Cassazione: albero cade su un auto? La colpa è anche dell'Ente proprietario della strada

Cassazione: albero cade su un auto? La colpa è anche dell'Ente proprietario della strada
Giovedi 30 Ottobre 2014

La Cassazione con la sentenza n.22330 del 22/10/2014 esamina la fattispecie in cui la responsabilità della P.A proprietaria di una strada aperta al pubblico traffico si sovrappone o, meglio, si affianca a quella del proprietario del fondo privato adiacente la strada medesima, dal quale sia derivata la situazione di pericolo che ha cagionato un grave pregiudizio a terzi.

Il caso attiene ad una richiesta risarcitoria azionata in giudizio da un automobilista che, colpito da un grosso albero (ontano), posto a poca distanza dal ciglio stradale,  abbattutosi sul veicolo da lui condotto lungo una strada stradale, aveva riportato lesioni gravissime.

Mentre in primo grado il Tribunale aveva riconosciuto la responsabilità sia del proprietario del fondo privato che dell'Ente proprietario della strada nella misura, rispettivamente, del 40% e del 60%, la Corte di appello, in sede di gravame, aveva escluso la responsabilità dell'Ente, in quanto, non avendo la disponibilità del fondo privato, non poteva esercitare quel potere di fatto sulla cosa che è il presupposto per la responsabilità ex art. 2051 c.c., né poteva agire sul fondo all'insaputa o contro la volontà del proprietario.

Contro la sentenza di appello il proprietario del fondo propone ricorso per cassazione, adducendo, tra i vari motivi, la violazione da parte del giudice territoriale degli artt. 16 cod.strad. e 26 comma 6 del relativo Regolamento di esecuzione: tali norme - si legge nel ricorso - se da un lato impongono ai proprietari dei fondi privati di evitare le situazioni di pericolo, dall'altro prevedono il dovere per la P.A. di vigilare su tali situazioni di pericolo, cosa che l'Ente non ha fatto nel caso di specie.

La Corte di Cassazione, nell'accogliere il ricorso, precisa che “la colpa civile di cui all'art. 2043 c.c consiste nella deviazione da una regola di condotta, che non è soltanto la norma giuridica, ma qualsiasi doverosa cautela concretamente esigibile dal danneggiante: stabilire se questi abbia o meno violato norme giuridiche o di comune prudenza è accertamento che va compiuto alla stregua dell'art. 1176 c.c”.

L'ente proprietario della strada aperta al pubblico è obbligato a garantire la sicurezza della circolazione (d.lgs. 30/04/1992 n. 285 art. 141) e ad adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade (d.lgs. 26/02/1994 n. 143 art. 2): questo “obbligo di cautela” non implica che l'Ente sia tenuto a provvedere alla manutenzione dei fondi privati, come correttamente rilevato dalla Corte di Appello,  impone però a carico della P.A alcuni obblighi: a) segnalare ai proprietari confinanti le situazioni di pericolo suscettibili di recare pregiudizio agli utenti della strada; b) adottare i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio con un doveroso monitoraggio del territorio; c) come extrema ratio, perdurando la negligenza dei privati, disporre la chiusura della strada al traffico.

Alla luce di tali indicazioni, la Corte enuncia in seguente principio di diritto, che potrà avere interessanti applicazioni in fattispecie analoghe:

“L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, pur non essendo custode dei fondi privati che la fiancheggiano, né avendo alcun obbligo di provvedere alla manutenzione di essi, ha tuttavia l'obbligo di vigilare affinché dai suddetti fondi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada e, in caso affermativo, attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere. Ne consegue che è in colpa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2043 c.c., l'ente proprietario della strada pubblica il quale, pur potendo avvedersi con l'ordinaria diligenza di una situazione di pericolo proveniente da un fondo privato, non la segnali al proprietario di questa, né adotti altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione.” 

 

Leggi la sentenza n.22330

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