Corte Costituzionale: legittima la norma che vieta la PMA alle donne singole

Corte Costituzionale: legittima la norma che vieta la PMA alle donne singole

La Consulta ha ritenute infondate le doglianze di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze, in relazione all'art. 5 della Legge. 19 febbraio 2004, n. 40 («Norme in materia di procreazione medicalmente assistita»), poiché la norma non prevederebbe che anche la donna singola possa accedere alle tecniche della PMA.

Mercoledi 28 Maggio 2025

La legittimità del divieto trova conferma nelle motivazioni contenute nella pregevole sentenza n.69 del 22 Maggio 2025 che ha escluso tale possibilità di accesso in base ad un ampio ed articolare commento che si riporta in sintesi qui di seguito.

La Legge 40 del 2004,che regolamenta il ricorso a tecniche di PMA, limita, invero, l’accesso ad ogni coppia che abbia problemi accertati di infertilità o di sterilità.

Si tratta di una legge importante, che, dalla sua approvazione, ha subito diverse modifiche, che, tuttavia.non hanno riguardato l’art 5 in base al qualeFermo restando quanto stabilito dall’art.4,co.1,possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”, escludendo, tuttavia, da tale possibilità le donne singole che vogliono sottoporsi a tale trattamento.

In precedenza, la stessa Corte aveva rigettato la medesima questione di legittimità avanzata per le coppie omosessuali femminili mentre, con una sentenza del 2015, aveva consentito l’accesso alla procreazione assistita per le coppie fertili con malattie genetiche trasmissibili che, fino a tale decisione, potevano ricorrere solo all’aborto terapeutico, come previsto dalla Legge 194/78.

Pertanto, le tecniche di PMA sono, ancora oggi, vietate per Legge ai single e alle coppie omosessuali così come è ancora ritenuta illecita la fecondazione post mortem con spermatozoi appartenenti ad un marito o al compagno deceduto.

Vista la crescente richiesta di intervento da parte delle coppie infertili o sterili, a causa delle limitazioni imposte agli Operatori, che si traducevano, tuttavia, in una diminuzione delle possibilità di gravidanza, sono stati avviati in tutta Italia, nei Tribunali civili, numerosi ricorsi contro la Legge regolatrice che, all’esito, hanno prodotto sentenze della Consulta di segno contrario alla eccepita legittimità della normativa ma anche solutorie in altre ipotesi.

Tra esse vanno ricordate la prima sentenza che, nel 2009,ha ristabilito il principio che a decidere quanti ovuli inseminare fosse il medico, d’accordo con la coppia, tenendo conto della situazione clinica, dell’età della donna e, soprattutto, introducendo il concetto di tutela della salute della stessa, ignorato dalla Legge 40/2004.

Inoltre, nel 2014,la Corte emanava un’altra storica sentenza che ha abrogato il divieto di fecondazione eterologa, affermando come, in base a questo divieto, venissero colpite anche le coppie con una causa assoluta di infertilità dovuta all’assenza di ovuli o spermatozoi.

Nel 2015 la Corte aveva, anche, consentito l’accesso alla PMA a coppie fertili con patologie trasmissibili, come innanzi ricordato.

In definitiva, il testo attuale della Legge 40 riconosce la possibilità in Italia per :

  • L’accesso alle tecniche di PMA e procreazione assistita anche alle coppie fertili con malattie genetiche trasmissibili al bambino;

  • La diagnosi genetica pre-impianto al fine di scoprire eventuali anomalie genetiche dell’embrione e impiantare solo embrioni sani, sia per le coppie fertili sia per quelle infertili.

  • La possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa per le coppie eterosessuali.

  • Il congelamento o crioconservazione degli embrioni eventualmente prodotti in eccesso da utilizzare qualora il primo impianto sia inefficace o la coppia voglia altri figli in un secondo momento.

Rimane invariato, comunque, il divieto della procreazione assistita per le coppie omoses- suali, che, invece, è consentita in molti Paesi europei, come è vietata dalla Legge anche la maternità c.d.“per altri” ossia il ricorso a una donna estranea alla coppia per portare avanti la gravidanza, sebbene la procedura sia consentita in un numero molto limitato di altri Paesi, soprattutto extra UE.

