Con l'ordinanza n. 9359 del 9 aprile 2025 la Corte di Cassazione, nell'esaminare le clausole di un accordo intervenuto tra un avvocato e la cliente, ne dichiara la nullità in quanto integrante un patto di quota lite, vietato dalla legge.
Venerdi 11 Aprile 2025 |
Il caso: Mevia incaricava l'avv. Caio di difenderla in una controversia civile: il legale e la cliente si accordavano nel senso che, ove la controversia avesse avuto esito positivo, il difensore avrebbe avuto diritto al 40% della somma ottenuta da Mevia; viceversa, in caso di esito negativo, il difensore non avrebbe avuto diritto ad alcunché; inoltre, era precisato che, parimenti, il difensore non avrebbe avuto diritto in caso di recesso della cliente per una qualche giusta causa.
La causa aveva esito negativo, ma, nonostante ciò, il difensore agiva in giudizio per ottenere il pagamento del compenso, sul presupposto che il patto di quota lite era nullo e che, dunque, si dovevano applicare le normali tariffe forensi.
Il Tribunale di Forlì accoglieva la domanda, ritenendo che quell’accordo costituisse un patto di quota lite, vietato dalla legge, con la conseguenza che al suo posto dovevano applicarsi le regole sul compenso del difensore.
Mevia ricorre in Cassazione, eccependo che:
- l'accordo intervenuto non integra un patto di quota lite vietato, dal momento che le due clausole hanno portata autonoma: la prima commisura il compenso del difensore al 40% del risultato; la seconda invece prevede che alcun compenso è dovuto in caso di mancanza di risultato;
- quest’ultima va intesa come una rinuncia preventiva del difensore al corrispettivo, mentre l’altra come un patto con cui si concorda una percentuale di esso: trattasi di due ipotesi alternative ma distinte.
Per la Cassazione i motivi sono infondati:
a) è evidente che le due clausole sono parte di un unico accordo, hanno cioè un’unica funzione: quella di regolare il compenso del difensore; e ad un’unica funzione corrisponde un unico atto;
b) non si può dire che si tratta di due distinti atti, l’uno che prevede la misura del compenso e l’altro la rinuncia al medesimo; piuttosto, si tratta di due ipotesi alternative del medesimo effetto: se si vince, il compenso è il 40%, se si perde il compenso non è dovuto. L’una ipotesi dipende dall’altra, e non può pertanto costituire patto a sé stante.
c) ovviamente, la nullità, pacifica, del patto di quota lite è nullità parziale ossia non inficia l’intero contratto, che resta valido e che dunque è integrato, quanto alla parte elisa dalla nullità, ossia quanto al compenso, dalle regole generali;
d) giustamente il tribunale ha ritenuto che la clausola di rinuncia nel caso di esito infausto è un patto di quota lite, che la legge non vuole a tutela del lavoro del difensore: è quindi privo di fondamento l’assunto del motivo, che, senza farsi carico di ciò, cioè dell’intrinseca nullità della clausola di rinuncia preventiva, vorrebbe non considerarla nulla, perché nulla sarebbe solo la clausola sulla percentuale.