Tardivo deposito dell'istanza di liquidazione del compenso professionale: conseguenze

Tardivo deposito dell'istanza di liquidazione del compenso professionale: conseguenze

Con la sentenza n. 22448 del 9 settembre 2019 la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione si occupa nuovamente di patrocinio a spese dello Stato e in particolare della controversa questione del termine entro cui l'avvocato è tenuto a depositare l'istanza di liquidazione del compenso professionale.

Mercoledi 11 Settembre 2019

Il caso: L'Avvocato C.M. assumeva di avere assistito un cliente, ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, in una controversia di lavoro decisa dal Tribunale di Ferrara con lettura del dispositivo all'udienza del 24 maggio 2016; il legale quindi depositava in data 26/5/2016 istanza di liquidazione dei compensi professionali, che il Tribunale rigettava in quanto non presentata tempestivamente secondo le indicazioni di cui all'art. 83 co. 3 bis del DPR n. 115/2002 (che prevede che il decreto di liquidazione, sebbene costituente un provvedimento autonomo, debba essere emanato contemporaneamente alla pronuncia definitiva sul merito della causa).

Il legale depositava ricorso ex art. 702 bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Bologna chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato al pagamento della somma di € 9.306,27 quale compenso per le prestazioni professionali rese in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello stato.

Il Tribunale rigettava con ordinanza la domanda rilevando che non sussisteva la legittimazione passiva del Ministero della Giustizia: il tribunale ritiene che, “quando la parte ha agito in sede ordinaria nei confronti del Ministero senza aver prima esaurito le vie ordinarie di contestazione della legittimità del provvedimento che il legislatore ha previsto debba essere adottato ai fini della liquidazione dei compensi in favore del difensore della parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, tale circostanza è ostativa alla deducibilità del diritto nelle forme della cognizione ordinaria”.

L'avvocato ricorre in Cassazione avverso la suddetta ordinanza; la Suprema Corte:

a) dichiara inammissibile il ricorso, rilevando che la parte soccombente che intenda contestare la correttezza della soluzione adottata con il provvedimento di cui all'art. 702 ter c.p.c. ( ed al di fuori delle ipotesi di inammissibilità di cui al secondo comma dello stesso art. 702 ter c.p.c.), è tenuto ad appellare la decisione presa, ai sensi dell'art. 702 quater c.p.c., risultando pertanto inammissibile la proposizione del ricorso per saltum, come appunto avvenuto nella fattispecie.

b) al tempo stesso, però, ritiene di dover esaminare la questione concernente gli effetti sul complessivo sistema della liquidazione dei compensi in esame della novella di cui all'art. 83 co. 3 bis del DPR n. 115/2002 (introdotto dall'art. 1 co. 783 della legge n. 208/2015);

c) la questione è stata oggetto di contrastanti soluzioni nelle prime pronunce adottate dai giudici di merito:

  • primo orientamento: la norma in esame avrebbe implicitamente introdotto un termine per il deposito dell'istanza di liquidazione degli onorari relativi all'attività difensiva prestata in favore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, che dunque dovrebbe intervenire prima della definizione del procedimento, con la conseguenza che, per le istanze depositate oltre tale termine, il magistrato sarebbe tenuto a dichiarare il "non luogo a provvedere" in quanto, in virtù della predetta norma, il giudice si sarebbe spogliato della potestas decidendi e l'avvocato, per ottenere il compenso dell'attività svolta, dovrebbe azionare un procedimento ordinario ovvero richiedere un'ingiunzione di pagamento;

  • secondo orientamento: l'art. 83, comma 3-bis, del DPR n. 115 del 2002 va interpretato nel senso di aver inserito un referente temporale "meramente indicativo, ai fini di maggiore razionalizzazione del sistema, del termine preferibile per la pronuncia", da parte del giudice, del decreto di liquidazione: scopo della norma sarebbe quindi quello di accelerare la decisione, avendo lo scopo di favorire liquidazioni del compenso tempestive, ma senza che possa addivenirsi alla conclusione per cui il giudice perderebbe la potestas decidendi ove la richiesta di liquidazione fosse presentata dopo la definizione del processo e comunque una volta definita la causa cui si riferisce l'attività professionale per la quale si richiede la liquidazione dei compenso.

    La decisione.

    La Suprema Corte, nella sentenza in commento, con una articolata motivazione ritiene di aderire al secondo orientamento, per cui debba ritenersi che, nonostante l'introduzione del comma 3 bis dell'art. 83, e malgrado il tardivo deposito dell'istanza di liquidazione e l'intervenuta decisione sulla causa nella quale è stato prestato il patrocinio, il giudice conservi il potere di procedere con decreto alla liquidazione dei compensi in favore del difensore della parte ammessa al beneficio in esame: a favore di tale soluzione depongono, tra i vari motivi, le seguenti considerazioni:

    1) innanzi tutto delle precise indicazioni di carattere letterale, occorrendo a tal fine porre a confronto la norma di cui all'art. 83 co. 3 bis, che non prevede alcuna esplicita decadenza, con quanto invece disposto dall'art. 71 dello stesso DPR che, per l'istanza di liquidazione del compenso per l'ausiliario del giudice, prevede che la stessa debba essere proposta a pena di decadenza entro il termine di cento giorni dal compimento delle operazioni;

    2) non appare plausibile sostenere che la norma, sebbene sia silente sul punto, abbia di fatto introdotto un termine di decadenza, dovendosi optare per un'interpretazione restrittiva di tutte le norme che contemplino decadenze, in ragione del disposto di cui all'art. 14 disp. prel. c.c.;

    3) l'esclusione per il giudice del merito, una volta definito il giudizio, del potere di liquidazione del compenso all'avvocato, imporrebbe la necessità di riproporre la domanda in sede ordinaria nei confronti dello Stato, con un giudizio affidato ad un giudice verosimilmente diverso da quello che definito la controversia cui si riferisce la richiesta, venendo meno la ragionevole opportunità che il giudizio su entrambe le questioni sia affidato ad uno stesso giudice.

    In conclusione, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: “L'art. 83 comma 3 bis del DPR n. 115 del 2002, che ha previsto che il decreto di pagamento debba essere emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta, relativamente ai compensi richiesti dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non prevede alcuna decadenza a carico del professionista che abbia depositato la relativa istanza dopo la pronuncia del detto provvedimento, né impedisce al giudice di potersi pronunciare sulla richiesta dopo che si sia pronunciato definitivamente sul merito, avendo in realtà la finalità in chiave acceleratoria, di raccomandare che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude il giudizio.”.

Allegato:

Cassazione civile sentenza n.22448/2019

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