Va ricordato, tuttavia, che, per impedire il proliferare dell'accesso a trattamenti all’Estero, è stata emanata, di recente, la Legge n.169/2024, recante modifiche all’art. 12 della Legge n. 40,in materia di perseguibilità del reato di gestazione per altri, anche se commessa all’estero da cittadini italiani.

In Italia, la gestazione per altri (GPA), nota anche come maternità surrogata o, in senso dispregiativo, come "utero in affitto", era già stata vietata dall’art.12 della Legge 40/2004 che punisce “chiunque realizza, organizza o pubblicizza la gestazione per altri e il commercio di gameti o embrioni con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600.000 a 1/milione di euro”.

Le modifiche apportate all’art 12,co.6, hanno aggiunto la dicitura«Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla maternità surrogata, sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana».

Fatta questa debita premessa, occorre esaminare, in sintesi, le motivazioni che presiedono alla decisione della Corte delle Leggi sul rigetto della eccepita illegittimità dell’art.5.

Con Ordinanza del 4/9/2024,il Tribunale di Firenze, sezione prima civile, aveva sollevato alcune eccezioni di legittimità costituzionale della norma contestata nella parte in cui la stessa limita l’accesso alle tecniche di PMA le «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi», ma non anche alle donne singole.

Nel motivare l’Ordinanza, il Giudice Fiorentino aveva affermato che, a fronte di una richiesta di accesso alla PMA, il Centro interpellato l’aveva negata all’interessata a causa del divieto previsto dalla Legge per le persone singole, come innanzi ricordato.

A seguito di tale rifiuto, la ricorrente proponeva ricorso cautelare “ante causam” al Tribu nale, chiedendo, in via principale, di disapplicare l'art. 5 per contrasto con gli artt. 8 e 14 CEDU, ed, in conseguenza, che venisse ordinato a detto Centro di accogliere la richiesta di accesso alla tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo con l’ausilio della procedura medica a carico del Servizio Sanitario Regionale.

In via subordinata, la stessa ricorrente chiedeva al Giudicante di sollevare dinanzi alla Corte delle Leggi la questione di legittimità costituzionale del contestato art.5.

Il Tribunale adito, dopo aver constatato che, dal contenuto dell'articolo ritenuto illegittimo, si evinceva un divieto di accesso alle tecniche di PMA per le persone singole, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma, nella parte in cui la stessa prevede detta esclusione, in quanto non avrebbe trovato applicazione nel caso di specie ove le eccezioni fossero state accolte dalla Corte, consentendo al Giudice di accogliere il ricorso cautelare introdotto nel giudizio principale.

Il Giudice Toscano aveva ritenuto, nell’Ordinanza, che la norma violasse gli artt.2 e 13 Cost., sacrificando irragionevolmente il diritto incoercibile della persona di scegliere di costituire una famiglia, anche con figli non genetici, in violazione della libertà di autodeterminazione per le scelte procreative.

Inoltre, sempre a parere dello stesso Tribunale, la norma censurata ledeva l'art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento tra coppie e persone singole, benché nel nostro Ordinamento sia ammessa e tutelata la famiglia monogenitoriale.

In aggiunta, il divieto censurato cagionava una discriminazione derivante dalle risorse economiche delle aspiranti madri, in quanto, l'accesso alle tecniche di PMA, verrebbe consentito solo a donne in grado di sostenere i costi necessari per avvalersi di tali procedure all'Estero.

Infine, sulla delicata questione, sarebbe ravvisabile un contrasto anche con l'art. 32 Cost., poiché il divieto di accesso alle tecniche di PMA per la donna singola, precluderebbe a quest'ultima«la prospettiva di divenire madre, anche a causa del fattore temporale legato alla sua fertilità», il che andrebbe a riverberarsi negativamente sulla salute della stessa, come stabilito dalla stessa Corte Cost. nella sentenza n.161/2023.

