La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, con sentenza del 1° agosto 2025,ha stabilito che:
1) le disposizioni introdotte dalla Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013,recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, alla luce dell'art. 47 CDFUE, devono essere interpretate nel senso che:
a) non ostano a che uno Stato membro proceda alla designazione di Paesi di origine sicuri mediante un atto legislativo, sebbene ”a condizione che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale vertente sul rispetto delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all'allegato I a detta direttiva, da parte di qualsiasi Giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione concernente una domanda di protezione internazionale, presentata da cittadini provenienti da Paesi di origine designati come sicuri;
b) lo Stato membro, che designa un tale Paese, deve garantire un accesso sufficiente e adeguato alle fonti di informazione di tale Direttiva, sulle quali si fonda tale designazione, accesso che deve, da un lato, consentire al richiedente protezione internazionale, che sia originario di tale Paese terzo, di difendere i suoi diritti nelle migliori condizioni possibili e di decidere, con piena cognizione di causa, se gli sia utile adire il Giudice competente e, dall'altro, consentire a questi di esercitare il proprio sindacato sulla decisione concernente la domanda di protezione internazionale;
c) il Giudice nazionale investito di un ricorso avverso una decisione relativa a una domanda di protezione internazionale, esaminata nell'ambito del regime speciale applicabile alle domande presentate dai richiedenti provenienti da Paesi di origine sicuri, può verificare, anche solo in via incidentale, se tale designazione rispetti le condizioni sostanziali enunciate nella Direttiva e, dall'altro, garantire alle parti in causa il rispetto del principio del contraddittorio;
2) l'art.37 della Direttiva 2013/32,dev'essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro designi come Paese di origine sicuro uno Stato che non soddisfi, per talune categorie di persone, le condizioni sostanziali di siffatta designazione,
La sentenza in questione è stta emanata a seguito di due domande di pronuncia pregiudiziale sollevate dal Tribunale ordinario di Roma – relative a due cittadini della Repubblica del Bangladesh che, dopo essere stati soccorsi in mare dalle Autorità italiane, erano sono stati condotti, in forza del “protocollo stipulato tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania”, presso un Centro di permanenza in Albania dal quale avevano presen tato domanda di protezione internazionale alle Autorità italiane.
Sin qui la controversa sentenza che, invero, pone un vincolo a qualsiasi decisione assunta senza il controllo di un Giudice della designazione dl Paese d’origine come Paese sicuro ai fini del rimpatrio coattivo.
Una pronuncia che è rapparsa a molti come un avvertimento ai centri di Shengjin e Gjader in Albania, in cui le Autorità italiane stanno trasferendo i Migranti soccorsi nel Mediterraneo e provenienti da Paesi ritenuti sicuri, in attesa di un giudizio accelerato sulle loro richieste d'asilo.
I Giudici della Corte europei, su questo punto, sono stati netti nell’affermare che “un Governo può designare un Paese terzo come sicuro tramite decreto legge, ma soltanto a patto che quella scelta possa essere sottoposta al vaglio di un Giudice nazionale e che, fino all'entrata in vigore del nuovo Regolamento Ue del 12 guugno 2026 e del Patto per la Migrazione, nessun Paese può essere considerato sicuro se non garantisce protezione all'intera popolazione.
La sentenza ha subito suscitato forti critiche negli ambienti del Governo Italiano per la quale la Corte Europea è stata accusata di rivendicare "spazi che non le competono, consegnando così ai Giudici nazionali le chiavi, non soltanto dei casi individuali, ma anche dell'intero capitolo su rimpatri ed espulsioni degli irregolari, che sarebbe prerogativa delle scelte "politiche" operata dal Governo”(Sic!!)..
Non è mancata neppure la replica dell’ Opposizione contro i Centri albanesi ritenuti "inumani" e "illegali" accusando il Governo di calpestare "i diritti fondamentali"e di avere "sperperato denaro "che avrebbe potuto rafforzare il comparto della Sanità.
Il contrasto teso con la Corte Europea si era intuito già durante l'udienza generale per affrontare i nodi sollevati dal Tribunale di Roma, che contestava la legittimità dei fermi dei migranti trasferiti oltre Adriatico, sulla base della lista compilata dei 19 Paesi che l'Italia considera sicuri, tra cui Egitto, Bangladesh e Tunisia.
Di tutt'altro avviso la Commissione Ue, che aveva, invece, sostenuto la posizione italiana per le”soluzioni innovative” adottate sulla migrazione sostenute anche da larga parte dei Governi dell'Est e del Nord Europa e dalla stessa Presidente Ursula von der Leyen, che, determinata a rafforzare i rimpatri, lo scorso aprile aveva proposto un primo elenco Ue di 7 Paesi d'origine sicuri, tra cui gli stessi Bangladesh, Egitto e Tunisia.
