Il caso sottoposto al vaglio della Corte di cassazione, III Sezione Penale, e deciso con la sentenza n. 6384 del 11/02/2014 verte in materia di stalking in ambito familiare, e più in particolare la vicenda giudiziaria riguarda una donna che denuncia per stalking il marito, dal quale è separata, dopo essere stata oggetto di telefonate, pedinamenti, minacce, danneggiamenti, in un crescendo di comportamenti intimidatori che hanno ingenerato in lei uno stato persistente di ansia e timore.
Richiesta a carico dell'uomo la misura cautelare di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ex moglie, il GIP, prima, e il Tribunale, in sede di appello, poi, respingono l'istanza del P.M., in quanto – si legge nella motivazione del Tribunale – dall'istruttoria è emerso che “ il notevole flusso telefonico dal marito alla moglie (sicuramente dal contenuto minaccioso) non era univocamente sintomatico di una condotta assillante tale da ingenerare il menzionato stato psichico, perchè, come accertato dalla PG, risultavano anche molte telefonate in uscita dalla moglie al marito” Il Tribunale, pur ritenendo la donna attendibile, ha però collegato i ripetuti tentativi di contattare la moglie anche con espressioni minacciose e ingiuriose in un contesto conflittuale tra ex coniugi e ha ritenuto quindi sussistere a carico del marito i reati di ingiuria, minaccia e molestia, per i quali non è ammessa la misura cautelare.
Proposto ricorso per Cassazione, la Suprema Corte, nell'accogliere il ricorso del P.M., nel delineare il reato di “stalking”, precisa che trattasi di un “reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità”.
La circostanza – prosegue la Corte - che vi siano state delle chiamate telefoniche da parte della donna all'ex marito, riconducibili ad un contesto familiare conflittuale originato dalla crisi della coppia, come nel caso di specie, non esclude affatto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato in questione, ma anzi assume una rilevanza particolare, visto che l'art. 612 bis, al comma 2, prevede addirittura come aggravante l'esistenza di rapporti di coniugio o di pregressi rapporti affettivi tra le parti.
Da qui discende l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio ad altro giudice, che dovrà valutare in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, in caso positivo, sull'esistenza delle esigenze cautelari.