La Terza Sezione della Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 852/2020 si pronuncia in tema di responsabilità medica e di ripartizione dell'onere delle prova tra danneggiato e struttura sanitaria.
Venerdi 7 Febbraio 2020 |
Il caso: Tizio, affetto da virus HBV in conseguenza di una trasfusione di sangue infetto somministratagli presso la USL ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l'appello del Ministero della Salute e dichiarava maturata la prescrizione del diritto dell'attore al risarcimento del danno aquiliano, rigettando l'appello incidentale del medesimo volto a far valere la responsabilita' contrattuale dell'Azienda sanitaria e dei singoli sanitari, con conferma della pronuncia di prime cure sulla mancanza di prova di inadempienze o negligenze del personale medico dell'ospedale.
Per la Corte territoriale:
- l'omissione o l'insufficienza dei controlli del sangue avrebbe potuto condurre ad una pronuncia di condanna dell'azienda ospedaliera qualora la parte istante avesse allegato l'avvenuta utilizzazione di sacche di sangue estranee ai circuiti autorizzati dal Ministero o raccolte nell'ambito della propria gestione di un centro trasfusionale;
- l'attore si era limitato ad ipotizzare la provenienza del sangue da sacche ignote; ma dall'esame della cartella clinica era risultata la mancata annotazione del referto di accompagnamento del Centro Emotrasfusionale, e quindi, non potendo, la stessa equivalere a prova dell'ignota provenienza del sangue, era dunque mancata la prova dell'omessa diligenza dell'azienda sanitaria;
- peraltro, non poteva ritenersi incombere sulle convenute la prova di aver fornito sacche di sangue sano poiche', all'epoca in cui si svolsero i fatti, l'uso di sangue infetto non "era imputabile alla struttura ospedaliera ove il materiale organico, provenisse da centri autorizzati.
Il ricorrente si duole del fatto che la sentenza di secondo grado ha finito per invertire l'onere della prova, ponendo a carico del danneggiato, oltre che la prova del fatto e del nesso causale, anche la prova della colpevolezza della struttura quando, in base ai principi della responsabilita' contrattuale, il debitore ai sensi dell'articolo 1218 c.c., e' tenuto al risarcimento del danno a meno che non provi, che l'inadempimento o il ritardo e' stato determinato da impossibilita' della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile.
La Suprema Corte, nel ritenere fondata la censura, accoglie il ricorso e in punto di diritto osserva che:
a) la sentenza impugnata, pur dando atto che nella cartella clinica mancava l'annotazione del referto di accompagnamento del centro trasfusionale, ha ritenuto che la prova della colpa gravasse sul danneggiato;
b) questa statuizione e' in contrasto con il consolidato orientamento per cui “in tema di responsabilita' contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilita' professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare che tale inadempimento non vi e' stato ovvero che, pur esistendo, esso non e' stato eziologicamente rilevante";
c) una volta che il paziente abbia provato, anche a mezzo di presunzioni, la relazione causale tra la condotta e la lesione (relazione che, nella specie, non risulta in discussione), l'onere della prova della causa non imputabile (e, a piu' forte ragione, dell'assenza di colpa) grava sul presunto danneggiante;
d) In assenza di tali prove, la responsabilita' della struttura non puo' ritenersi esclusa: in particolare, l'impossibilita' di tracciare una sacca di sangue trasfusa comporta un'irregolarita' nella tenuta della cartella clinica cui puo', ricollegarsi l'affermazione di responsabilita' contrattuale - con riguardo alla prova presuntiva.
Cassazione civile ordinanza n.852/2020