Puo’ essere considerato consumatore il professionista che nel contratto indica la partita iva

Puo’ essere considerato consumatore il professionista che nel contratto indica la partita iva

Le norme a tutela del consumatore si applicano anche all’imprenditore o al professionista che, nel concludere un contratto per soddisfare esigenze della vita quotidiana ed estranee all’attività lavorativa indica il numero di partita iva.

Giovedi 18 Marzo 2021

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6578/2021, pubblicata il 10 marzo 2021.

IL CASO: Un notaio, dopo aver acquistato un autovettura in leasing, conveniva in giudizio la società venditrice e la società di leasing, chiedendo al Tribunale che venisse dichiarata la nullità o in subordine la risoluzione del contratto per gravissimi vizi dell’autovettura e per la violazione delle norme previste a pena di nullità dal Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005), nonchè il risarcimento dei danni.

La domanda veniva rigettata dal Tribunale e la sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte di Appello in sede di gravame interposto dal notaio.

La Corte territoriale nel confermare la decisione del Tribunale, riteneva inapplicabile, al caso esaminato, la disciplina di tutela del consumatore, parificando il notaio al piccolo imprenditore in quanto nel modulo contrattuale era stato indicato il numero della partita iva del professionista.

Secondo i giudici di appello «l'apposizione della partita IVA sul contratto rappresenta un indicatore evidente della circostanza che la parte è un operatore professionale e, dunque, non un consumatore, con la conseguenza che è impossibile applicare allo stesso i diritti di recesso o la disapplicazione automatica di clausole vessatorie prevista dal codice del consumo».

Pertanto, il notaio, rimasto soccombente in entrambi i gradi di giudizio, sottoponeva la questione all’esame della Corte di Cassazione, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell'art. 52 cod. consumo e falsa applicazione dell'art. 50 del citato codice.

LA DECISIONE: Il motivo del ricorso è stato ritenuto fondato dalla Suprema Corte la quale nell’accoglierlo con rinvio alla Corte di Appello, in diversa composizione, ha osservato che, ai fini dell'assunzione della veste di consumatore l'elemento significativo non è il "non possesso", da parte della "persona fisica" che ha contratto con un "operatore commerciale", della qualifica di "imprenditore commerciale" bensì lo scopo (obiettivato o obiettivabile) avuto di mira dall'agente nel momento in cui ha concluso il contratto, con la conseguenza che la stessa persona fisica svolgente attività imprenditoriale o professionale deve considerarsi "consumatore" quando conclude un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività ( cfr. Cass., 5/5/2015, n. 8904; Cass., 4/11/2013, n. 24731; Cass., 18/9/2006, n. 20175. Cfr. altresì, con riferimento alla fideiussione, Cass., 15/10/2019, n. 25914 ).

Secondo gli Ermellini, la semplice indicazione della partita Iva nel contratto sottoscritto dal professionista è irrilevante al fine di escludere che quest’ultimo possa considerarsi “consumatore” e di conseguenza ad esso possa non applicarsi la disciplina prevista dal Codice del Consumo.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza n.6578 2021

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