Peraltro, secondo il Tribunale remittente, il controverso articolo violerebbe anche l'art.117, primo comma, della Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nonché agli artt. 3,7,9 e 35 CDFUE, posto che il divieto ivi previsto «confligge[rebbe] con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e con il diritto all'integrità fisica e psichica, la libertà di autodeterminazione e di scelta in ordine alla propria sfera privata, con particolare riguardo al diritto di ciascuno alla costituzione di un proprio modello di famiglia».

Costituendosi in giudizio, l’Avvocatura dello Stato aveva sostenuto, in via preliminare, l'inammissibilità delle questioni sollevate, in quanto la pronuncia richiesta alla Corte sarebbe stata manipolativa implicando scelte affidate alla sola discrezionalità del Legislatore.

Inoltre, il petitum risultava diretto ad ottenere una sentenza c.d. additiva al di fuori dei casi previsti dalla giurisprudenza costituzionale, che ammetterebbe quel tipo di pronuncia solo in presenza di una soluzione costituzionalmente obbligata.

Pertanto, ”su tali presupposti, non sussisterebbe alcuna violazione degli artt. 2 e 13 Cost., in quanto la mera aspirazione a diventare madre non potrebbe assurgere a diritto fondamentale della persona, né la Costituzione imporrebbe un modello familiare inscindibilmente correlato alla presenza di figli”.

In conseguenza, l'accesso alla genitorialità mediante tecniche di PMA non potrebbe che essere rimesso alla valutazione discrezionale del Legislatore.

L’Avvocatura ha sottolineatoa, che, nel bilanciamento degli interessi, assume un rilievo, non secondario, quello di assicurare al nascituro la certezza di una discendenza bigenitoriale anche, sotto il profilo dell'assunzione delle responsabilità genitoriali ad essa connesse.

Il Legislatore avrebbe, quindi, definito, con la Legge regolatrice della materia, un paradigma familiare, non eccedente il margine di discrezionalità, stabilendo che “una «famiglia naturale» rappresenterebbe, «in linea di principio, il "luogo" più idoneo per accogliere e far crescere il nuovo nato”, come chiarito dalla stessa Corte nella sent.n.221 del 2019.

In definitiva, tale scelta legislativa «non [potrebbe] essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale, ma al contrario tradurrebbe sul piano normativo la volontà collettiva, realizzando un bilanciamento tra diritti fondamentali in conflitto”.

Parimenti, secondo la Difesa dello Stato, non sarebbe leso l'art. 3 Cost., non essendo assimilabile la situazione della coppia, cui sia stata diagnosticata una sterilità o infertilità assoluta e irreversibile, derivante, ”da fattori patologici», a quella della persona singola, la cui impossibilità a procreare avrebbe solo un «carattere fisiologico» e, pertanto,, «soltanto la prima delle due situazioni ricad[rebbe] nell'ambito applicativo della Legge, che ha come finalità quella di "favorire la soluzione dei pro blemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana".

Infine, doveva ritenersi escluso un vulnus all'art.117,primo comma, Cost., posto che la Corte Europea dei diritti dell'uomo aveva già riconosciuto agli Stati Membri un ampio margine di apprezzamento in materia.

A sostegno delle tesi espresse dall’Avvocatura, era intervenuto, oltre ad altre Associazioni, anche il Centro studi "Rosario Livatino" ritenendo le questioni sollevate dalla ricorrente del tutto infondate.

il Centro Studi, anzitutto, aveva evidenziato come nel nostro Ordinamento non sia configurabile un diritto incoercibile della persona a procreare con metodi diversi da quello naturale ed a sostegno di tale tesi, aveva richiamato la giurisprudenza costante con cui la Corte aveva confermato “la ratio sottesa alla legge n. 40 del 2004 in base alla quale le tecniche di PMA non dovrebbero esser considerate modalità di realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa ed equivalente al concepimento naturale, ma come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente causa patologica e non altrimenti rimovibile” ma anche sotolineato che “una famiglia ad instar naturae - due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile - rappresenti il luogo più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato, sicché la scelta legislativa non potrebbe essere considerata di per sé arbitraria o irrazionale”.

