Le modifiche apportate ai buoni lavoro - più noti come Voucher - (art. 54 bis D.L. 50/2017) dalla legge di conversione del D.L. 87/2018 creano poche certezze e lasciano molti dubbi soprattutto per le novità introdotte nel comparto turistico.
Martedi 18 Settembre 2018 |
La prima incertezza è la definizione non espressa nel testo di legge “delle aziende alberghiere e delle strutture ricettive che opero nel settore del turismo”.
La definizione va ricercata nella normativa specifica di settore e in particolare è individuabile nell’art. 12 del D.lgs 79/2011 e nella legislazione regionale (per la Valle d'Aosta L.R. 34/1984 e L.R. 11/1996), ove viene regolamentata la materia.
La definizione si estende pertanto a tutte le strutture alberghiere ed extra alberghiere (Bed and breakfast, RTA, rifugi campeggi, ecc.) le quali consentono il pernotto. Ne deriva pertanto che ristoranti e bar non sono considerati strutture ricettive, salvo che siano annessi nelle predette strutture; in tal caso a fronte di un concetto di unitarietà aziendale è legittimo ritenere che sia possibile impiegare a voucher personale che sia nello specifico addetto a tali servizi di ristorazione o mescita.
La seconda problematica è data dalla poco felice riformulazione del comma 14 lett. a) relativo al divieto d'utilizzo del voucher per le imprese “che hanno alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori a tempo indeterminato”. Il nuovo testo aggiunge, in coda alla regola generale innanzi riportata, la seguente previsione “ad eccezione delle aziende alberghiere e delle strutture ricettive-turistiche che operano nel settore del turismo, per le attività lavorative rese dai soggetti di cui al comma 8, e che hanno alle proprie dipendenze fino a 8 lavoratori”.
La norma non specifica se il limite di 8 dipendenti sia riferibile ai soli lavoratori a tempo indeterminato o se invece il numero abbia riferimento alla generalità dei lavoratori in forza all'azienda. Un'interpretazione in coerenza con il periodo sintattico precedente, ove è espressa la regola generale e la punteggiatura a cui segue l'eccezione è costituita da una semplice virgola, non può che essere nel senso di considerare ai fini del tetto numerico i soli lavoratori a tempo indeterminato.
Ulteriore problema posto dalla poco chiara formulazione della norma è se sino ai 5 dipendenti a tempo indeterminato possano essere attivate prestazioni occasionali senza le limitazioni soggettive imposte dal comma 8, il quale le limita ai lavoratori titolari di pensione, ai giovani studenti con meno di 25 anni disoccupati, ai percettori di prestazioni integrative del salario.
Anche in questo caso va considerato lo spirito della norma che è di tipo agevolativo e non penalizzante per le attività del settore ricettivo- turistico, le quali hanno un limite numerico più alto rispetto alla generalità delle altre categorie imprenditoriali. E' ragionevole ritenere pertanto che fino a 5 dipendenti a tempo indeterminato il comparto ricettivo-turistico segua la norma generale senza i vincoli del comma 8. Ne consegue che le aziende alberghiere con numero di dipendenti a tempo indeterminato tra i 6 e gli 8 possono attivare, in deroga alla regola generale, i voucher limitatamente alle categorie di lavoratori individuati al comma 8.
Il criterio di computo dei lavoratori ai fini dei limiti di legge è tutt'altro che pacifico.
La norma non prevede alcun metodo di calcolo, dunque dovrebbe applicarsi la regola generale ex art. 27 D.lgs. 81/2015, in base alla quale il computo dei dipendenti è conteggiato sul “numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro”. L'INPS, invece. richiede (circ. 107/2017 punto 6.2) la media del semestre che va dall’ottavo al terzo mese antecedente la data dello svolgimento della prestazione lavorativa occasionale. Pacifico, invece, il computo sia dei lavoratori part-time da computarsi in proporzione all'orario svolto, con arrotondamento secondo le modalità disciplinate dall’articolo 9 del d.lgs n. 81/2015, sia dei lavoratori intermittenti da conteggiarsi in proporzione all'orario effettivamente svolto nel semestre, secondo le modalità disciplinate dall’articolo 18 del citato d.lgs n. 81/2015.
Una ulteriore questione interpretativa riguarda l'inclusione operata dall'INPS degli apprendisti nel computo del numero dei dipendenti. L'interpretazione in assenza di una previsione espressa in tal senso nell'ambito dell'art. 54 bis D.L. 54/2017 non è corretta. L'art. 47 c.3 del D.lgs 81/2015 - norma speciale - nel regolamentare l'apprendistato sancisce, infatti, che gli apprendisti sono esclusi dai limiti numerici previsti dalle leggi salvo espressa deroga, che nel caso di specie non sussiste.
Quanto all'apparato sanzionatorio, già presente nel testo originario del 2017, sono sorti dubbi interpretativi. Il comma 20 sancisce che in caso di violazione dei divieti e dei limiti sopra esposti scatta la “sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 500 a euro 2500 per ogni prestazione lavorativa per cui risulta accertata la violazione … Non si applica la procedura di diffida di cui articolo 13 D.Lgs 124/2004”. L’Ispettorato del Lavoro con propria nota del 21/08/2017 ha precisato che il parametro di quantificazione dell'importo sanzionatorio è rappresentato dal numero delle giornate in cui si è fatto ricorso al lavoro occasionale, indipendentemente dal numero dei lavoratori impiegati nella singola giornata.
La sanzione amministrativa in base ai principi generali è un terzo dell'importo massimo o il doppio del minimo se più favorevole, nel caso di specie la sanzione applicata sarà pari dunque a euro 833,33 per ogni giornata.
Va evidenziato, infine, il divieto generale, già presente nel testo originario del 2017, di instaurare prestazioni di lavoro occasionale con soggetti con i quali l'azienda abbia avuto negli ultimi sei mesi un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa. Sebbene la norma non prevede una sanzione espressa, l’Ispettorato del Lavoro ritiene che la violazione comporti la conversione ex tunc del rapporto occasionale in rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, in quanto “forma contrattuale comune” di lavoro prevista ex art. 1 D.Lgs 81/2015.