L’onere probatorio nel settore dell’ambito del contenzioso bancario.

L’onere probatorio nel settore dell’ambito del contenzioso bancario.

Trasparenza bancaria. Esibizione della documentazione bancaria in favore del cliente e limiti nelle loro richieste. Connessione tra l’art. 210 c.p.c. e l’art. 199 T.U.B.

Lunedi 25 Luglio 2022

Con la sentenza 13 settembre 2021, n.24641, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di un tema che, nell’ambito del contenzioso tra Banche (eventuali loro cessionari) e clienti, giunge con notevole frequenza all’attenzione della Magistratura: quella relativa alle condizioni del diritto di cui all'art. 119 TUB e dei rapporti di tale norma con le regole processuali, in particolare, con l'istanza di esibizione documentale chiesta dal correntista.

Per meglio assumere l’importanza della questione, converrà partire da considerazioni di ordine generale sul tema dell’onere probatorio nel settore dell’ambito del contenzioso bancario.

Come noto, la giurisprudenza di merito, da tempo, ha ritenuto che se il correntista agisce in giudizio attraverso un’azione di accertamento negativo del saldo di conto corrente e di ripetizione dell’indebito, sia onere suo, in applicazione degli ordinari criteri di riparto sanciti dall’art. 2697 c.c., fornire l’adeguata a prova dei propri assunti e produrre la documentazione posta a base delle proprie richieste. Il cliente, che invochi l’adozione di una sentenza di accertamento della parziale nullità del contratto di conto corrente, perché redatto in violazione delle disposizioni imperative in tema di divieto di anatocismo o di usura, e di condanna della banca alla restituzione degli importi in ipotesi illegittimamente versati in applicazione delle clausole negoziali colpite da nullità, deve, quindi, produrre in giudizio, nel rispetto delle preclusioni istruttorie, che coincidono con lo spirare dei termini di cui all’art. 183 co. 6 c.p.c., i contratti di conto corrente, le eventuali aperture di credito, nonché tutta la sequenza degli estratti conto e ogni altra documentazione rilevante.

Siffatto orientamento è stato, di recente, mutuato e fatto proprio anche dalla giurisprudenza di legittimità, avendo la Suprema Corte ritenuto che «In tema di contratto di conto corrente bancario, il correntista che agisca per la ripetizione dell'indebito, tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi, è onerato di documentare l'andamento del rapporto con la produzione degli estratti conto, i quali evidenziano le singole rimesse che, per riferirsi ad importi non dovuti, sono suscettibili di ripetizione» (cfr. Cfr. Cassazione Civile, sez. VI, 23/10/2017,  n. 24948).

A rigor di logica, pertanto, quando sia il cliente ad agire in giudizio in qualità di attore è ad esso che incombe l’onere della prova. Tale principio, peraltro, viene ad essere diversamente declinato in relazione ad un tema di frequente verificazione, specie in relazione a rapporti bancari la cui origine è risalente nel tempo, che ricorre quando la documentazione contabile prodotta in giudizio dall’attore (gli estratti conto) sia frammentata, incompleta, non coprendo l’intero arco di durata del rapporto, ma solo un limitato arco temporale.

In siffatta situazione, a fronte di un orientamento più rigoroso, ma minoritario, che ritiene di non poter accogliere la domanda di ripetizione dell’indebito (vedi Cass. sez. 1, Ordinanza n. 30822 del 28/11/2018), si annota un altro e più permissivo orientamento, in passato già notevolmente diffuso nelle corti di merito, a mente del quale, «Nel caso di domanda proposta dal correntista, l'accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l'utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all'inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi i quali consentano di affermare che il debito, nell'intervallo temporale non documentato, sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, o che permettano addirittura di affermare che in quell'arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo dal primo saldo debitore documentato» (Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 11543 del 02/05/2019; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 29190 del 21/12/2020).