In aggiunta, lo stesso Centro aveva anche evidenziato la differenza tra la situazione della adozione e quella della procreazione assistita da parte di persone singole, in base alla quale, mentre nel caso dell'adozione il minore è già nato e si tratta di porre rimedio a una situazione di difficoltà, mentre, nel caso delle tecniche procreative, un bambino deve ancora nascere, rendendo così palmare la preoccupazione del Legislatore di assicurare al nascituro le migliori condizioni possibili.

Quanto alla violazione dell'art.32 Cost., secondo il Centro, la tutela costituzionale della salute non potrebbe essere estesa sino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che un individuo reputi essenziale speccie in presenza di un divieto.

Ed infine, per il Centro Livatino risultava improprio il richiamo operato ai diritti garantiti dalla CDFUE, in quanto. in base all'art. 51 della stessa Carta e alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, i diritti fondamentali ivi contemplati trovano applicazione solo nelle materie di competenza dell'Unione, tra le quali non rientra la disciplina della PMA., aggiungendo che anche la Corte EDU aveva riconosciuto un ampio margine di apprezza mento agli Stati nella disciplina dell'accesso alle tecniche procreative, sicché una legge nazionale che assegni ad esse una finalità terapeutica non può essere considerata fonte di un'ingiustificata disparità di trattamento.

Alla luce di quanto innanzi, la Consulta, decidendo sulle eccezioni sollevata dal Giudice fiorentino, ha ritenuto infondate le stesse ricordando, anzitutto, che la delicata materia ricade in un ambito riservato alla discrezionalità del Legislatore, concetto ribadito nelle varie sentenze emanate in passato.

Passando, quindi, all’esame nel merito del ricorso, dopo avere rigettato tutte le eccezioni procedurali, la Corte rileva come il Giudice Toscano, lamenterebbe, in sostanza, il sacrificio del «diritto incoercibile della persona di scegliere di costituire una famiglia anche con figli non genetici» e, dunque, la lesione della «libertà di autodeterminazione con riferimento alle scelte procreative»(!!).

Ciò posto, la Corte ricostruisce, anzitutto, i tratti caratterizzanti della disciplina della PMA ricordando che la Legge n. 40 del 2004 sarebbe stata emanaata dal Legislatore con la finalità di porre rimedio ai «problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana» come sancito dall’art. 1, co.1.

In tali casi, il ricorso alle tecniche di PMA è consentito dalla normativa solo ove venga constatata«l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione e sempre che la sterilità o infertilità derivino da una causa accertata e certificata da atto medico»o, qualora siano «inspiegate», vengano«documentate sempre da atto medico» ai sensi dell’art.4, co.1.

Tale finalità si riflette sui requisiti soggettivi previsti dall’art. 5 della Legge per l'accesso alle tecniche di PMA, che fa riferimento a coppie di sesso diverso, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi, rispetto alle quali sia stato effettuato l'accertamento di sterilità o infertilità patologiche, ai sensi dell'articolo innanzi citato, cui l'art. 5 fa rinvio e che prevede che le coppie siano maggiorenni, nonché coniugate o conviventi.

La Corte ricorda che la Legge in discussione è stata sottoposta, numerose volte, al vaglio di legittimità costituzionale, a volte rispetto a norme che sono apparse lesive dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità, nonché dei diritti fondamentali, ed in altri casi rispetto a norme che, proprio nel riflettere la sua finalità, sono state ritenute irragione volmente restrittive delle potenzialità insite nelle tecniche di PMA e lesive di diritti fonda mentali.

Nella prima prospettiva, secondo la Corte, va annoverata la sentenza n. 151 del 2009,che, a tutela della salute della donna, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 14 della Legge n.40,nella parte in cui essa prevedeva, al co.2,l'unico e contemporaneo impianto di un numero di embrioni non superiore a tre, nonché nella parte in cui non prevedeva, al co. 3,che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, dovesse essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna.

Nel medesimo solco si colloca anche la sentenza n. 162 del 2014,che ha sancito l'illegitti mità costituzionale dell'art.4,co.3,della Legge, «nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all'art. 5, co.1, della legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medical mente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili».

