Con pronunciamento già definito storico, la Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n°20415 del 14 luglio 2025, ha affermato la liceità dell’accordo economico tra consorti, in vista di una futura separazione o divorzio, definendolo contratto atipico, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela.
Sommario
Il fatto
La decisione
Conclusioni
IL FATTO
Tizio impugnava, dinanzi alla Corte d’Appello di Brescia, la sentenza del Tribunale di Mantova che aveva respinto la domanda, proposta nei confronti della coniuge Mevia, volta ad accertare la nullità, per contrarietà all’ordine pubblico e a norme imperative di legge, quali gli artt. 143 e 160 c.c., di una scrittura privata in cui, dopo aver riconosciuto che la consorte aveva contribuito con il proprio stipendio al benessere della famiglia e al pagamento del mutuo contratto per la ristrutturazione dell’appartamento solo a lui intestato ed altresì che la somma depositata nel conto corrente di Mevia proveniva dall’eredità dei di lei genitori, dichiarava che, in caso di separazione, sarebbe divenuto debitore nei confronti di Mevia della somma di €.146.400,00, mentre quest’ultima avrebbe rinunciato in suo favore ad alcuni beni mobili (imbarcazione, arredo dell’appartamento, somme di denaro depositate in conto corrente).
I giudici d’appello confermavano la decisione di primo grado sostenendo che, secondo la giurisprudenza di legittimità, gli accordi tra i coniugi che vogliono regolamentare i loro rapporti patrimoniali sono in caso di fallimento del matrimonio pienamente validi, individuando in detto evento una mera condizione sospensiva apposta al contratto, il tutto quale espressione di una autonomia negoziale diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. (Cass. n.23713/2012; Cass. n.19304/2013).
Nella specie, chiariva la Corte territoriale, con la scrittura de qua, sottoscritta anni prima della separazione, i coniugi avevano previsto tale evento come futuro e incerto, così intendendo regolamentare i loro rapporti patrimoniali all’avverarsi della condizione sospensiva.
L’obbligazione restitutoria assunta da Tizio trovava dunque la sua ragion d’essere, una volta verificatasi la separazione, nel riequilibrio delle risorse economiche che i coniugi avevano voluto reciprocamente assicurarsi e non aveva a che fare con il diritto/dovere di assistenza morale e materiale durante il matrimonio, e l’inderogabilità dei diritti e doveri dei coniugi, concludeva il Giudice del gravame, non veniva meno per il fatto che uno dei due, avendo ricevuto un prestito dall’altro, si fosse impegnato a restituirlo per il caso della separazione (Cass. n. 19304/2013).
Avverso la suddetta pronuncia, Tizio proponeva ricorso per cassazione con due motivi, entrambi rigettati.
LA DECISIONE
Con la pronuncia in esame la Cassazione si è trovata ad affrontare uno dei grandi “tabù” del diritto di famiglia italiano e, cioè la validità dei patti tra coniugi volti a stabilire in che modo debbano essere regolati i loro rapporti, personali e patrimoniali, nel momento in cui dovesse sopravvenire una crisi matrimoniale, accordi per decenni e fino ad ora ritenuti risolutamente illegittimi per “illiceità della causa”, sul presupposto (forse più “politico” che altro) che la loro ammissibilità avrebbe in un certo senso favorito un più agevole ricorso alle pratiche di scioglimento del vincolo matrimoniale.
Ricordando come nel corso degli anni il Legislatore si sia sempre più indirizzato verso la valorizzazione dell’autonomia negoziale privata dei coniugi, anche nella fase patologica della crisi, essendosi per esempio riconosciuta ai coniugi la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della crisi stessa (art. 4 l. n. 898/1970 e d.l. n. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014), la Cassazione, pur ribadendo il proprio orientamento secondo il quale gli accordi con i quali i coniugi fissano in sede di separazione il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio sono nulli per illiceità della causa, anche nella parte in cui concernono l’assegno divorzile, che per la sua natura assistenziale è indisponibile, in quanto diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio, ha nel contempo precisato che, sempre secondo il proprio orientamento, è pure e di contro da considerarsi valido l’accordo oggetto di causa che abbia “la funzione di porre fine ad alcune controversie di natura patrimoniale insorte tra i coniugi, senza alcun riferimento, esplicito o implicito, al futuro assetto dei rapporti economici tra i coniugi conseguenti all’eventuale pronuncia di divorzio” (Cass. n.8109/2000).
