Cassazione civile Sez. VI - Ordinanza n. 23567 del 16/10/2013

Cassazione civile Sez. VI - Ordinanza n. 23567 del 16/10/2013
Mercoledi 6 Novembre 2013

Svolgimento del processo

- E' stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ.:

"1.- Con ricorso ai sensi dell'art. 441 bis cod. proc. civ. al Tribunale di Tempio Pausania - Sez. dist. di Olbia, la s.r.l. Tecno Edil ha chiesto che venisse dichiarato risolto al 9 febbraio 2005, ai sensi dell'art. 1810 cod. civ., il contratto di comodato di una casa di sua proprietà, stipulato nel 2001 con i coniugi G. C. e L.R.C..

I coniugi convenuti si erano nel frattempo separati e la casa coniugale era stata assegnata alla moglie, per l'abitazione sua e del figlio minore.

Il C. ha aderito alla domanda attrice, mentre la L.R. ha resistito, assumendo che l'immobile era stato destinato ad abitazione della famiglia e che il comodato avrebbe dovuto protrarsi per tutto il tempo necessario a soddisfare le esigenze abitative familiari.

Ha altresì eccepito che il C. era socio occulto della Tecno Edil, essendo l'effettivo titolare del 20% delle quote sociali, apparentemente intestate alla sorella, e che la domanda di restituzione si proponeva di vanificare il provvedimento presidenziale di assegnazione della casa coniugale alla moglie.

Il Tribunale ha respinto la domanda.

Proposto appello dalla Tecno Edil, la Corte di appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato risolto il contratto di comodato, ordinando alla L.R. la restituzione dell'appartamento entro centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.

L.R. propone tre motivi di ricorso per cassazione.

Resiste Tecno Edil con controricorso.

C. non ha depositato difese.

2.- La Corte di appello ha ritenuto che la destinazione d'uso del bene concesso in comodato debba inequivocabilmente risultare dalla volontà delle parti espressa nel contratto, per poter affermare che il contratto medesimo è assoggettato ad un termine di durata commisurato ad un determinato uso; che per contro, qualora la destinazione sia frutto di una scelta del comodatario e non di un accordo delle parti in tal senso, il comodato si deve ritenere concluso in precario, quindi risolubile ad nutum dal comodante.

Ciò premesso, ha ritenuto che nella specie non risulti provato nè il fatto che le parti abbiano concluso un contratto a termine, accordandosi per la destinazione dell'immobile a casa familiare, nè che l'effettivo proprietario dell'appartamento sia il C..

3.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul rilievo che la Corte di appello avrebbe ritenuto non dimostrata l'esistenza del contratto di comodato contro le evidenze documentali e contro le ammissioni della stessa controparte. Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1803, 1809 e 1810 cod. civ., nel capo in cui la sentenza impugnata ha escluso che il comodato fosse soggetto ad un termine, assumendo che ciò comporta violazione del principio per cui - quando un immobile venga concesso in comodato per essere destinato a casa coniugale - è da ritenere assoggettato ad un termine finale che coincide con il venir meno delle esigenze abitative del nucleo familiare. Richiama a supporto Cass. civ. S.U. 21 luglio 2004 n. 13603.

Con il terzo motivo lamenta violazione dell'art. 155 cod. civ., in relazione agli artt. 1809 e 1810 cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello sarebbe incorsa anche nella violazione dei principi a tutela del coniuge separato.

4.- I tre motivi, che vanno congiuntamente esaminati perchè connessi, sono infondati se non anche inammissibili.

Le censure del ricorrente - ed in particolare quelle di cui ai primi due motivi - non investono la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha escluso che manchi la prova del contratto di comodato; solo ha escluso che si tratti di comodato soggetto ad un termine, perchè stipulato in vista delle esigenze di abitazione della famiglia. Premesso che, a norma dell'art. 1809, il termine apposto al comodato può risultare sia espressamente, dall'indicazione della data di scadenza stabilita dalle parti; sia implicitamente, dall'uso a cui il bene debba essere destinato, la Corte di appello ha ritenuto potersi ravvisare comodato a termine (implicito) solo quando risulti che le parti si sono accordate per la destinazione del bene ad un determinato uso e tale intento abbiano manifestato alla data della conclusione del contratto.