In effetti, un siffatto divieto era apparso alla Corte come un impedimento, non soltanto irragionevole, rispetto allo scopo del Legislatore di fare fronte proprio alle «patologie più gravi», ma anche non proporzionato rispetto all'obiettivo di garantire una tutela al futuro nato stante l'interesse di questo ultimo ad avere il patrimonio genetico di entrambi i genitori, mentre la Corte aveva ritenuto, privo di rilievo costituzionale, quello di conoscere le proprie origini genetiche, affidato alla tutela offerta dalla disciplina prevista in materia di adozione.

Agli interventi della giurisprudenza costituzionale, che hanno rimosso divieti irragionevoli e sproporzionati nel perseguire lo scopo della legge, si affianca una prima decisione che ha accolto censure volte a sindacare la ragionevolezza delle stesse norme che riflettono la finalità con cui la legge delimita e conforma la regolamentazione delle tecniche di PMA nella parte in cui non consentivano l'accesso anche alle coppie fertili se «portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978,n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza), accertate da apposite strutture pubbli che», come sancito nella sent.n. 96 del 2015,seguita dalla sentenza n. 229 del 2015,che è intervenuta sull'apparato sanzionatorio correlato al divieto di effettuare diagnosi preim pianto.

L'estensione delle finalità della Legge dalla sola cura della sterilità o infertilità patologiche alla prevenzione del rischio di trasmissione di gravi malattie genetiche, è stata motivata, dalla Corte, traendo spunto dalla sentenza della Corte EDU del 28 agosto 2012 (Costa e Pavan contro Italia), con l'esigenza di evitare, a tutela della salute della madre, il possibile ricorso, «innegabilmente più traumatic[o, alla] interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali».

Per contro, la Corte ha, in passato, rigettato altre questioni di legittimità costituzionale, del citato art. 5, nella parte in cui la norma non consente l'accesso alla PMA a coppie dello stesso sesso e, nello specifico, a coppie di donne come pure ha rigettato le censure poste sull'art.12, commi 2,9 e 10 della medesima Legge, concernenti le previsioni sanzionatorie per il mancato rispetto dei criteri di accesso.

La Corte, in definitiva, ha escluso di poter estendere la funzione delle tecniche di PMA da mero rimedio per le sterilità e infertilità patologiche a via di accesso alla procreazione per i casi di infertilità "fisiologica".ritenendo che tale disciplina coinvolga "temi eticamente sensibili" di competenza «"primaria [...] del Legislatore diretta ad individuare «un ragionevole punto di equilibrio fra le contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana» (v.sent. n.221 del 2019).

In conseguenza, la Corte ha ritenuto di poter verificare solo che la scelta legislativa operata non violi, in maniera manifesta, il principio di ragionevolezza, con riferimento all'art.5, siccome volto ad assicurare al bambino che deve ancora nascere «quelle che, secondo la [...] valutazione [normativa] e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni "di partenza"»

In oltre, coon la medesima sentenza innanzi richiamata, la Corte ha anche escluso di poter limitare un proprio eventuale intervento all'ipotesi in cui entrambe (o almeno una fra) le donne della coppia, oltre a incontrare l'impedimento a procreare correlato alla mancanza del presupposto della diversità di sesso, risultino affette da cause di sterilità o infertilità patologiche, atteso che, mentre la «presenza di patologie riproduttive è un dato significa tivo nell'ambito della coppia eterosessuale, in quanto fa venir meno la [sua] normale fertilità», viceversa, rappresenta«una variabile irrilevante [...]nell'ambito della coppia omosessuale, che sarebbe infertile in ogni caso»(!!).

La Corte sottolinea, inoltre, che, sebbene nell’Ordinanza siano state sollevate questioni di legittimità dell'art. 5 della Legge, il provvedimento in esame non motiva a sufficienza la richiesta di intervento della Corte con riferimento ai soli casi indicati dall'art. 4,comma 1, della Legge n. 40,come modificato dalla sentenza n.96 del 2015,ossa limitato alle sole ipotesi in cui la donna sia affetta da sterilità o infertilità patologiche o a quelle in cui rischi di trasmettere gravi malattie genetiche.