Tuttavia, va sottolineato che i Giudici della Corte Ue hanno richiamato i Governi al rispetto delle garanzie previste dalla normativa vigente, in attesa della entrata in vigore del nuovo Regolamento che da giugno 2026 introdurrà designazioni più flessibili dei Paesi sicuri.
Al di là delle polemiche politiche, suscitate dalla decisione, merita di essere evidenziato l’intervento del Pof.Sabino Cassese Giudice Emerito della Corte costituzionale, sulla delicata questione, il quale ha affermato che “La sentenza sui migranti é una sentenza inutile e suicida perché sembra affermare che l’Ue non è un ordine giuridico unitario, ma una babele di diritti”
Secondo Cassese, i Giudici hanno stabilito, con una discutibile decisione, che uno Stato membro dell’UE può decidere anche con atto legislativo se un Paese di origine di un immigrato sia sicuro e che qualsiasi Giudice nazionale può control lare se tale decisione legislativa sia corretta sul piano giuridico.
Inoltre, laddove la decisione prevede che “il Legislatore deve motivare la sua decisione indicando le fonti di informazione che hanno consentito di stabilire che il Paese di origine è sicuro e che il Giudice può a sua volta valutare la sicurezza di quel Paese attingendo ad altre informazioni” e che “un Paese di origine può essere definito sicuro solo se lo è per tutte le categorie di persone”, ha riconosciuto che il Regolamento del 2024,che entrerà in vigore nel 2026, stabilisce il principio opposto e che l’Ue può anticiparne l’attuazione, come la Commissione UE ha già proposto di fare”.
E aggiunge che “La Direttiva 32 del 2013, all’articolo 37, stabilisce che gli Stati membri possono adottare una ‘normativa’ per designare ‘a livello nazionale’ i Paesi di origine sicuri, la sentenza non tiene conto per nulla dell’espressione ‘a livello nazionale’, che implica un giudizio svolto da una sola Autorità centrale”.
Orbene, secondo l’autorevole Giurista, “I giudici non possono decidere a livello nazionale in quanto ciascun Giudice potrebbe decidere in modo diverso.
Inoltre, la Direttiva fa riferimento a una ‘normativa’ e con questo termine indica un’Autorità che ha potere normativo, non giurisdizionale, mentre la Corte di giustizia lascia al singolo Giudice il potere di decisione.
“In conseguenza, la Corte non tiene conto né del fatto che, a quel punto, ogni Giudice adito può giungere a conclusioni diverse da altri Giudici, né del fatto che i Giudici non necessariamente sono attrezzati per svolgere una complessiva valutazione di sicurezza di un Ordinamento straniero, che richiede la conoscenza del suo diritto e delle prassi applicative, tanto più difficili da verificare in quanto va anche accertato se la sicurezza o insicurezza del paese riguarda singole categorie di persone”.
Invero la sentenza stabilendo che i singoli giudici possono tener conto di altre informazioni da essi stessi eventualmente raccolte non fornisce un contributo allo sviluppo del diritto comparato nei Paesi dell’Unione ma ad una nuova babele”
Pertanto, secondo Cassese, la Corte sarebbe andata ben oltre il ruolo che dovrebbe svolgere poiché “La Corte di giustizia ha ignorato che l’obiettivo della Direttiva UE è quello di distinguere in via preliminare tra i richiedenti asilo che hanno buone chance di protezione e quelli che ne hanno meno, perché provengono da Paesi generalmente sicuri.Agli uni e agli altri è anche garantito un esame della domanda e il diritto di ricorrere al Giudice ma non per impedire la libera circolazione di chi probabilmente sta abusando del diritto, che gli Stati membri possono trattenere durante la decisione sulla protezione e in tal modo velocizzare il rimpatrio. La decisione della Corte vanifica questo obiettivo, favorendo la libera circolazione nell’Ue di chi abusa dell’asilo”.
Infine il Professore evidenzia che “La Corte di giustizia chiede di introdurre in Italia un nuovo principio costituzionale, prevedendo un obbligo di motivazione delle leggi ed, in conseguenza, se l’atto legislativo che designa il Paese sicuro deve essere motivato e assoggettato al controllo delle condizioni sostanziali da parte di ‘qualsiasi Giudice nazionale’, si apre la porta alla disapplicazione della norma nazionale da parte dei Giudici senza passare attraverso un controllo di costituzio nalità e, in effetti, attraverso un’unica Autorità giurisdizionale aprendo così la strada all’affermazione di una pluralità di diritti, tanto numerosi quanti sono i Giudici.
