La sentenza della Suprema Corte n. 3060/2012 dell' 8 febbraio 2012 affronta il caso di un dipendente delle Poste Italiane, che aveva impugnato il licenziamento intimatogli per assenza ingiustificata protrattasi per cinquanta giorni, sull'assunto che la predetta sanzione disciplinare era stata irrogata per specifica ipotesi prevista dalla contrattazione collettiva, ma, dal momento che il codice disciplinare non era stato affisso, tale licenziamento doveva ritenersi illegittimo.
Sia il giudice di prime cure che il giudice di appello, condividendo le motivazioni dedotte nel ricorso, avevano accolto la domanda del dipendente, per cui la società datrice di lavoro proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado.
La Corte, in totale riforma della sentenza di appello, ha statuito che in tema di sanzioni disciplinari la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti si applica soltanto quando esso sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva o validamente poste dal datore di lavoro, ma non quando esso è correlato a situazioni giustificative del recesso previste direttamente dalla legge o manifestamente contrarie all'etica comune o a comportamenti del lavoratore in palese violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.
Infatti, nel caso di specie, il dipendente, assentandosi dal luogo di lavoro per cinquanta giorni senza addurre alcuna giustificazione, è senza alcun dubbio venuto meno ad uno dei doveri fondamentali del lavoratore, quale l'obbligo di rendere la prestazione, e pertanto la sua inosservanza, per essere sanzionata con il licenziamento, non deve essere portata a conoscenza del lavoratore.
In questi casi è la legge stessa che attribuisce direttamente al datore di lavoro il potere di licenziare il dipendente, indipendentemente dal richiamo o dalla previsione di determinate e analoghe condotte, punibili con il recesso, nella pattuizione collettiva.
Di seguito il testo della sentenza:
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di L.D. proposta nei confronti della società Poste Italiane, di cui era dipendente, avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento intimatogli dalla predetta società per assenza ingiustificata di cinquanta giorni.
La Corte del merito poneva a base del decisum il rilievo fondante secondo il quale il licenziamento doveva ritenersi illegittimo perchè non era risultata l'affissione del codice disciplinare essendo stato il licenziamento irrogato per specifica ipotesi prevista dalla contrattazione collettiva.
Avverso questa sentenza la società Poste italiane ricorre in cassazione sulla base di un'unica censura, illustrata da memoria.
La parte intimata non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo di ricorso la società, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 1, della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, nonchè artt. 2104 e 2105 c.c., allega che erroneamente la Corte del merito non ha tenuto conto che, trattandosi di violazione dei fondamentali doveri del lavoratore discendenti dalla legge, non era necessaria, ai fini della legittimità del licenziamento, la preventiva affissione del codice disciplinare.
La censura è fondata.
E' ius reception nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro ovvero all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa del datore di lavoro (per tutte V. Cass. 18 settembre 2009 n. 20270).
La garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti si applica, infatti, al licenziamento disciplinare soltanto quando questo sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva o validamente poste dal datore di lavoro, e non anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative del recesso previste direttamente dalla legge o manifestamente contrarie all'etica comune o concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro ovvero all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa del datore di lavoro (v. Cass. 18 agosto 2004 n. 16291 e Cass. 14 settembre 2009 n. 19770).
La Corte di Appello nella sentenza impugnata ritenendo che per il fatto addebitato al lavoratore, concretatosi nell'assenza ingiustificata dal luogo di lavoro per cinquanta giorni, era necessaria, ai fini della legittimità della sanzione espulsiva adottata dal datore di lavoro, la previa affissione del codice disciplinare - e tanto in considerazione del rilievo che il ccnl del settore prevedeva siffatta sanzione nel caso di assenza arbitraria dal servizio superiore ai dieci giorni - non è conforme ai richiamati principi di questa Corte.
Non può, invero, porsi in dubbio che l'obbligo di rendere la prestazione rientra, come già affermato da questo giudice (Cass. 14 maggio 2002 n. 6974), tra i doveri fondamentali e non accessori del lavoratore con la conseguenza che la sua inosservanza, per essere sanzionata con il licenziamento, non abbisogna di essere portata a conoscenza del lavoratore non integrando la stessa una ipotesi particolare di esercizio da parte del datore di lavoro del potere di licenziamento essendogli questo, nel caso di specie, indipendentemente dal richiamo o dalla previsione di determinate, analoghe condotte punibili con il recesso nella pattuizione collettiva, attribuito direttamente dalla legge.
La sentenza impugnata di conseguenza va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che si atterrà ai principi sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.