La, Corte, in linea con quanto affermato in passato ha ritenuto, quindi, che la discrezio nalità del Legislatore costituisca un ambito di intervento necessario per regolamentare l'accesso alla PMA posto che “esso coinvolge il delicato rapporto tra la funzione regolatoria propria del diritto e le potenzialità insite in una tecnica che, nel riguardare la procreazione, presenta rilevanti implicazioni bioetiche e incisivi riverberi sociali, riguardanti i rapporti interpersonali e familiari mentre alla Corte competerebbe unicamente accertare che non sia verificata la manifesta irragionevolezza e sproporzione, tenuto conto anche dell'evoluzione dell'Ordinamento”.

A tal fine, la Corte ricorda le ragioni sottese alle scelte operate nel 2004 dal Legislatore, cui va riconosciuto un bilanciamento di interessi, ispirato al principio di precauzione.

A fronte di tecniche idonee a condurre alla fecondazione dell'embrione, prescindendo dal fatto naturale della procreazione, il Legislatore ha cercato di non creare una distanza eccessiva rispetto al modello della generazione naturale della vita.

Nello stesso tempo, ha inteso proteggere a priori l'interesse dei futuri nati, nella consape volezza della diversità fra le tecniche di PMA e la dimensione intima, puramente privata, della procreazione naturale, che tollera solo discipline a posteriori a tutela del bambino oramai nato.

Per questo, il Legislatore, da un lato, ha fatto riferimento a coppie rispondenti ai presup posti della procreazione naturale, ossia coppie di diverso sesso, in età potenzialmente fertile, viventi, che i possono accedere alle tecniche, in quanto siano affette da sterilità o infertilità patologiche o possano trasmettere malattie genetiche, mentre dall’altro,, nella incertezza sui riflessi che un simile cambiamento potrebbe avere sui futuri nati, ha iden tificato, nel loro interesse, una soluzione ritenuta idonea a fornire la migliore tutela in astratto del minore.

La tutela normativa è stttata associata alla presenza di futuri genitori identificati nella coppia formata da individui maggiorenni che, dunque, si presuppongono maturi, uniti da un legame affettivo attraverso il matrimonio, secondo il paradigma familiare di cui all'art. 29 Cost., ovvero attraverso la convivenza, secondo il modello riconducibile agli artt. 2 e 30 Cost.che costituisce una scelta costituzionalmente obbligata, posto che la Costituzione non abbraccia solo modelli di famiglie composte da una coppia di genitori di diverso sesso uniti da vincoli affettivi.

La Corte evidenza di avere già in passato riconosciuto che la nozione stessa di famiglia «non si [può] ritenere "cristallizzat[a]" con riferimento all'epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché [è] dotat[a] della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, [va] [...]interpretat[a]tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell'Ordina mento, ma anche dell'evoluzione della società e dei costumi» (v. sent. n. 138 del 2010, che ha rigettato la possibilità di ascrivere le unioni tra persone dello stesso sesso all'art. 29 Cost., ma le ha annoverate tra le formazioni sociali di cui all'art. 2 Cost.).

La stessa Corte, tuttavia, non ha escluso la "capacità della donna sola, della coppia omo sessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch'esse, all'occorrenza, le funzioni genitoriali".

Infine, la Corte ricorda che, con la recentissima sentenza n. 68 del 2025, in presenza di un bambino nato in Italia a seguito di una procedura di PMA effettuata all'estero da due donne, ha ritenuto, nell'interesse del minore, che la madre intenzionale possa riconoscere il figlio.

Pertanto, in mancanza di impedimenti costituzionali per il Legislatore di estendere l'accesso alla PMA anche a nuclei familiari diversi da quelli indicati nell'art. 5 della legge n. 40 del 2004,occorrerebbe verificare se l'omessa considerazione della donna singola superi il vaglio della non manifesta irragionevolezza e sproporzione come pure quello all'autodeterminazione procreativa, ascrivibile in pari tempo alla tutela della vita privata.