D’ora in poi, per un Tribunale un Paese potrà essere sicuro, per un altro no; una certa categoria di persone, anche numericamente molto limitata, potrà considerarsi protetta nel suo Paese, per un altro no, con la conseguenza che l’intero Paese non sarà sicuro e tutti i richiedenti da esso provenienti potranno circolare liberamente nell’area Schengen”..
Pertanto, conclude Cassese “ si tratta di una sentenza suicida perché sembra affermare che l’Ue non è un ordine giuridico unitario, ma una babele di diritti.e una sentenza inutile sia perché ora dovrà pronunciarsi la Cassazione italiana sia perché dal 2026 entra in vigore la nuova disciplina europea che prevede la sede europea per definire i Paesi sicuri” (!!).
Indubbiamente critiche di tutto rispetto alla sentenza emenata dalla Corte di Giustizia in sessione plenaria che non tiene in alcun conto delle possibili quanto fondate osservazioni alla decisione come formulate dall’Illustre Giurista italiano.
In sintesi, la sentenza affronta questioni pregiudiziali relative all’applicazione della Direttiva 2013/32/UE sulla protezione internazionale, specie in relazione al concetto di“Paese di origine sicuro” segnando un punto di svolta nel dibattito giuridico e politico sul nuovo Patto Europeo sull’Asilo e la Migrazione sotto (almeno) tre profili.
In primo luogo, impone un rafforzamento del controllo giurisdizionale in quanto stabilisce che la designazione di un “Paese di origine sicuro” da parte di uno Stato membro, anche se sancita da una legge legittimamente adottata dal Legislatore, deve essere soggetta a controllo giurisdizionale effettivo, sicché è compito esclusivo dei Giudici nazionali valutare la fondatezza delle fonti informative su cui si basa tale designazione.
Inoltre, la Corte ribadisce l’obbligo di trasparenza e accessibilità, in quanto dispone che le fonti utilizzate per dichiarare un Paese “sicuro” devono essere verificabili e affidabili nonché siano nella piena disponibilità del richiedente asilo e del Giudice, così limitando, di fatto, l’uso politico delle liste di Paesi sicuri come strumenti di rimpatrio accelerato.
Infine, si fissano limiti alla presunzione di sicurezza atteso che un Paese non può essere considerato “sicuro”se non garantisce protezione effettiva a tutta la popolazione, incluse minoranze e gruppi vulnerabili.
Tuttavia, benché, nell’immediato, la sentenza metta in discussione il protocollo Italia-Albania, che prevede il trasferimento dei migranti in Centri istituiti alll’estero, in un futuro prossimo esso determinerà un riposizionamento del Patto Comune di Asilo e Migrazione della Ue atteso che la decisione anticipa, di fatto, l’entrata in vigore, prevista a giugno 2026,del nuovo Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’UE 2024/1348,che consentirà eccezioni per categorie vulnerabili, imponendo, fino ad allora, una interpretazione restrittiva, rafforzando il primato del diritto dell’Unione e la tutela dei diritti fondamentali.
In particolare, l’evoluzione della disciplina in materia prevista del Patto si colloca all’intersezione fra normative sovranazionali, istanze costituzionali degli Stati membri e giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ed, in conseguenza, la sentenza costituisce un momento paradigmatico per la ridefinizione dei limiti e delle garanzie dell’attuale sistema europeo di protezione, individuando principî non derogabili della protezione internazionale, affinché il “nemo expellendus in terrorem” non sia solo retorica, ma divenga una vera e propria prassi.
La pronuncia della Corte, nel sancire l’obbligo per gli Stati membri di non considerare automaticamente “sicuro”un Paese terzo, sulla base di una mera designazione normativa, ridisegna un’infrastruttura normativa idonea alla tutela dei Migranti, chiarendo che la “presunzione di sicurezza”, finora elemento cardine per l’accelerazione delle procedure d’asilo e dei trasferimenti, deve essere supportata da un’analisi concreta e trasparente, soggetta al vaglio giurisdizionale.
Ne risulta che la decisione in commento obbliga il Patto a confrontarsi con il principio di effettività del diritto alla protezione internazionale, quale norma imperativa dell’ordine giuridico europeo, sancendo che i meccanismi di redistribuzione e di gestione dei flussi migratori non possono prescindere da garanzie individuali, soprattutto per soggetti vulnerabili, come minori non accompagnati e richiedenti con particolari esigenze mediche o psico-sociali.
Nel quadro del Patto, questo comporta il superamento delle liste in favore di un approccio multilivello, che impone il rispetto del principio del non-refoulement, in particolare, e della Convenzione di Ginevra, in generale, aggiungendo alle libertà europee valori condivisi come Dignità, Equità e protezione.
Per tale ragione il Regolamento, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nella Ue, dovrà garantire spazi normativi per deroghe protettive, preservando l’equilibrio tra Sovranità degli Stati e obblighi derivanti dall’apparte nenza all’Unione Europea.
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