Con la sentenza n. 23442 del 16/10/2013, la Corte di Cassazione decide circa il ricorso promosso da un ex marito che, in un procedimento per il divorzio, veniva condannato, in primo e in secondo grado, a corrispondere all'ex moglie un assegno di € 1.200,00: tale importo era stato determinato tenendo conto dell'entità e qualità del patrimonio immobiliare del ricorrente e della sua situazione economica, previo raffronto con quella dell'ex moglie, primario ospedaliero e proprietaria di casa.
Nell'esaminare i tre motivi di doglianza del ricorrente, afferenti ai criteri di riconoscimento e determinazione dell'assegno divorzile ( anche in rapporto alla breve durata del matrimonio) ex art. 5 L. divorzio, la Corte di Cassazione ne rileva la infondatezza, evidenziando quanto segue.
In primo luogo, la Corte ribadisce la correttezza dell'indagine comparativa svolta dal giudice di appello, laddove ha dato rilevanza proprio al notevole dislivello economico delle due parti, tale da far ritenere che in costanza di matrimonio la ex moglie “abbia in astratto potuto godere di un tenore di vita sensibilmente più elevato di quello che può sostenere dopo la fine del suo matrimonio, sia pure fruendo di una rispettabile posizione economica”: di conseguenza le condizioni economiche della moglie non possono giustificare, nel caso concreto, il diniego dell' assegno divorzile, a fronte del cospicuo patrimonio immobiliare del marito (consistente in una tenuta con casale ristrutturato di 550 mq e arredato con vecchi mobili toscani, giardino, piscina, di un appartamento a Parigi, di altri due entro Roma, uno dei quali di 200 mq, e poi di svariati altri immobili in territorio di Siena e di Chianciano Terne).
La Corte, nell'esaminare il secondo motivo del ricorso, introduce una differenza concettuale importante ai fini dell'attribuzione e quantificazione dell'assegno divorzile: infatti, afferma la Corte, “non bisogna confondere lo stile con il tenore di vita. Anche in presenza di rilevanti potenzialità economiche un regime familiare può essere improntato a uno stile di "understatement" o di rigore, ma questa costituisce una scelta che non può annullare le potenzialità di una condizione economica molto agiata quale era indubbiamente quella dei coniugi “
In definitiva, quindi, di scarso rilievo è la circostanza, evidenziata dal ricorrente, che i due coniugi non avessero instaurato una vera convivenza e consolidato un regime di vita comune, avendo abitato nelle proprie residenze e proseguito ognuno di loro lo stile di vita precedente: ciò che conta, infatti, sono le aspettative di vita che una convivenza con un coniuge possessore di un rilevante patrimonio immobiliare legittimamente determina nell'altro coniuge, anche se poi tali aspettative non si concretizzano in un vistoso cambiamento di stile di vita.
Tali aspettative, quindi,influiscono sulla configurazione di un tenore di vita proprio del matrimonio.
Quanto al terzo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non aveva tenuto in debita considerazione la breve durata del matrimonio, gli ermellini precisano che, anche dalla lettura delle motivazioni della Corte di Appello, si evince che l'importo dell'assegno di divorzio sarebbe stato molto più alto se il matrimonio avesse avuto una durata maggiore, e pertanto anche tale motivo viene ritenuto infondato.