Tale interesse trova un riconoscimento sia nell'art. 2 Cost. sia nell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU, ”come interesse a realizzare la propria personalità in una dimensione relazionale che, in quanto tale, deve essere permeabile alla tutela degli altri interessi implicati nella medesima relazione”-

L'autodeterminazione, orientata alla genitorialità, può far valere la propria dimensione in quanto tenda a contrastare soluzioni «che, avendo riguardo al complesso degli interessi implicati, risultino irragionevoli e non proporzionate rispetto all'obiettivo perseguito o contribuisce a sostenere un giudizio di irragionevolezza delle stesse norme che riflettono le finalità cui si ispira il legislatore, nella considerazione di tutti gli interessi coinvolti”.

Ebbene, la scelta del Legislatore di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, implica l'esclusione della figura del padre, è tuttora riconducibile al principio di precauzione nell'interesse dei futuri nati, come innanzi ricordato.

Pertanto, rispetto all'esigenza di tutelare questi ultimi, la conseguente compressione della autodeterminazione procreativa della donna singola non può, nell'attuale quadro norma tivo, ritenersi manifestamente irragionevole e sproporzionata.

In senso contrario non vale evocare la soluzione di recente adottata da questa Corte, a fronte della richiesta di una donna di procedere all'impianto di un embrione criocon- servato, quando sia venuto meno il legame affettivo con il padre, il quale chieda di poter revocare il proprio consenso (v. sent n. 161 del 2023).

In quest'ultimo caso, la norma che consente di addivenire all'impianto, reputando irrevo cabile il consenso paterno, non sacrifica l'interesse in fieri del minore ad avere le tutele giuridiche che discendono dalla paternità ed, inoltre, essa non risponde alla pura autode terminazione della donna, poiché il consenso di quest'ultima all'impianto porta a compi mento una procedura in ragione della quale la stessa si è esposta a un rischio per la propria salute e in virtù della quale, essendo stato già formato l'embrione che «ha in sé il principio della vita» lo stesso è tutelato dall'art. 2 Cost. per cui il medesimo può giungere alla nascita.

In definitiva, la Corte non ritiene che il solo interesse orientato alla genitorialità della donna possa evidenziare la manifesta irragionevolezza e sproporzione di una scelta legislativa che, nel solco del principio di precauzione, si fa carico soprattutto dell'interes se dei futuri nati.

Infine, la Corte rammenta come abbia di recente rimosso, con riferimento all'adozione internazionale, il divieto che impediva alle persone singole di sottoporsi al giudizio di idoneità a adottare con la sentenza n. 33 del 2025.

Nell'ipotesi dell'adozione, l'autodeterminazione delle persone singole converge verso lo stesso interesse del minore riflesso nella finalità perseguita con l'istituto adottivo.

A fronte di bambini e di ragazzi in stato di abbandono per i quali l'alternativa all'adozione è quella di restare in contesti non paragonabili a un ambiente familiare stabile e armonioso, il puro divieto frapposto alle persone singole è un mezzo non proporzionato a perseguire il loro miglior interesse, anche a fronte di quello alla bigenitorialità, che al più potrebbe giustificare, a favore delle coppie, un criterio di tipo preferenziale.

Inoltre, nel caso dell'adozione, l'interesse del minore sarebbe direttamente assicurato dall'accertamento giudiziale in concreto operato sull'idoneità dell'aspirante adottante a garantire un ambiente stabile e armonioso ed è il criterio che orienta il procedimento.

La discrezionalità che la Corte riconosce al Legislatore nel regolare i criteri di accesso alla PMA trova corrispondenza nell'ampio margine di apprezzamento che la Corte di Stras burgo lascia agli Stati aderenti sia nella decisione concernente l'an della regolamen tazione sia nell'individuazione del punto di equilibrio fra i vari interessi implicati come evidenziato in alcune sentenze della Corte EDU

Questo non comporta, come afferma la Corte EDU, un esonero da qualsivoglia giudizio sull'operato degli Stati, ma prelude a un vaglio che presuppone la previa valutazione degli argomenti che hanno ispirato le scelte effettuate dal Legislatore, onde poter verifi care se sia stato raggiunto un corretto punto di equilibrio tra gli interessi perseguiti dallo Stato e quelli direttamente interessati da tali scelte legislative.

