Vittime di Errori Giudiziari e di Ingiusta detenzione

Vittime di Errori Giudiziari e di Ingiusta detenzione

I numeri delle Vittime di Errori Giudiziari sono divenuti negli anni veramente allarmanti.

Dal 1991 al 2022 i casi di errori giudiziari hanno coinvolto l'incredibile numero di 30mila persone con circa 961 cittadini finiti in carcere, in custodia cautelare, o addirittura condan nati pur essendo innocenti, come successivamente accertato.

Venerdi 5 Gennaio 2024

Una grave stortura della Giustizia Italiana che pesa anche sulle casse dello Stato che tra indennizzi e risarcimenti ha sborsato quasi un miliardo di euro (932.937.000 euro) Nell'anno appena trascorso sono stati 547 i casi di ingiuste detenzioni ed errori giudiziari (-25 rispetto al 2022) tuttavia é cresciuta e di molto la spesa per indennizzi e risarci menti che supera i 37mln, segnando un +11 milioni e mezzo rispetto al 2021.

Tornando ai numeri del rapporto, nel 2022 i casi di ingiusta detenzione sono stati 539, con una spesa complessiva per indennizzi liquidati pari a 27 milioni 378 mila euro.

Per quanto riguarda gli errori giudiziari veri e propri dal 1991al 2022 il totale è di 222, con una media che sfiora i 7 l'anno. Mentre la spesa in risarcimenti è salita a 76.255.214 euro (pari a una media appena inferiore ai 2 milioni e 460 mila euro l'anno). Se invece consideriamo soltanto il 2022 gli errori giudiziari si fermano ad otto, uno in più rispetto all'anno scorso. Sale di molto la spesa che sfiora i 10milioni, 7 volte più alta dell'anno precedente.

Sul quantum pesano però "i criteri di elaborazione dei risarcimenti che sono molto più discrezionali e variabili rispetto a quelli fissati invece dalla legge per l'ingiusta detenzione" perché sussiste ancora una differenza tra le vittime di ingiusta detenzione,che sono"coloro che subiscono una custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, salvo poi venire assolte", e chi subisce un vero e proprio errore giudiziario in senso stretto,"vale a dire quelle persone che, dopo essere state condannate con sentenza definitiva,vengono assolte in seguito a un processo di revisione".

Una differenza del tutto ingiustificabile sul piano del danno sofferto..

Alla luce dei numerosi casi di Errori Giudiziari e risarcibilità dei danni patiti dai malcapitati per ingiusta a detenzione, si segnalano, tra le tante, due sentenze recenti della Suprema Corte che chiariscono due questioni rilevanti.

Con la sentenza n. 48559 del 6 Dicembre 2023 la Corte di Cassazione, VI Sez Penale, si è pronunciata sulla legittimazione ai fini della domanda di riparazione per ingiusta detenzione ex art. 315 c.p.p., e sulle formalità relative al rilascio della procura speciale a tali fini.

La Corte rileva innanzitutto il richiamo, nell’ambito della disciplina in parola, alle norme sulla riparazione giudiziaria ex art. 645 c.p.p., dalle quali è stabilito che l’istanza sia presentata dall’interessato o dal suo procuratore speciale, essendo la procura speciale atto da tenersi concettualmente distinto dal mandato di rappresentanza e difesa in giudizio.

Sul tema, le Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare che la domanda di riparazione per ingiusta detenzione costituisce atto personale della parte che l’abbia indebitamente sofferta.

Pertanto la sua “proposizione”, in quanto espressione della volontà della parte di far valere il diritto alla riparazione in giudizio, «può avvenire, oltre che personalmente, anche per mezzo di un procuratore speciale nominato nelle forme previste dall’art. 122 c.p.p. […], avendo la legge voluto garantire sia l’autenticità dell’iniziativa, sia la sua diretta e inequivocabile derivazione dalla volontà dell’interessato».

Diversamente si argomenta per la “presentazione” della domanda di riparazione, che, qualora sottoscritta dal suo assistito, può essere depositata dal difensore presso la cancelleria del Giudice competente, anche a mezzo di sostituto, rientrando l’attività nell’ambito tecnico-rappresentativo del potere conferito al difensore con la nomina, in quanto il difensore ha il potere di compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati (cfr. Cass. sez. un., 12 marzo 1999, n. 8, CED 213508).

Proprio in ossequio a tali principi, già la Sezione IV della Suprema Corte,con sentenza 14 gennaio 2014, n. 7372 aveva escluso la legittimazione del difensore nominato con un mandato a margine del ricorso che non conteneva uno specifico riferimento alla volontà della parte di trasferire il potere di esercitare l’azione riparatoria.