La tematica che ivi si osserva ha un collegamento stretto anche ad un ulteriore profilo, sul quale si è soffermata pure la sentenza oggetto di commento, che è quello afferente i poteri di acquisizione documentale propri del CTU.

Posto, che nel settore del contenzioso bancario il Giudice dispone normalmente una CTU al fine di accertare, sulla scorta della documentazione offerta dalle parti, il certo ammontare del saldo contabile del rapporto, scorporandolo dalle poste contabili addebitate dalla banca in applicazione di clausole negoziali affette da nullità,  non infrequente è l’ipotesi in cui la documentazione utile per l’espletamento dell’indagine peritale (principalmente gli estratti del conto corrente) venga acquisita direttamente dal CTU su disposizione del giudice.

Tale situazione pone problemi di compatibilità con il regime delle preclusioni istruttorie, dal quale è retto attualmente il processo civile nel nostro ordinamento, che, in linea di principio, crea una barriera temporale, anteriore al conferimento dell’incarico peritale ed allo svolgimento della CTU, oltre la quale ogni ulteriore acquisizione documentale risulta non più utilizzabile.

Ed invero, il caso verificatosi nella fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 2021, n.24641 del 2021, riguardava proprio l’acquisizione di documentazione bancaria relativa al conto corrente, non avvenuta legittimamente e  tempestivamente nel corso del processo, tramite la sua produzione ed allegazione da parte dell'attore, a ciò onerato, nei termini di cui all'articolo 183 c.p.c., comma 6, ma invece prodotta direttamente al CTU in occasione delle operazioni peritali.

Valorizzando tale profilo, la Corte di Appello, nel riformare la sentenza di prime cure, aveva respinto la domanda proposta dal correntista, volta ad ottenere la condanna del convenuto istituto di credito alla ripetizione di quanto pagato per interessi anatocistici non dovuti. Nel respingere il ricorso proposto dal correntista, così confermando la sentenza di merito, la Corte di Cassazione, nella pronuncia in esame, ha chiaramente affermato, ribadendo principi assolutamente consolidati e condivisi anche dalla giurisprudenza di merito, che «[…] non è consentito al consulente nominato dal giudice di sostituirsi alla parte, andando a ricercare aliunde i dati che devono essere oggetto di riscontro da parte sua, che costituiscono materia di onere di allegazione e di prova (ovvero gli atti e i documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua pretesa), e che non gli siano stati forniti, magari acquisendoli dalla parte che non li aveva tempestivamente prodotti, in quanto in questo modo il giudice verrebbe impropriamente a supplire al carente espletamento dell'onere probatorio, in violazione sia dell'articolo 2697 c.c., che del principio del contraddittorio. Il giudice, pertanto, non deve disporre la consulenza ogni qual volta si avveda che la richiesta della parte tende a sopperire alla deficienza della prova, ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provate (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26151). Il corretto espletamento dell'incarico affidato al consulente non comporta alcun potere di supplenza, da parte di quest'ultimo, rispetto al mancato assolvimento, da parte dei contendenti, dei rispettivi oneri probatori ... […]».

 Quello dianzi descritto, rappresenta il perimetro all’interno del quale deve essere riposta anche la questione dei rapporti tra l’art. 119 T.U.B. e l’art. 210 c.p.c.. Come chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza di cui si sta discorrendo, l'art. 119 TUB costituisce presidio del principio di trasparenza dell'attività bancaria. La finalità è quella di rendere chiaro e comprensibile all'utente medio il funzionamento del rapporto con la banca: la trasparenza è preordinata alla piena conoscenza, da parte del cliente, del rapporto bancario in essere e dei costi ad esso associati.

La norma in esame contiene, poi, due previsioni distinte: 1) ai sensi del 2° comma l’istituto di credito è tenuto a trasmettere periodicamente gli estratti conto al cliente; 2) ai sensi del 4° comma il cliente, o chi per lui (ad esempio, l'erede, il curatore fallimentare, il fideiussore), ha diritto di ottenere copia degli estratti conto che pur la banca gli abbia periodicamente trasmesso.

