La questione di diritto sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite è la seguente: «Se la continuazione tra i reati sia di per sé sola ostativa all'applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero lo sia solo in presenza di determinate condizioni»
Giovedi 19 Maggio 2022 |
IL CASO
Con sentenza la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Ancona, dichiarava la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di violenza privata continuata di cui agli artt. 81, secondo comma, 610 c.p. sostituendo, alla pena detentiva di giorni venti di reclusione irrogatagli all'esito del primo giudizio, la corrispondente pena pecuniaria di euro cinquemila, con la conferma nel resto della decisione impugnata.
La Corte territoriale riteneva l'imputato responsabile del delitto ascrittogli per avere, durante l’arco di tempo di un mese, ripetutamente parcheggiato la propria autovettura sulle corsie di accesso e di uscita dall'area del distributore di carburante gestito dal fratello, così impedendo o comunque rendendo difficoltoso ai clienti l'utilizzo del servizio di rifornimento.
Nel confermare la decisione di primo grado, la Corte riteneva di non accogliere la richiesta, formulata ai sensi dell'art. 131-bis c.p.., di declaratoria della non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sul rilievo che il riconoscimento del vincolo della continuazione tra condotte reiterate e di eguale indole, poste in essere dall'imputato nell'arco temporale di un mese, avesse carattere ostativo ai fini dell'applicazione della relativa causa di non punibilità.
Avverso la richiamata sentenza della Corte di appello di Ancona proponeva ricorso il difensore dell’imputato, che deduceva i due motivi indicati di seguito.
Con il primo motivo si censuravano l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 131-bis c.p. e la mancanza della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento dell'abitualità
La Corte di appello aveva considerato infatti, quale ragione ostativa alla declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il vincolo della continuazione tra le condotte poste in essere dall'imputato, sebbene le stesse, connotate dall'occasionalità e da modesti effetti lesivi, fossero state da lui realizzate nell'arco di soli tre giorni e nel ristretto lasso temporale di un mese, nel medesimo luogo (presso il distributore di carburante adiacente alla residenze dell'imputato) e nei confronti della stessa persona (il fratello dell'imputato).
Secondo il difensore dell’imputato, la sentenza impugnata avrebbe dedotto l'elemento dell'abitualità dalla formale contestazione della continuazione, in assenza di una puntuale verifica degli elementi sintomatici di una reale propensione dell'imputato a commettere delitti.
Con il secondo motivo si deduceva l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 610 c.p.
La Corte di appello riteneva la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto, nonostante il ricorrente, persona invalida, si fosse limitato a mantenere l'abitudine, che risaliva ad un fase temporale antecedente l'apertura dell'area di servizio, di parcheggiare i veicoli da lui usati in prossimità della propria abitazione, senza alcuna volontà di ostruire le corsie di accesso al distributore e di limitare il gestore dell'area nel regolare esercizio della sua attività lavorativa.
Con ordinanza la Quinta Sezione Penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, prospettando l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale infatti, la causa di non punibilità non è applicabile nel caso di più reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso. I reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso, pur unificati al fine del trattamento sanzionatorio, «appaiono espressione di un "comportamento abituale", di una "devianza non occasionale", ostativa al riconoscimento del beneficio in quanto priva di quel carattere di trascurabile offensività che, invece, deve caratterizzare "il fatto" ove lo si voglia sussumere nel paradigma normativo di cui al citato art. 131-bis»
Secondo un diverso orientamento è possibile, invece, il riconoscimento della particolare tenuità del fatto in caso di reato continuato, purché questo non sia ritenuto espressivo di una tendenza o inclinazione al crimine. Nella prospettiva seguita da tale orientamento giurisprudenziale, pertanto, il solo fatto che un reato sia stato posto in continuazione con altri reati non è di ostacolo, in astratto, all'operatività dell'istituto, dovendosi valutare, in concreto, se "il fatto", inteso nella sua globalità, sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità.
LA DECISIONE DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La questione di diritto sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite era pertanto la seguente:
«Se la continuazione tra i reati sia di per sé sola ostativa all'applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero lo sia solo in presenza di determinate condizioni»
Il Collegio ha ritenuto di condividere l'impostazione delineata dal secondo indirizzo giurisprudenziale disapprovando il ragionamento logico – giuridico posto alla base della prima corrente giurisprudenziale.
La nozione di abitualità, afferma la Corte, si riferisce ad una qualità che progressivamente si delinea e consolida nel tempo in conseguenza della realizzazione di plurime condotte omogenee, ma che non si esaurisce nella manifestazione esterna del solo dato obbiettivo di quella ripetizione. L'acquisizione individuale di una consuetudine costituisce il risultato di un costume comportamentale, ossia di un'abitudine intesa, secondo il senso comune del vocabolo, come «disposizione acquisita con il costante e periodico ripetersi di determinati atti», e non può essere pertanto sovrapposta ad una situazione connotata dalla mera reiterazione di azioni.
