Cassazione civile, sez. VI Sentenza n. 17883 del 9/9/2016

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Giovedi 15 Settembre 2016
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Segue un'anteprima del testo:

E stata depositata in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:

“1. Con il decreto di cui in epigrafe, la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato il reclamo proposto da D.P.M. avverso il decreto emesso il 7 maggio 2014, con cui il Tribunale di Ancona aveva rigettato la domanda di attribuzione di una quota della indennità di fine rapporto percepita da A.A. , già coniuge dell’appellante, in qualità di agente generale dell’INA-Assitalia S.p.a. per il periodo coincidente con il rapporto matrimoniale.

2. - Avverso il predetto decreto la D.P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. L’A. ha resistito con controricorso.

3.- A sostegno dell’impugnazione, la ricorrente ha dedotto la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, osservando che, nell’escludere il suo diritto ad una quota del trattamento di,fine rapporto, in virtù della natura imprenditoriale dell’attività svolta dall’A. , il decreto impugnato non ha tenuto conto della configurabilità del rapporto con la preponente come rapporto di agenzia e del collegamento della predetta attribuzione con la cessazione del rapporto; sostiene infatti che, per effetto di tale collegamento, l’indennità percepita dall’A. era riconducibile alla previsione dell’art. 12-bis cil., non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua natura retributiva e la denominazione adottata dalla contrattazione collettiva, ma soltanto la sua correlazione con l’incremento patrimoniale prodotto nel corso del rapporto dal lavoro dell’avente diritto, giovatosi del contributo diretto ed indiretto dell’ex coniuge.

4. - Il ricorso è infondato.

Questa Corte ha infatti affermato che l’art.. 12-bis della legge n. 898 del 1970, nel riconoscere al coniuge divorziato titolare di assegno che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, mira a realizzare una forma di partecipazione, sia pure posticipata, alle fortune economiche costruite insieme dai coniugi finché il matrimonio è durato, ovvero ad imporre la ripartizione tra i coniugi di un’entità economica maturata nel corso del rapporto di lavoro e del matrimonio, in tal modo soddisfacendo esigenze di natura non solo assistenziale (evidenziate dal richiamo alla spettanza dell’assegno di divorzio), ma anche compensativa, rapportate cioè al contributo personale ed economico fornito dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune: si è pertanto escluso che con la locuzione indennità di fine rapporto il legislatore abbia inteso riferirsi specificamente all’istituto previsto dallo art. 2120 cod. civ. per i lavoratori subordinati privati, osservandosi che la norma in esame non menziona neppure il rapporto di lavoro subordinato, e concludendosi che essa rinvia ad una nozione più generica, comprensiva anche degli emolumenti collegati alla cessazione di rapporti di lavoro parasubordinato, tra i quali va inclusa l’indennità dovuta in caso di risoluzione del rapporto di agenzia (cfr. Cass., Sez. 130 dicembre 2005, n. 28874). ...

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