Come precisato dalla Corte, il diritto riconosciuto al cliente dal 4° comma dell’art. 119 non presuppone affatto la dimostrazione del mancato invio degli estratti conto in corso di rapporto. La norma, infatti, “nell'ottica della trasparenza, consente al cliente di smarrire, se non distruggere, gli estratti conto, per poi nuovamente richiederne copia, sempre nei limiti del decennio anteriore, col solo onere di pagamento della relativa spesa”. Inoltre, mentre l’obbligazione della banca di trasmettere periodicamente al cliente gli estratti conto sorge con la stipulazione del contratto, “con la conseguenza che l'inadempimento dell'obbligazione … si consuma una volta che il termine sia spirato senza che la banca abbia provveduto, salvo il caso della causa non imputabile, alla consegna degli estratti conto nei modi contrattualmente previsti”, l’obbligazione disciplinata dal 4° comma “sorge sì dal contratto, ma deve essere adempiuta solo se il cliente abbia avanzato la relativa richiesta, sicché, fintanto che la richiesta non sia stata avanzata attraverso l'esercizio della facoltà normativamente contemplata, neppure diviene attuale l'obbligazione in capo alla banca, con l'ulteriore conseguenza che non è pensabile il concretizzarsi di un suo inadempimento, che invece scatta solo ove la richiesta del cliente vi sia stata, e sia spirato inutilmente il termine allo scopo previsto”.

Siffatte tali premesse generali, la Corte passa poi ad affrontare una delle tematiche di maggiore interesse, in relazione alle cause instaurate dai clienti nei confronti delle banche: “se il cliente possa avanzare la domanda per così dire «al buio», riservando di proporre in sede giudiziale, solitamente per il tramite dell'articolo 210 c.p.c., l'istanza di deposito in giudizio, da parte della banca, degli estratti conto dell'ultimo decennio, necessari a fornire il supporto probatorio, sia pur soltanto ipotetico, alla domanda in tal modo per l'intanto esplorativamente avanzata”.

Rispetto al richiamato quesito, la pronuncia in commento ricorda come la maggior parte della giurisprudenza di merito sia orientata in termini assolutamente rigorosi, escludendo la possibilità di avvalersi del 4° comma dell'articolo 119 T.U.B. direttamente in sede giudiziale, se non sia stata preventivamente avanzata alla banca l'istanza prevista dalla norma, e la banca non abbia ottemperato nel termine.

La sentenza riconosce altresì l’esistenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un orientamento prevalente, che si è invece espresso in termini favorevoli alla possibilità per il correntista di esercitare il diritto, riconosciuto dal 4° comma dell’art. 119 T.U.B., di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente anche in corso di causa ed attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo, ivi compresa, cioè, l'istanza di esibizione di cui all'articolo 210 c.p.c. (ad esempio: Cass. 11 maggio 2017, n. 11554; Cass. 8 febbraio 2019, n, 3875; Cass. 4 dicembre 2019, n. 31650; Cass. 30 ottobre 2020, n. 24181).

Secondo questa impostazione, l'articolo 119 T.U.B., 4° comma, non prevede alcuna limitazione: “Nell'assegnare al "cliente..." la facoltà di ottenere opportuna documentazione dei propri rapporti bancari, la norma del comma 4 dell'art. 119 TUB non contempla, o dispone, nessuna limitazione che risulti in un qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito. D'altra parte, non risulta ipotizzabile ragione che, per un verso o per altro, possa giustificare, o anche solo comportare, un simile risultato”. Per sostenere tale assunto, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente esalta, altresì, le finalità di trasparenza e di protezione del correntista perseguite con la previsione di cui all’art. 119 T.U.B.. Se la ratio della norma è quella di consentire al correntista di ottenere su idonei supporti documentali informazioni afferenti all’andamento del rapporto con la banca, non può ritenersi corretta, si sostiene, una soluzione “che limiti l'esercizio di questo potere alla fase anteriore all'avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto. Ché una simile ricostruzione non risulta solo in netto contrasto con il tenore del testo di legge, che peraltro si manifesta inequivoco. La stessa tende, in realtà, a trasformare uno strumento di protezione del cliente ... in uno strumento di penalizzazione del medesimo: in via indebita facendo transitare la richiesta di documentazione del cliente dalla figura della libera facoltà a quella, decisamente diversa, del vincolo dell'onere”. 