L'istituto della continuazione, diversamente da quanto affermato in alcune decisioni che aderiscono al primo orientamento giurisprudenziale, non può essere considerato come sinonimo della nozione di "abitualità", né appare coincidente o necessariamente sovrapponibile all'ipotesi in cui l'autore abbia commesso "più reati della stessa indole".
Secondo la Corte il legislatore ha appositamente utilizzato, in luogo del concetto di "occasionalità", la diversa nozione di "non abitualità", così optando per una scelta che si giustifica con la volontà di assicurare all'istituto regolato dall'art. 131-bis cit. un più esteso ambito di operatività, escludendo dal suo raggio di applicazione solo quei comportamenti che siano espressione di una serialità nell'attività criminosa e di un'abitudine a violare la legge.
In definitiva non ricorrono ostacoli di ordine logico-sistematico all'applicabilità al reato continuato della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis cit. Si tratta di istituti ispirati entrambi al principio del favor rei, che rispondono ad esigenze e finalità sostanziali diverse, ma fra loro pienamente conciliabili, del sistema penale.
Da un lato, l'ordinamento mira ad attenuare il rigore sanzionatorio del cumulo materiale, sostituendo ad esso il diverso regime del cumulo giuridico nell'ipotesi in cui i reati commessi con più azioni od omissioni siano il frutto di un'unica determinazione del soggetto attivo. Dall'altro lato, si persegue la finalità di mandare esenti da pena quei fatti che, nella loro concreta realizzazione, appaiano caratterizzati da un grado minimo di offensività e, dunque, non meritevoli di applicazione in concreto della sanzione, in ossequio ai principi di extrema ratio e proporzionalità della reazione punitiva da parte dell'ordinamento.
In conclusione, la questione posta dall'ordinanza di rimessione va risolta enunciando i seguenti principi di diritto: - «La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis cod. pen., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale»; - «In presenza di più reati unificati nel vincolo della continuazione, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che, salve le condizioni ostative previste dall'art. 131-bis c.p.., tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti».
La Corte ha poi analizzato i motivi oggetto del ricorso proposto dal difensore dell’imputato, ed ha ritenuto che gli stessi non meritassero accoglimento, propendendo per il rigetto del ricorso.
Partendo dal secondo motivo, secondo i Giudici di legittimità, la sentenza impugnata, ha fatto buon governo del principio stabilito dalla stessa Cassazione, secondo cui integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura dinanzi ad un fabbricato in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l'accesso alla parte lesa, e si rifiuti di rimuoverla nonostante la richiesta della persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione. Ne è conseguita l'infondatezza della censura oggetto del secondo motivo di ricorso.
Parimenti infondata, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, è stata ritenuta la censura dedotta nel secondo motivo di ricorso. La sentenza impugnata ha ritenuto ostativo alla declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto il riconoscimento del vincolo della continuazione, evidenziando, al riguardo, il carattere di serialità delle condotte reiteratamente poste in essere dall'imputato - in almeno tre occasioni e, talora, per l'intero corso della giornata - lungo il rilevante arco temporale di un mese. Nel riconoscere la continuazione tra le condotte di violenza privata poste in essere dall'imputato, la Corte d'appello ne ha infatti posto in rilievo il numero (contrassegnato da almeno tre episodi, rientranti, come tali, nella seconda ipotesi ostativa prevista dal terzo comma dell'art. 131-bis cit.) e la pervicacia nelle modalità di realizzazione, in quanto caratterizzate da un effetto di progressiva amplificazione delle ricadute negative sullo svolgimento dell'attività imprenditoriale del fratello. Ne ha rimarcato, inoltre, la peculiarità della connotazione derivante dalla medesima indole, valorizzando al contempo gli elementi sintomatici tratti dalla rilevante intensità del dolo - per avere l'imputato espressamente rifiutato di spostare la propria autovettura, auspicando addirittura la cessazione dell'attività imprenditoriale svolta dal fratello - e dalla totale assenza di ragioni idonee a giustificare una condotta ostruzionistica più volte realizzata con finalità sostanzialmente emulative ai danni della medesima persona offesa.
La sentenza impugnata, in tal modo, ha correttamente valutato i profili inerenti ai requisiti della non abitualità del comportamento e della particolare tenuità dell'offesa, escludendone la configurabilità in linea con i su indicati principi di diritto, all'esito di una valutazione complessiva della vicenda, svolta sulla base di una serie di indicatori coerentemente ritenuti ostativi, per la natura, il numero e le specifiche modalità di realizzazione delle condotte in continuazione, alla declaratoria dell'invocata causa di esclusione della punibilità.