Ha ritenuto invece insufficiente allo scopo la mera destinazione di fatto del bene ad abitazione della famiglia.

Su questo aspetto, che costituisce la vera ratio decidendi della sentenza impugnata, la ricorrente non muove alcuna censura, limitandosi ad affermare apoditticamente il contrario (nel terzo motivo), cioè la rilevanza del mero stato di fatto instaurato dal comodatario.

Il primo ed il secondo motivo sono quindi irrilevanti, perchè non congruenti con le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata.

Il principio enunciato dalla Corte di appello deve essere invece condiviso.

La destinazione del bene in comodato ad uno specifico uso non può essere desunta dalla mera situazione di fatto, creata dal comodatario, ma deve risultare dall'accordo delle parti e l'accertamento in proposito attiene all'interpretazione del contratto ed in quanto tale è rimesso alla discrezionale valutazione del giudice di merito.

Questa Corte ha più volte chiarito che l'individuazione del vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari non può essere desunta dalla mera natura immobiliare del bene concesso in godimento dal comodante, ma implica un accertamento in fatto, di competenza del giudice del merito, che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell'intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato, della natura dei rapporti tra le medesime, degli interessi perseguiti e di ogni altro elemento che possa far luce sulla effettiva intenzione di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare, perchè il comodato possa considerarsi non risolubile ad nutum (Cass. civ. S.U. 21 luglio 2004 n. 13603; Cass. civ. Sez. 3, 18 luglio 2008 n. 19939; Cass. civ. Sez. 3, 21 giugno 2011 n. 13592).

La sentenza impugnata ha escluso di poter addivenire ad un tale accertamento sulla base degli elementi di prova acquisiti al giudizio, e la ricorrente non ha dimostrato il contrario, ma si è limitata ad affermare che l'appartamento è stato in concreto utilizzato come residenza della famiglia.

Nella specie, poi, neppure risultano elementi presuntivi in tal senso, considerato che comodante non era un genitore o un parente di uno dei coniugi, ma una società commerciale, e che - anche ammesso che il marito ne fosse socio - la misura della partecipazione che gli viene attribuita, cioè il 20% delle quote, non era tale da consentire di identificare la sua persona con quella della società.

4.1.- Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla moglie, in sede di separazione, non sposta i termini del problema, poichè il diritto di abitazione spettante al coniuge assegnatario è soggetto alla disciplina del titolo da cui deriva, come la Corte di appello ha chiarito anche su questo punto, sulla traccia della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. civ. S.U. n. 13603 cit).

5.- Propongo che il ricorso sia respinto, con ordinanza in Camera di consiglio". - La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti.

- Il P.M. non ha depositato conclusioni scritte.

 

Motivi della decisione

Il Collegio, esaminati gli atti, condivide la soluzione e gli argomenti esposti nella relazione.

A chiarimento del punto 4 della relazione stessa, soggiunge che - come la Corte di cassazione ha più volte chiarito, sulla traccia dei principi enunciati dalle Sezioni unite con sentenza n. 13603/2004 cit. - quando il bene immobile oggetto di comodato sia stato destinato ad abitazione della famiglia, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa ad uno dei coniugi resta regolato dalla disciplina del comodato, negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica, nella fase fisiologica della vita matrimoniale.

Di conseguenza, ove il comodato sia stato concluso senza determinazione di durata, ai sensi dell'art. 1810 cod. civ., il coniuge assegnatario è tenuto, quale comodatario, a restituire il bene non appena il comodante lo richieda.

Il ricorso deve essere respinto.

Considerata la natura della controversia e la difformità fra le decisioni di merito, che può avere creato incertezza circa la corretta soluzione della vertenza, le spese del presente giudizio si compensano.

 

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta/3 Civile, il 26 settembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2013

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