Ed ecco dunque il grimaldello con il quale gli Ermellini, forgiando una innovativa ed elegante costruzione giuridica, sono riusciti a scardinare l’inviolabile serratura che ha bloccato sinora l’ingresso ai patti pre-divorzio o pre-matrimoniali arrivando, per riconoscere piena validità all’accordo tra i coniugi che vogliano regolamentare i loro rapporti patrimoniali in caso di fallimento del matrimonio, a qualificare detto patto quale “… contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, cod. civ., essendo, infatti, il fallimento del matrimonio non causa genetica dell’accordo, ma mero evento condizionale” (Cass. civ. sent. n. 23713/2012).
Qualsiasi contratto, insomma, ci ricorda la Cassazione, anche non previsto dalla legge, può essere valido, purché disciplini interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Insistendo -per chiarirla al meglio- sulla questione, i Giudici di Piazza Cavour hanno dunque ribadito il principio dell’ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse superiore e trascendente della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, conseguendone che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori (Cass. n. 18066/20 14).
Ancora, autocitandosi, i giudici di legittimità hanno affermato che le pattuizioni che, sebbene contenute in un patto aggiunto e contestuale all’accordo di divorzio congiunto, strettamente connesse a questo per volontà delle parti e che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili o in contrasto con norme inderogabili, non possono essere oggetto di intervento diretto da parte del giudice, in quanto espressione della libera determinazione negoziale delle parti, ma devono essere prese in considerazione nel giudizio di revisione delle condizioni economiche del divorzio ex art. 9 della L. n. 898 del 1970. (Cass. 18843/2024).
Insomma, solo qualora il patto in odore di divorzio riguardi i rapporti personali e patrimoniali relativi a figlie o figli minori di età, la sua validità ed efficacia sarà sempre soggetta a un controllo di legittimità volto a verificare la sua rispondenza al miglior interesse della persona minore di età.
Quanto ancora all’eccezione relativa all’assenza di un prestito tra le parti, gli Ermellini hanno precisato che il contratto di mutuo non richiede, in via tassativa, che la cosa mutuata sia materialmente consegnata dal mutuante al mutuatario, potendosi ritenere soddisfatta l'esigenza del requisito della traditio anche allorquando il risultato pratico raggiunto in sua assenza si identifichi con quello che si sarebbe realizzato con la consegna materiale del bene mutuato e, nel caso di specie, il marito ha avuto la disponibilità giuridica dell’importo mutuato in quanto il suo patrimonio è stato evidentemente accresciuto.
La scrittura in parola, chiarisce la Cassazione, è risultata perfettamente lecita, perché ha previsto un riconoscimento di debito in favore della moglie, a fronte dell’apporto finanziario della stessa per il restauro dell'immobile di proprietà del marito e per l’acquisto del mobilio e di beni mobili registrati, ma ha altresì riconosciuto anche al marito un’imbarcazione, un motociclo, l’arredamento della casa familiare nonché una somma di denaro, regolamentando in modo libero, ragionato ed equilibrato l’assetto patrimoniale dei coniugi in caso di scioglimento della comunione legale; ed ancora, quanto al prestito, ha chiarito che, “sempre secondo questa Corte, è valido il mutuo tra coniugi nel quale l’obbligo di restituzione sia sottoposto alla condizione sospensiva dell’evento, futuro ed incerto, della separazione personale, non essendovi alcuna norma imperativa che renda tale condizione illecita agli effetti dell'art. 1354 c.c., primo comma, cod. civ.” (Cass. civ. sent. n. 19304/2013).
Giusto sul punto, e così concludendo, i giudici della Suprema Corte, ricordando che a norma dell’art. 1354 c. c., comma 1, è nullo il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, hanno definitivamente stabilito che tale ipotesi non ricorreva nel caso di specie, risultando la condizione sospensiva certamente lecita.
Infatti, “.. pur essendo pacifico che la consegna o un prestito di denaro tra coniugi avviene generalmente nella riservatezza della vita familiare, non c’è nessuna norma imperativa che impedisca ai coniugi, prima o durante il matrimonio, di riconoscere l’esistenza di un debito verso l’altro e di subordinarne la restituzione all'evento, futuro ed incerto, della separazione coniugale” (cfr. Cass. 21 dicembre 2012, n. 23713).
CONCLUSIONI
Seppure ancora ben lontani dai famigerati patti prematrimoniali di origine anglosassone, con la decisione commentata (che, tra l’altro, ha qui riguardato una diversa tipologia di accordo, meglio definibile come pre-divorzio), la Cassazione sembra aver preso atto del mutamento dei tempi, superando la antica concezione della famiglia tradizionale, oggetto di controllo e tutela da parte dell’ordinamento all’insegna di interessi “superiori e trascendenti”, affermando una visione più moderna e realistica, improntata su più attuali principi di autodeterminazione dei coniugi, volti alla soluzione libera e consapevole dell’evento meno desiderato, quale il fallimento del loro matrimonio.