La ex moglie che non restituisce i beni mobili di proprietà dell'ex marito commette il reato di appropriazione indebita.
Così ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 47057 del 20 dicembre 2024.
Lunedi 23 Dicembre 2024 |
Il caso: la Corte di appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale di Ragusa,che aveva condannato la ricorrente Mevia alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile in relazione al reato di appropriazione indebita di oggetti di pregio appartenenti al suo ex coniuge e dei quali aveva il possesso in quanto costituenti parte dell'arredamento di quella che era stata la loro casa coniugale.
Mevia ricorre in Cassazione, deducendo che:
a) la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente valutato le risultanze processuali, dimostrative del fatto che, fin dal 2009, l'imputata e la persona offesa , Tizio, avevano instaurato un giudizio per la separazione personale, all'interno del quale la parte civile, una volta abbandonata la casa coniugale senza mai più riprendere la convivenza con la moglie, aveva rivendicato la proprietà dei beni mobili della cui indebita appropriazione si discute, chiedendoli in restituzione alla ricorrente senza successo, circostanza dimostrata dagli atti del giudizio civile indicati in ricorso;
b) di conseguenza Tizio sarebbe stato perfettamente consapevole, fin dal 2009, dell'intenzione della moglie di non restituirgli i beni, espressamente manifestata con il suo comportamento, tanto da avere intrapreso una causa civile anche a questo scopo, con conseguente tardività della querela sporta nel 2017, dopo il rigetto della domanda civile.
La Cassazione, nel rigettare il ricorso, rileva che:
a) nel giudizio civile non si era mai fatta questione in ordine alla proprietà dei beni mobili, pacificamente riconducibili alla persona offesa ma il cui possesso, all'esito del giudizio civile, era stato attribuito alla ricorrente in quanto si trattava di oggetti facenti parte della casa coniugale a lei in un primo momento assegnata;
b) dalla lettura di quella stessa sentenza, risulta che la persona offesa non aveva mai rivolto alla ricorrente una espressa e specifica diffida alla restituzione dei beni in discorso, venendo rigettata dal Tribunale civile di Ragusa la domanda restitutoria, tenuto conto della sua genericità e del fatto che i beni erano a corredo della casa coniugale;
c) la linea difensiva adottata dalla ricorrente durante il corso del giudizio civile ed al suo interno, non aveva avuto lo scopo di appropriarsi di cose di proprietà altrui, bensì di mantenerne il possesso in attesa dell'esito del giudizio, comportamento fino a quel momento penalmente irrilevante che, in quanto tale, non poteva generare alcuna velleità di punizione in capo alla parte civile da veicolare attraverso una querela;
d) al contrario, dopo due anni dal divorzio, nell'estate del 2017 - in concomitanza con un provvedimento del Tribunale civile, emesso il 6 luglio 2017, che, modificando le precedenti statuizioni, aveva assegnato la casa coniugale alla parte civile - la ricorrente aveva compiuto il primo e decisivo atto di appropriazione indebita dei beni mobili di proprietà dell'ex marito, asportandoli dalla casa coniugale ed affidandoli per la vendita ad un antiquario: di tale circostanza, la persona offesa aveva avuto contezza solo nel mese di agosto del 2017, sicché la querela, sporta il 16 agosto 2017, era tempestiva