Sia consentito un breve riassunto dei fatti, al fine di meglio comprendere i principi di diritto enunciati dagli Ermellini.
Entrambe le Corti di merito avevano rigettato l’impugnativa del licenziamento intentata dalla lavoratrice, su recesso intimato per giusta causa dal datore, con riferimento alla lettera di contestazione disciplinare con cui era stato ascritto alla prima di essersi rifiutata di effettuare la visita medica in due giornate distinte.
La Corte di Appello in particolare, rilevava che:
a) in una prima data la datrice di lavoro aveva convocato a visita medica la lavoratrice comunicandole, contestualmente, che avrebbe preso servizio in Roma per un grande appalto di servizi, che avrebbe comportato un cambio delle mansioni svolte in precedenza;
b) La lavoratrice dapprima si era rifiutata di sottoporsi a visita medica come annotato a verbale dal Medico competente per poi giustificarsi 3 giorni dopo con una missiva con la quale si sosteneva che non era possibile sottoporsi ad esami invasivi come i prelievi di sangue all’interno di una stanza “riunioni aziendali” non asettica e neanche disinfettata, ribadendo la propria disponibilità alla visita in un luogo idoneo;
c) la Società rilevava che senza alcuna autorizzazione la lavoratrice si era presentata presso la grande Azienda Committente l’appalto, e che la presa in servizio veniva rifiutata perché mancante di visita medica per le mansioni assegnate.
d) Essa veniva quindi nuovamente convocata presso un centro medico ma, anche questa volta aveva veniva trasmessa una lettera nella quale la lavoratrice affermava che appreso che le sue mansioni erano quelle di addetta alle pulizie, aveva dichiarato la sua indisponibilità all’accertamento medico finalizzato allo svolgimento di mansioni a suo dire illegittime non confacenti alla propria professionalità.
e) la Azienda inviava quindi la contestazione disciplinare che poi scaturì nel licenziamento.
Ad avviso della Corte distrettuale il rifiuto di sottoporsi a visita medica doveva reputarsi illegittimo e non giustificato, tale da comportare il licenziamento per giusta causa.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la lavoratrice cui resiste parte datoriale.
La Corte di Cassazione, con articolato e condivisibile percorso logico giuridico che si tenta di sintetizzare, ci ricorda che l’art. 41 D.lgs. n. 81/2008, co. 2 lett. d), per quello che qui interessa, testualmente prevede che “la sorveglianza sanitaria comprende…. visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica”.
In punto di diritto, è dirimente quindi ricordare che la visita medica di idoneità - in ipotesi di cambio delle mansioni - è prescritta per legge e la richiesta di sottoposizione a visita da parte del datore di lavoro è un atto dovuto.
Dovrebbe a questo punto solo valutarsi se il rifiuto della lavoratrice, rivolto a contrastare un preteso illegittimo demansionamento, con assegnazione di mansioni ritenute non conformi alla qualifica rivestita e non compatibili con le condizioni di salute, fosse o meno legittimo.
Anche sul punto, però, la Corte di Appello ha correttamente statuito.
La visita del Medico Competente disposta per cambio mansioni era preventiva e prodromica all’assegnazione delle mansioni stesse e la sua eventuale omissione da parte del datore avrebbe costituito un suo gravissimo inadempimento. A seguito della contestazione della lavoratrice, il datore ha anche correttamente provveduto, prima che fossero svolte le diverse e nuove mansioni, a fissare nuova visita medica.
La reazione della Lavoratrice non è assolutamente giustificabile ai sensi dell’art. 1460 cc perché, da un lato, il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge e, dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti, e non certo autoproclamarsi inidonea alle mansioni e/o dichiarare da sé sola illegittimo il demansionamento.
L’art. 1460 cc, invocato dalla ricorrente, è applicabile solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della condotta tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo (Cass. n. 836/2018).
Quanto alla giusta causa di licenziamento, la ricorrente ne deduce la inesistenza e lamenta che la Corte di merito non avrebbe valutato, da un lato, l’elemento soggettivo e cioè la buona fede nel rifiutarsi a sottoporsi a visita medica e, dall’altro, la sproporzione tra la sanzione inflitta rispetto alla condotta contestata.
Si tratta, come è agevole rilevare, di accertamenti di fatto devoluti al giudice del merito il quale, nel caso de quo, con motivazione corretta sul versante logico e giuridico, e quindi incensurabile in cassazione, ha ritenuto comprovati, sulla base della ricostruzione dei fatti documentalmente risultante, l’illegittimità del comportamento omissivo della dipendente, punito anche con sanzioni penali, e lo scopo della condotta del datore di lavoro, finalizzata alla prevenzione rispetto alla sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro cui l’art. 41 del D.lgs. n. 81 del 2008 è improntato.