Infine, in ordine ai requisiti della procura speciale, la Corte di cassazione, con la sentenza in commento, ha confermato l’orientamento maggioritario secondo cui non inficiano la validità della procura speciale, sostanziandosi in mere imprecisioni formali, «le irritualità che non pregiudichino la ricostruzione in termini di certezza della volontà della parte di conferire al difensore un mandato riferito alla richiesta di indennizzo, posto che per il rilascio della procura speciale non sono previste formule sacramentali» essendo però necessario che risulti «il chiaro collegamento della procura speciale alla specifica domanda di riparazione che si sia proposta» (v. pure Cass. sez. IV, 1° febbraio 2023, n. 7033; v. anche Cass. sez. IV, 5 novembre 2013, n. 48571, CED 258089; Cass. sez. IV, 10 giugno 2008, n. 40293, CED 241471).

Riparazione per ingiusta detenzione: sulla rilevanza del silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 188 (presunzione di innocenza)

Sempre in tema di riparazione per ingiusta detenzione e con riferimento alla rilevanza del silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio,dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 8 novembre 2021, n. 188 (sulla presunzione di innocenza) la Corte di Cassazione ha affermato che l’orientamento secondo cui, «ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, può rilevare il comportamento silenzioso o mendace dell’indagato», deve ritenersi oggi superato dall’intervento del Legislatore con la Legge 188/2021 che  ha introdotto, tra le altre modifiche al codice di procedura penale, anche quella che riguarda l’art. 314, aggiungendo al comma 1 dell’articolo il seguente periodo: «l’esercizio da parte dell’imputato della facoltà di cui all’articolo 64, comma 3, lettera b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo»). Secondo la Suprema Corte è chiara «l’opzione del legislatore: di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimento penali, con specifico riferimento, per quanto di rilievo nel caso all’esame, alla emanazione di norme comuni sulla protezione dei diritti procedurali di indagati e imputati (cfr. considerato n. 10 e n. 24 della Direttiva)».

Alla luce di tali principi, la Corte ha annullato, con rinvio, l’ordinanza impugnata per un nuovo giudizio alla Corte d’appello «in relazione alla necessaria verifica di elementi, rimasti eventualmente accertati all’esito del verdetto assolutorio, dai quali possa ricavarsi un comportamento dell’interessato, diverso dal silenzio serbato su circostanze ritenute rilevanti per neutralizzare la portata accusatoria degli elementi raccolti nel corso delle indagini, idoneo a comportare la condizione ostativa di cui all’art. 314, c. 1, come modificato dal D. Lgs. n. 188 del 2021».

La riparazione per l’ingiusta detenzione è un rimedio specifico atto a compensare in chiave solidaristica il pregiudizio patito da chi abbia subito una ingiusta limitazione della propria libertà personale. Si tratta di un rimedio specifico atto a compensare in chiave solidaristica il pregiudizio patito da chi abbia subito una ingiusta limitazione della propria libertà personale.

Esso non copre ogni indebita restrizione della libertà personale, bensì solo quella inerente la custodia cautelare; rileveranno, quindi, la custodia in carcere, quella in luogo di cura, gli arresti domiciliari (stante la loro equiparazione alla custodia cautelare); rilevano, infine, per espressa previsione normativa (art. 313, comma 3) anche le misure di sicurezza illegittimamente disposte in via provvisoria. Non è, invece, previsto alcun indennizzo nel caso di misure coercitive non custodiali o di misure interdittive; al riguardo, in dottrina le maggiori perplessità sono state sollevate avuto riguardo alla misura dell’obbligo di dimora, soprattutto se accompagnata al divieto accessorio di allontanarsi da casa per molte ore del giorno, stante la carica fortemente afflittiva della stessa in termini di limitazione della libertà personale.

A tanto aggiungasi che Indennizzo previsto ai sensi degli artt. 314 e 315 del codice di procedura penale e consiste nel pagamento di una somma di denaro che non può eccedere l'importo di € 516.456,00

La riparazione non ha carattere risarcitorio ma di indennizzo e perciò viene determinata dal Giudice in via equitativa e compete a:

  • chi è stato sottoposto a custodia cautelare e, successivamente, è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, se non ha concorso a darvi causa per dolo o colpa grave;

  • chi é stato sottoposto a custodia cautelare e, successivamente, è stato prosciolto per qualsiasi causa quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento di custodia cautelare è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 del codice di procedura penale;

  • chi è stato condannato e nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare quando, con decisione irrevocabile, risulti accertato che il provvedimento di custodia cautelare è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 del codice di procedura penale;

  • chi è stato sottoposto a custodia cautelare e, successivamente, a suo favore sia stato pronunciato un provvedimento di archiviazione o una sentenza di non luogo a procedere;

  • chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per custodia cautelare;

  • chi è stato prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida.