L'ampiezza di un simile margine escluderebbe una violazione dell'art.8 CEDU riscontrabile solo a fronte di legislazioni che condizionino in modo manifestamente irragionevole l'esercizio del diritto al rispetto della vita privata, realizzando un contemperamento npn equilibrato tra gli interessi privati e le finalità perseguite dallo Stato.

Alla luce dei richiamati orientamenti, la scelta operata dal legislatore italiano nel non consentire l'accesso alla PMA alla donna singola risulta, dunque, rientrare nel margine di apprezzamento dello Stato e, di riflesso, non lede l'art. 8 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

Infine, atteso che il Giudice remittente evidenzia una possibile lesione della salute della donna dal trascorrere del tempo e dal conseguente rischio di superare l'età fisiologi camente fertile, la Corte ritiene che, in tali casi, l'infertilità per ragioni di età non può reputarsi di natura patologica e, pertanto, non può rendere applicabile la tutela propria del diritto alla salute.

Per la Corte altrettanto infondate sono anche le altre questioni poste in riferimento all'art. 3 Cost., per le quali il Giudice Toscano evoca una disparità di trattamento in relazione a due distinti profili.

Anzitutto, il rimettente lamenta una disciplina irragionevolmente differenziata nella compa razione fra la categoria delle donne singole e quella delle coppie di diverso sesso. che la giurisprudenza della Corte EDU vieta di trattare in maniera diversa, senza giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovino in situazioni comparabili, evidenziando un intento discriminatorio.

Ebbene, alla luce della ratio dell'art. 5 della legge n. 40 del 2004 e dell'intera disciplina che regola le tecniche di PMA, la categoria delle donne singole e quella delle coppie etero sessuali non risultano omogenee e, pertanto, non richiedono il medesimo trattamento.

Come già evidenziato, la Legge n.40 del 2004 indirizza le tecniche di PMA verso l'obiettivo di offrire un rimedio alla sterilità o infertilità che abbiano una causa patologica, non rimo vibile tramite «altri» metodi terapeutici

L'infertilità fisiologica della donna singola non sarebbe omologabile a detta situazione, sicché la disomogeneità dei due gruppi di ipotesi non determina una irragionevole disparità di trattamento.

In tal senso, si è specificamente espressa anche la Corte EDU, in riferimento all'art. 14 CEDU, che, in tema di PMA, ha ritenuto che, se una Legge nazionale riserva tali tecniche a coppie eterosessuali sterili o non fertili, attribuendo loro una finalità terapeutica, ”non può simile scelta essere considerata fonte di una discriminazione di chi per natura non può procreare, in quanto le situazioni poste a confronto non risultano paragonabili alla luce della ratio della disciplina”(CEDU, sent.15 marzo 2012, Gas e Dubois contro Francia).

Inoltre appare infondata la denuncia della disparità di trattamento correlata alle condi zioni economiche delle donne, poiché l'attuale disciplina dei requisiti soggettivi di accesso favorirebbe le donne singole più abbienti, che possono far ricorso alle tecniche di PMA all'estero, mentre a quelle meno abbienti simile itinerario risulterebbe precluso.

La lamentata diversità di trattamento non è imputabile alla disciplina statale censurata, ma è semmai la naturale conseguenza della presenza di legislazioni straniere che dettano differenti regole in materia.

La Corte rammenta, in proposito, che «il solo fatto che un divieto possa essere eluso recandosi all'estero non può costituire una valida ragione per dubitare della sua conformità a Costituzione» mentre, «la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia» (v.sent.n. 221 del 2019).

In conclusione, secondo la Corte, nell'attuale complessivo quadro normativo, non risultano fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non consente alla donna singola l'accesso alla PMA.

Con buona pace della ricorrente di fronte ad una tale motivata quanto pregevole decisione !!.

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