ultimo comma dell’art. 1138 c.c. è dunque inderogabile? La tutela del rapporto uomo-animale come oggi intesa è motivo dirimente? Come detto la giurisprudenza di merito pare più orientata verso la risposta affermativa nel senso di ritenerlo inderogabile pur non mancando pronunce di senso opposto. Anche del danno esistenziale si era detto che non era dato più di discorrere. Vi sono interpretazioni giurisprudenziali ondivaghe che credo debbano essere indagate al netto di pericolosi “additivi”. Lo stesso dicasi in altri ambiti quali il diritto di famiglia (la questione della sorte dell’animale di affezione a seguito della fine di un matrimonio o convivenza more uxorio); per il risarcimento per la morte dell’animale d’affezione.
Vi sono categorie giuridiche che non possono essere ignorate. Vi sono animali che vengono ignorati. Spesso si discetta più di quello che interessa all’uomo dell’animale che di quello che interessa all’animale.
Sarebbe auspicabile un intervento dall’alto.