Contratto di fornitura servizi di telecomunicazioni: obbligatorio il tentativo di conciliazione

Avv. Francesco Lioia.
Contratto di fornitura servizi di telecomunicazioni: obbligatorio il tentativo di conciliazione

Laddove una controversia concerna un contratto avente ad oggetto la fornitura di servizi di telecomunicazioni, la stessa rientra nel novero delle cause per le quali è previsto il tentativo obbligatorio di conciliazione come condizione di procedibilità

Mercoledi 19 Luglio 2023

Sul tentativo di conciliazione in materia di TLC

Laddove una controversia concerna un contratto avente ad oggetto la fornitura di servizi di telecomunicazioni, la stessa rientra nel novero delle cause per le quali il combinato disposto degli artt. 1 co. 11 legge 249/1997 e 3 delibera AGCOM 203/18/CONS, prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione come condizione di procedibilità, non di proponibilità, imponendo al Giudice di fissare, anche di appello, un termine per il suo esperimento (v. Cass. SS.UU. 2020 n.8241; Cass. 2022 n.15502; Cass. 2022 n.17025; Cass. 2022 n. 23072) presso il Corecom o altro organismo abilitato (v. Cass. SSUU 2020 n.8240; Cass. 2018 n.26913) con sanatoria ex tunc. La prova della comunicazione del tentativo di conciliazione alla controparte non può essere posta a carico della parte che ha proposto l’istanza di conciliazione, perché essa non ha l’onere di procedervi (v. CASS. 2011 n.9278).  

Sull’ipotesi di mancata adesione dell’operatore al tentativo di conciliazione

Sulla scorta del consolidato principio per cui il comportamento preconcetto ed ostativo, che causi o protragga un processo, altrimenti evitabile, dev’essere sanzionato; la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che qualora una delle parti decida di non partecipare al procedimento ADR previsto dal legislatore con funzione deflattiva e, al contempo, non giustifichi la sua decisione con una adeguata motivazione, il Giudice la può condannare ai sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c.. La Suprema Corte ha in più occasioni evidenziato come il Giudice abbia uno speciale potere sanzionatorio officioso, a fronte della diserzione dall’incontro programmato avanti all’organismo di mediazione da parte dei contendenti che si siano costituiti in giudizio.

Ne consegue che l’atteggiamento di una parte, anche se ritenuta contrattualmente più forte, di non intervenire in mediazione, senza un giustificato motivo, dev’essere sanzionato dall’Autorità Giudiziaria, anche nell’ipotesi in cui, nel merito, le sue difese trovino accoglimento. Consolidata giurisprudenza di merito afferma, mutatis mutandis, che l'ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione costituisce un comportamento doloso (sent. Trib. Roma del 23.02.2017; sent. Trib. Termini Imerese n. 412 del 6.04.2023), in quanto idoneo a determinare l'introduzione di una procedura giudiziale -evitabile- in un contesto giudiziario, quello italiano., saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi; tanto da comportare la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio (cfr. ordin. Trib. Palermo del 29.07.2015), nonché che non costituisce giustificato motivo la mancata partecipazione alla mediazione per la pretesa infondatezza delle ragioni della controparte in quanto è irrilevante l’eventuale prognosi di impossibilità di una conciliazione, in quanto l’introduzione di tale istituto (analogamente ad ogni altra tipologia di ADR come nel caso che qui occupa—ndr) è stata determinata dalla necessità di consentire alle parti di trovare un accordo amichevole, proprio laddove questo non sia raggiungibile con i soli mezzi di cui i contendenti ed i loro procuratori dispongono. In sostanza, nello spirito della norma che disciplina lo svolgimento del procedimento di mediazione, la partecipazione delle parti, sia al primo incontro che agli incontri successivi, rappresenta una condotta assolutamente doverosa, che le stesse non possono omettere, se non in presenza di un giustificato motivo impeditivo che abbia i caratteri della assolutezza e della non temporaneità (cfr. ex pluribus sent. Corte Appello Genova n. 652 del 13.07.2020).  

Sul tentativo di conciliazione esperito al Corecom

Nel caso in cui l’utente opti per esperire il tentativo di conciliazione presso il Corecom attraverso la piattaforma Conciliaweb, ai sensi dell’art. 3 co. 4 della Delibera Agcom 203/18/CONS il termine ordinatorio per la conclusione del procedimento è di trenta giorni decorrenti dalla data di proposizione dell’istanza. Ai fini del ricorso giurisdizionale, la condizione di procedibilità si considera comunque avverata trascorsi trenta giorni dalla proposizione dell’istanza di conciliazione.

Sulla competenza territoriale

Nell’ambito delle controversie in materia di comunicazioni elettroniche e postali, a differenza dei Corecom che hanno competenza regionale, non sussiste alcun vincolo territoriale per gli organismi di negoziazione paritetica, che prevedono la partecipazione delle Associazioni di consumatori, e per gli organismi ADR di cui all’art.141 octies del Codice del Consumo iscritti nell’elenco di cui all’Allegato A della Delibera Agcom 661/15/CONS (v. Allegato A Delibera Agcom 203/18/CONS art.3 lett .a, b, c).  

Sulla corrispondenza della domanda

Come chiarito dalla S.C. le norme di legge che sanciscono l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione a pena di improcedibilità, in quanto prevedono dei limiti al diritto di azione previsto e garantito anche a livello costituzionale dall’art. 24 Cost., non possono che essere interpretate in senso restrittivo (v. Cass. SSUU 2020 n.8240). Orbene, nessuna norma di legge primaria o secondaria ha previsto che il tentativo di conciliazione debba avere un oggetto esattamente identico a quello della causa proposta avanti al Giudice, atteso che le norme vigenti si sono limitate a stabilire che la controversia giudiziale debba essere preceduta da un TENTATIVO DI CONCILIAZIONE.

In aggiunta, posto che il tentativo di conciliazione non richiede l’assistenza tecnica di un difensore, non ha senso assumere che il tentativo di conciliazione debba contemplare petita e causae petendi identici a quelli delle domande svolte in causa, come avviene quando si verifica la litispendenza tra due cause. Il tentativo di conciliazione, difatti, non ha natura di controversia giudiziale e quindi è ovvio che non abbia una causa petendi ed un petitum qualificabili come tali. Pertanto, l’unica interpretazione costituzionalmente compatibile delle complessive disposizioni di legge (e dell’Autorità delegata) in punto di tentativo di conciliazione è nel senso che la condizione del preventivo esperimento del tentativo è soddisfatta laddove vi sia stato tra le parti almeno un tentativo di conciliazione "sulla controversia" intesa in senso lato ed a-tecnico, cioè come vertenza tra le parti su specifiche problematiche relative alla telefonia e relativi effetti e pretese (v Trib. Milano 2021 n.8044; Trib. Belluno 2021 n.428 in banche dati Giuffrè).

In ogni caso, qualora il giudice ordinario dovesse ritenere e valutare imperfetta la coincidenza tra le due domande –quella posta con il tentativo di conciliazione e quella giudiziale-, con conseguente carenza della condizione di procedibilità, questi è tenuto a sospendere il giudizio e fissare un termine per consentire alle parti di dar luogo al tentativo, per poi proseguire il giudizio dinanzi a sé (v. ex pluribus Cass. 2022 n. 23072).  

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