Tali risultano gli argomenti addotti a supporto dell’orientamento maggioritario ma la Cassazione con la sentenza resa lo scorso 13 settembre 2021, n.24641 dichiara apertamente di volersene discostare, ritenendo che allo stesso non debba darsi continuità.

La Corte, infatti, muove dalla premessa che l’art. 119 T.U.B. sia una norma di carattere sostanziale, mediante la quale il legislatore, nell’ottica della trasparenza, riconosce al cliente il diritto di ottenere copia della documentazione afferente al rapporto intrattenuto con la banca, con il limite temporale del decennio. Poiché si tratta di norma sostanziale e considerato che il legislatore non ha con essa in alcun modo inteso derogare alle regole processuali che presiedono al riparto degli oneri probatori, non può, ad avviso della Corte, condividersi l’affermazione dell’indirizzo maggioritario, secondo cui l’esercizio del diritto di consegna dei documenti, ex art. 119 comma 4° T.U.B., possa avvenire anche a giudizio pendente, “attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo”, sebbene il correntista non abbia previamente effettuato la richiesta alla banca, e questa non vi abbia adempiuto, ivi compreso l'ordine di esibizione impartito dal giudice ai sensi dell'articolo 210 c.p.c..

Ad un simile risultato, chiarisce la Corte, si sarebbe potuti pervenire solo se il tenore letterale dell’art. 119 avesse chiaramente manifestato l’intenzione del legislatore di voler derogare agli ordinari canoni disciplinanti gli oneri probatori nel processo civile. Ma, poiché la norma in esame nulla prevede al riguardo, aderire all’impostazione maggioritaria significa, in definitiva, far dire ad essa più di quanto possa trarsi dal suo tenore letterale, in aperta violazione dell'articolo 12 delle preleggi, il quale esige tuttora che nell'applicare la legge non si possa ad essa attribuire altro senso che quello “fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse”, oltre che dalla intenzione del legislatore.

L’impostazione maggioritaria, pertanto, nel sostenere che il cliente, attore in azione di accertamento negativo, anche senza avere previamente chiesto alla banca in via stragiudiziale la consegna dei documenti, possa, a giudizio pendente, avvalendosi dell’art. 119 4° comma T.U.B., ottenere dal Giudice l’adozione di un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., concernente l’obbligo dell’istituto di credito di produrre gli estratti conto che l’attore non abbia prodotto, giunge a scardinare le regole del riparto degli oneri probatori siccome definite dalla fondamentale disposizione dettata dall'articolo 2697 c.c., applicato alla materia dei contratti di conto corrente bancario, di cui all’inizio di questa analisi si è dato conto.

Le finalità di trasparenza e di protezione, alle quali l’art. 119 T.U.B. innegabilmente consente di assolvere, non legittimano, del resto, l’affermazione secondo cui sarebbe, tramite detta norma, consentito di derogare alle regole processuali sul riparto degli oneri probatori.

Così delineato l’ambito di applicazione dell’art. 119 T.U.B., la Cassazione afferma, quindi, che “il cliente può, se lo ritiene, e se ... ne ha l'esigenza, chiedere direttamente alla banca, e non per il tramite del giudice, la consegna degli estratti conto dell'ultimo decennio: una volta inoltrata la richiesta, la banca è obbligata ad effettuare la consegna entro il termine previsto. E la norma così congegnata, in difetto di alcuna previsione normativa in tal senso, non impatta affatto né sul riparto degli oneri probatori, né sulla disciplina processuale applicabile”.

