La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14363 del 27 maggio 2019 si pronuncia in merito alla possibilità per il danneggiato di specificare in corso di causa il danno patrimoniale, senza che ciò costituisca domanda nuova.
Mercoledi 29 Maggio 2019 |
Il caso: F.D. conveniva avanti al Tribunale l'UCI e il sig. R.B.G, deducendo di essere stato vittima di un sinistro stradale, causato dalla condotta di guida del G.: questi, fuggito da una struttura psichiatrica., mentre era alla guida di un veicolo circolante in territorio italiano in possesso di certificato internazionale di circolazione ed assicurato per la responsabilità civile con una compagnia francese, nel tentativo di sottrarsi a un posto di blocco, travolgeva il furgone condotto dal D., cagionando gravi danni alla sua persona.
Il Tribunale accoglieva integralmente la domanda attorea, mentre la Corte di Appello, in accoglimento del gravame dell'UCI, dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, ritenendo che il danno da perdita dell'azienda e quelli per la perdita di redditi futuri fossero "danni di tipo del tutto diverso di quelli allegati in precedenza", mai "fatti valere in causa", bensì "richiesti solo nella comparsa conclusionale".
F.D. ricorre quindi in Cassazione, deducendo, per qul che qui interessa, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 163 e 183 cod. proc. civ. nonché degli artt. 2043, 2054 e 2056 cod. civ., oltre che dell'art. 112 cod. proc. civ.
Censura la declaratoria d'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno patrimoniale, pronunciata dalla Corte genovese sul presupposto che il danno da perdita dell'azienda e quelli per la perdita di redditi futuri fosse stata proposta solo con la comparsa conclusionale.
Il ricorrente rileva che:
sin dall'atto introduttivo del giudizio di primo grado ha chiesto il "risarcimento dei danni tutti, biologico, morale, patrimoniale (...) subiti (...) in occasione e conseguenza del sinistro", indicando, in particolare, di essere "titolare di un'impresa di floricultura", ma di non essere stato più in grado - pur dopo la guarigione dalle lesioni subite - di reggere gli intensi ritmi lavorativi in precedenza osservati;
la circostanza di aver utilizzato le memorie ex artt. 183 e 184 cod. proc. civ. per riferire, dapprima, il fatto di svolgere, pur dopo la guarigione dalle lesioni riportate nell'incidente, "soltanto saltuariamente" la propria attività, e di essersi, pertanto, "ormai determinato, suo malgrado, a cedere l'azienda agricola, nonché di averla cessata nel settembre /ottobre 2005 (chiedendo, per giunta, di fornire sul punto prova testimoniale), confermerebbe che il "thema decidendum" ha sempre compreso il ristoro del danno da perdita dell'azienda e dei redditi futuri;
la pronuncia della Corte distrettuale viola i principi di unitarietà del risarcimento ed infrazionabilità del giudizio di liquidazione, in forza dei quali la domanda risarcitoria relativa alla condotta del convenuto "riguarda necessariamente tutte le possibili voci di danno derivanti da detta condotta".
Per la Suprema Corte, la doglianza è fondata e sul punto osserva quanto segue:
a) e' erronea la declaratoria di inammissibilità in quanto "nuova", della domanda di risarcimento del danno patrimoniale lamentato dal D. e derivante dalla perdita tanto dell'azienda di floricoltura, di cui egli era titolare, quanto dei redditi futuri da essa ricavabili;
b) il ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado formulava domanda di risarcimento di "tutti i danni", menzionando espressamente quelli "patrimoniali", ed individuando quale "causa petendi" - tra l'altro - la circostanza costituita dalla titolarità "di un'impresa di floricultura";
c) per principio consolidato, in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l'unitarietà del diritto al risarcimento e la normale non frazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta;
d) eventuali successive specificazioni hanno valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà di escludere dal «petitum» le voci non menzionate;
Pertanto, conclude la Corte sul punto, “in tema di responsabilità civile, la domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, derivanti da un illecito aquiliano, esprime la volontà di riferirsi ad ogni possibile voce di danno, a differenza di quella che indichi specifiche e determinate voci, sicché, pur quando in citazione non vi sia alcun riferimento, si estende anche al lucro cessante" (tale dovendosi intendere il danno da perdita di redditi futuri), la cui richiesta non può, pertanto, considerarsi domanda nuova, come tale inammissibile".
Cassazione civile sentenza n.14363/2019