Il caso: Con citazione notificata in data 11/12/ 2013, gli attori, nipoti (figli di fratelli) della ciclista investita, convenivano in giudizio avanti il Tribunale di Forlì, il Sig. Tizio e Alfa Assicurazioni chiedendone, previo accertamento della responsabilità del conducente e proprietario del veicolo Land Rover nella determinazione del sinistro verificatosi in data 15/9/2009 in località Roncofreddo, la condanna al risarcimento dei danni da perdita del rapporto parentale, patrimoniali e non patrimoniali,
Si costituivano i convenuti contestando la domanda attorea sia sotto il profilo dell’an che del quantum e chiedendo preliminarmente di chiamare in causa Caio, di nazionalità Bulgara (nato a Pagoda, Bulgheria) e residente a Roncofreddo, proprietario e conducente del veicolo Mercedes TG CT 0000 nonché l’Ufficio Centrale Italiano, legittimato a stare in giudizio ex art. 126 D.lgs. 7/9/2005 n. 209, nei cui confronti chiedeva l’accertamento della responsabilità esclusiva o concorrente nella determinazione del sinistro per cui è causa, e la conseguente condanna al risarcimento dei danni richiesti dagli attori.
L’Ufficio Centrale Italiano, d’ora in avanti U.C.I., quale bureau italiano gestore del sinistro in cui è stato coinvolto il veicolo di proprietà e condotto da Caio, si costituiva in giudizio e contestava la chiamata in causa, in toto e partitamente, sia sotto il profilo dell’an che del quantum preteso dall’attore, respingendo ogni e qualsiasi responsabilità in relazione al sinistro mortale dedotto in giudizio verificatosi per il comportamento colposo esclusivo di guida, del sig. Tizio, il quale perdendo il controllo del proprio mezzo nell’affrontare una curva ad ampio raggio invadeva la corsia di marcia opposta sulla quale stava provenendo la ciclista, zia degli attori.
Al termine di una approfondita istruttoria, il Giudice respingeva la domanda di risarcimento attorea, ritenendo che non fosse stato provato, in corso di causa, la sussistenza di un legame affettivo personale che caratterizzasse il legame parentale esistente tra i nipoti-attori e la zia, deceduta a seguito del sinistro. Il Tribunale riteneva altresì che gli attori non avessero fornito alcun sostegno probatorio in merito alla sussistenza di una sofferenza morale e di sconvolgimento delle abitudini di vita, a causa del decesso del parente.
Osservazioni: Questa decisione appartiene all’orientamento maggioritario più rigido della giurisprudenza di merito, che ritiene che alcune circostanze di vita famigliare (trascorrere le festività insieme, visitare saltuariamente il parente, pranzare insieme la domenica) non siano di per sé idonee a legittimare la tutela giuridica. La ratio è che tali comportamenti sono da considerarsi “normali”, e da essi non scaturirebbe necessariamente e automaticamente un legame affettivo profondo diversificabile dall’adempimento di obblighi derivanti da convenzioni sociali.
Condizioni per integrare ex art 2059 cc un danno per lesioni da legame parentale
1) prova di una effettiva e consistente relazione parentale, e della compromissione della sfera affettiva famigliare. I parametri della intensità del vincolo e della convivenza, devono essere valutati in concreto rispetto al caso specifico, senza automatismi. Il valore del legale parentale di I° grado, si ritiene sia presuntivo, ed il suo valore è decrescente rispetto all’affievolirsi del legame parentale. La sussistenza di un legame suscettibile di produrre danno risarcibile tra parenti non di I° grado, richiede un sostegno probatorio per il suo riconoscimento (Cass. 21230/2016).
Presupposto imprescindibile è la prova di elementi idonei a connotare il rapporto parentale suscettibile di tutela giuridica.
2) prova di una sofferenza patita, apprezzata nella sua prosecuzione nel tempo (Cass. ord. 907 del 17/01/2018 - Cass. ord. 5807 del 28/02/2019; Cass. n. 23917 del 22/10/2013, che esclude la configurabilità del danno tra fratelli, se non vi è mai stato un rapporto affettivo e sociale, né rapporti di frequentazione e conoscenza.)