Naturalmente, precisa la Corte, l’istanza ex art. 119 T.U.B. potrà essere avanzata dal cliente anche a giudizio pendente, al fine di farsi consegnare dalla banca la documentazione che gli occorre per fornire in giudizio la prova delle proprie ragioni. Nel caso in cui la banca non ottemperi alla richiesta del cliente, questi dispone di vari strumenti di tutela per ottenere coattivamente l’adempimento dell’obbligo (procedimento monitorio, ricorso all'ABF, procedimento sommario di cognizione).

Inoltre, il cliente ha a disposizione lo strumento dell’art. 210 c.p.c..

Tale norma, come interpretata dalla prevalente giurisprudenza della Cassazione, “non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte istante (Cass. 8 agosto 2006, n. 17948; Cass. 25 maggio 2004, n. 10043), sicché l'ordine in questione può essere impartito ad una delle parti del processo con esclusivo riguardo a documenti (o altre cose) la cui acquisizione al processo sia necessaria, e cioè atti concernenti la controversia, i.e. atti o documenti specificamente individuati o individuabili, dei quali sia noto, o almeno assertivamente indicato, un preciso contenuto, influente per la decisione della causa. Grava sulla parte che invochi l'intervento officioso del giudice l'onere di allegare e provare l'esistenza di una situazione eccezionale che legittimi l'utilizzo di tali poteri, ovvero l'impossibilità o particolare difficoltà di assolvere altrimenti all'onere probatorio (Cass. 30 dicembre 2009, n. 28047). In ogni caso, l'ordine di esibizione di un documento non può essere disposto allorquando l'interessato può di propria iniziativa acquisirne una copia e produrla in causa (Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475)”.

Applicando tali principi al caso delle controversie tra banche e clienti, la Cassazione afferma, quindi, che “se il cliente, o chi per lui, ha esercitato il diritto di cui al quarto comma dell'articolo 119, e la banca non vi ha ottemperato, l'ordine di esibizione è, in presenza dei presupposti ora indicati, indubbiamente impartito in conformità alla previsione normativa. Se il cliente non ha effettuato la preventiva richiesta, inadempiuta, non vi sono margini per l'ordine di esibizione di cui all'articolo 210 c.p.c.”.

Da qui il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte : “il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell'amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall'art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385/1993, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l'istanza di cui all'articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca, che senza giustificazione non vi abbia ottemperato; la stessa documentazione non può essere acquisita in sede di consulenza tecnica d'ufficio contabile, ove essa abbia ad oggetto fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse”.

In conclusione, si ritiene che la Suprema Corte, nella sentenza in commento, abbia avuto il merito di avere fornito una lettura dell’art. 119 comma 4° T.U.B. in sintonia con gli orientamenti consolidati della medesima Corte in tema di riparto degli oneri probatori, quali affermati sia in generale che nel settore del contenzioso bancario in particolare.

L’orientamento allo stato maggioritario, invece, nell’ammettere l’utilizzo senza limitazioni della disposizione dettata dall’art. 119, finisce, in definitiva, con il consentire l’instaurazione del giudizio, ad opera del cliente, senza che questi si sia previamente munito della documentazione necessaria a dimostrare la fondatezza delle proprie ragioni o non abbia rivolto alla propria banca la richiesta intesa ad ottenerla.

Inoltre, è agevole ed anche auspicabile ipotizzare, stante la delicatezza della questione, che in ordine ad essa possano in futuro pronunciarsi le Sezioni unite, al fine di dirimere il contrasto che, allo stato, innegabilmente si registra nella giurisprudenza delle Sezioni semplici. 

Allegato:

Cassazione civile sentenza 24641 2021

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