A seguito della parziale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’articolo 314 C.p.p., affermata con la sentenza del 25/07/1996, n. 310, è stato riconosciuto analogo diritto anche al condannato per la detenzione ingiustamente subita a causa di un erroneo ordine di esecuzione.

La Consulta è, inoltre, intervenuta anche con altre pronunce ad allargare le maglie della portata della norma:

1) la prima pronuncia, del 02/04/1999, n. 109, con la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale di questa norma:

- sia nella parte in cui il comma 1 non prevede che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a una equa riparazione per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare;

- sia nella parte in cui il comma 2 non prevede che lo stesso diritto, nei medesimi limiti, spetti al prosciolto per qualsiasi causa, o al condannato che, nel corso del processo, sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida;

2) la seconda, del 20/06/2008, n. 219, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questa norma nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto alla equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni.

3) con sentenza di rigetto (16/07/2004, n. 230), la Consulta ha riconosciuto il diritto alla riparazione nel caso di proscioglimento per violazione del ne bis in idem, in quanto esso implica l’implicito riconoscimento della illegittimità della misura cautelare sofferta nonostante la preclusione del giudicato.

4) infine la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto alla riparazione nel caso di proroga di una misura cautelare di cui sia stata riconosciuta la tardività (Cass. pen. 27/05/2005, n. 26783) e di detenzione protratta oltre il termine previsto dalla legge (Cass. pen. 10/10/2000, n. 3346).

Il diritto alla riparazione è, invece, sempre escluso:

  • per la parte di custodia cautelare computata ai fini della determinazione della misura di una pena, ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo;

  • quando con il provvedimento di archiviazione o con la sentenza è stato affermato che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, stante l’intervenuta abrogazione, per la parte di custodia sofferta prima della abrogazione medesima.

Per ottenere il riconoscimento di tale indennizzo, è necessario che il soggetto non abbia dato, o concorso a dare, causa alla misura custodiale con dolo o colpa grave; l’assenza di una indicazione puntuale, da parte del legislatore, del significato da attribuire a tale locuzione, ha fatto sì che si producessero difformi soluzioni giurisprudenziali che - dilatando i confini di questi concetti – hanno correlativamente ridotto l’ambito di applicabilità della norma (ad esempio, è stato ritenuto integrante la colpa grave, con conseguente esclusione del diritto all’indennizzo, il comportamento silenzioso o mendace su circostanze ignote agli inquirenti - Cass. pen. 09/11/2017, n. 51084, così come le frequentazioni imprudenti o ambigue con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti, Cass. pen. 27/02/2015, n. 8914).

In caso di decesso dell’imputato l’indennizzo compete

  • al coniuge

  • ai discendenti e gli ascendenti

  • ai fratelli e le sorelle

  • agli affini entro il 1° grado

  • alle persone legate da vincoli di adozione con quella deceduta.

La domanda deve essere presentata:

  • presso la Cancelleria della Corte d'Appello del distretto giudiziario in cui è stata pronunciata la sentenza o il provvedimento di archiviazione che ha definito il procedimento;

  • nel caso di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, la domanda deve essere proposta presso la cancelleria della Corte d’Appello che ha emesso il provvedimento impugnato;

  • personalmente dall'interessato oppure a mezzo di procuratore speciale;

  • entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è divenuta inoppugnabile o il provvedimento di archiviazione è stato notificato alla persona nei cui confronti è stato pronunciato.

La procedura di pagamento varia secondo l’importo dell’indennizzo e in base alla modalità di pagamento prescelta dall’interessato.

Ulteriori modalità di pagamento sono previste nel caso in cui il creditore sia all’estero o si trovi in stato di detenzione per cause diverse da quelle che hanno originato la riparazione per ingiusta detenzione o per errore giudiziario.

Specifica documentazione, infine, dovrà essere presentata dagli eredi del creditore.
Il termine massimo di definizione del procedimento di autorizzazione è fissato in 120 giorni dalla data di conclusione dell’istruttoria o, se anteriore, dalla data di notifica dell’ordinanza, munita della formula esecutiva all’Ufficio erogatore

In conclusione resta da chiedersi se il c.d. “praetium doloris, (il denaro del pianto) di latina memoria, possa essere compensato o indennizzato dopo avere trascorso in Carcere un periodo della propria esistenza, lungo o breve che sia, che ha sottratto alla vita un povero malcapitato innocente !!.

Allegato:

Cassazione penale sentenza 48559 2023

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