In relazione al danno non patrimoniale previsto dall’art. 2059 c.c., la Giurisprudenza è concorde nell’affermare che, in seguito alla morte di una persona, causata da reato, ciascuno dei famigliari prossimi congiunti ha diritto autonomo per il risarcimento del danno morale. Tale orientamento è confermato anche dalla prassi che ha sempre garantito la legittimazione attiva di quei parenti qualificabili come immediati congiunti: coniuge, genitori, figli, fratelli e sorelle.
Gli altri parenti e affini, come afferma anche il Trib. di Roma 25/11/1997, sono legittimati solo se concorrono circostanze che facciano ritenere che la morte del congiunto abbia comportato la perdita di un valido ed effettivo sostegno morale. Di orientamento conforme è anche il Tribunale di Trento 19/05/1995, secondo il quale il diritto a richiedere il risarcimento dei danni in caso di morte di un congiunto spetta sicuramente ai prossimi congiunti per la natura stessa del legame che li unisce e per i quali appare del tutto irrilevante, ai fini del riconoscimento della legittimazione ad agire, la cessazione della convivenza anteriormente al fatto delittuoso; per gli altri parenti, invece, viene fatto riferimento ai principi della sent. Cass. Civ. del 23/06/1993 n. 6938, per la quale è necessario che la parte alleghi prova di un grado di frequentazione con la vittima diverso da quello nascente nelle normali frequentazioni parentali (come, ad esempio, le visite in occasione di giornate festive o ricorrenze familiari tradizionali, avvertite quasi come doverose nell’ambito della cerchia dei parenti) o dei saltuari aiuti per sopperire a momentanee difficoltà della famiglia nucleare, in quanto rientranti nel tradizionale rapporto affettivo che lega reciprocamente persone appartenenti alla medesima cerchia famigliare.
In tutti i casi appena citati a titolo di esempi, infatti, non si è in presenza di quel quid pluris richiesto dalla Suprema Corte, cioè l’esistenza di un valido, concerto ed effettivo sostegno morale, rinvenendosi tale requisito, ad esempio, nella convivenza o nel rapporto nonni-nipoti/zii-nipoti quando i genitori affidino quotidianamente i secondi ai primi per motivi di lavoro. La Corte di Cassazione, con la sent. n. 4253, sez. III del 16/03/2012, si è pronunciata sul tema affermando che il fatto illecito, costituito dall’uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorchè colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita della famiglia nucleare.
Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale nucleo familiare (quali nonni, nipoti, genero/nuora ecc..) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno a sensi dell’art. 2 Cost.
Si ritiene di osservare, oltretutto, che, secondo i criteri orientativi del Tribunale di Roma, il requisito della convivenza è uno dei fattori che contribuiscono alla quantificazione economica del risarcimento, insieme al rapporto parentale esistente tra vittima e congiunto, l’età del congiunto e l’età della vittima (conf . anche nella giurisprudenza di merito ex multis, Tribunale di Busto Arsizio 06/04/2012 n° 118; Tribunale di Arezzo 07/01/2014 n° 5; Tribunale di Milano 02/12/2014 n° 14320, tutte in Redazione Giuffrè 2012/2014),
La Cassazione con la sentenza del 20/08/2015 n° 16912, afferma che "il pregiudizio da perdita del rapporto parentale, da allegarsi e provarsi specificamente dal danneggiato ex art. 2697 CC, rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale, distinto dal danno morale e da quello biologico, con i quali concorre a compendiarlo e consta non già nella mera perdita delle abitudini di vita e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento della esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita".
Il danno parentale riguarda, in definitiva, la lesione di due beni della vita: a) il bene della integrità familiare, riferito alla vita quotidiana della vittima con i suoi familiari, che trova il suo supporto costituzionale negli artt. 2, 3, 29, 301, 31, 36; b) il bene della solidarietà familiare riferito tanto alla vita matrimoniale quanto al rapporto parentale tra i componenti della famiglia. Cassazione civile, sez. III, 17/01/2018, n. 907 afferma addirittura il principio per cui il danno da perdita del rapporto parentale è un DANNO-CONSEGUENZA e NON è DANNO IN RE IPSA: La Suprema Corte ricorda anzitutto che deve essere considerato consolidato il principio secondo cui «il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, essendo danno conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il risarcimento. La sua liquidazione deve avvenire in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della convivenza e di ogni altra ulteriore circostanza allegata»).