Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato 1'8 aprile 2005, PNC e PMS, premettevano di essere stati ingiunti del pagamento della somma di € 1.080.248,36 m favore della Banca X che il credito ingiunto derivava da un contratto di apertura di credito con garanzia ipotecaria, regolata con tasso pari al prime rate ABI e con capitalizzazione trimestrale; che la garanzia ipotecaria era stata concessa per la complessiva somma di € 3.500.000.000., mentre il rientro dall'esposizione era stato legato alla vendita di alcuni immobili ed ai rimborsi da ricevere da altre banche, con le quali era in atto un contenzioso legato sostanzialmente all'entità dei crediti variamente azionati; che la garanzia era ampiamente superiore all'importo ingiunto; che nonostante ciò era stato infine revocato l'affidamento, con indebita segnalazione alla centrale rischi;
che il credito azionato veniva integralmente contestato, quanto all'illegittimità del recesso operato dalla Banca nonché dell'esercizio del cd. ius variandi; che era illegittima la pattuizione ed applicazione della capitalizzazione trimestrale dell'interesse composto; che era inammissibile la provvigione di massimo scoperto, che doveva considerarsi una vera e propria integrazione del tasso nominale di interesse; che era illegittima l'applicazione dei giorni valuta nonché in relazione al tasso effettivo globale.
Tutto ciò premesso, evocavano in giudizio la Banca x avanti al Tribunale di Udine per sentire revocare l'ingiunzione opposta stante l'illegittimità delle condizioni applicate e le violazioni lamentate, con la condanna della controparte al risarcimento del danno per la mancata comunicazione della variazione delle condizioni e per la segnalazione alla centrale rischi.
Insistevano altresì per la sospensione della provvisoria esecuzione.
Si costituiva la Banca opposta, la quale osservava, in primo luogo, che con la sentenza n. 1477/04 del Tribunale di Udine era stata definitivamente accertata l'esistenza di crediti per ingenti importi nei riguardi degli attori in opposizione. Nel merito delle contestazioni, rilevava che lo stesso NC aveva ammesso, a rapporto ormai concluso, l'inesistenza di interessi illegali e "malefiche" commissioni mentre gli interessi anatocistici erano stati integralmente stornati.
Insisteva poi per il rigetto dell'istanza formulata a norma dell'art. 649 cod. proc. Civ.
Il Tribunale di Udine - negata la sospensione della provvisoria esecuzione dell'ingiunzione opposta - rigettava l'opposizione, condannando gli opponenti alla rifusione delle spese di lite.
Il primo Giudice osservava che il credito della Banca si evinceva tanto dalle scritture contabili quanto dagli estratti conto periodicamente inviati, ed altresì dalle dichiarazioni a carattere confessorio e dalle promesse di pagamento rese stragiudizialmente dagli opponenti. Da siffatta documentazione emergeva che vi era contestazione solamente in ordine all'applicazione dell'anatocismo trimestrale, mentre l'esistenza di garanzia ipotecaria non costituiva ostacolo alla richiesta di pagamento dei debiti divenuti esigibili, mentre la condotta di altri soggetti non poteva andare a detrimento delle ragioni di un soggetto terzo come la Banca opposta.
In specie, alla stregua di quanto così osservato, ogni contestazione relativa al contenzioso tra banca e clienti doveva intendersi superata dagli espliciti riconoscimenti confessori su legittimità e correttezza dei conti.
In ordine poi all'anatocismo trimestrale, il credito era stato spontaneamente ridotto dalla Banca di euro 11.097,72 anteriormente al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, ed in proposito - ed in difetto di specifiche contestazioni - detta riduzione doveva ritenersi adeguata. Mentre, quanto alla successiva capitalizzazione annuale, l'Istituto aveva addirittura applicato il tasso legale, inferiore a quello contrattuale.
In relazione poi alla doglianza circa l'applicazione di tasso diverso rispetto a quello pattuito, essa era frutto di errore nell'indicazione del prime rate vigente nei vari periodi.
Avverso la predetta decisione gli opponenti proponevano appello con quattro motivi di gravame.
La Banca appellata resisteva con comparsa di risposta chiedendo la conferma dell'impugnata decisione.
La Corte d'appello di Trieste, con sentenza 85/08 rigettava l'appello.
Avverso la detta decisione ricorrono per cassazione il NC e la S e sulla base di tre motivi illustrati con memoria.
Non ha svolto attività difensiva la Banca X.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dei canoni interpretativi dei contratti ed il vizio di motivazione da parte della sentenza impugnata laddove ha ritenuto la natura confessoria della lettera inviata il 24.4.2002 da N alla banca.
Con il secondo motivo assumono che, qualora la decisione impugnata avesse ritenuto sussistere nel caso di specie un riconoscimento di debito, la stessa sarebbe erronea in quanto non avrebbe considerato che essa avrebbe comportato soltanto una inversione dell'onere della prova in ordine alla esistenza del debito.
Con il terzo motivo lamentano la mancata dichiarazione di nullità della clausola di capitalizzazione periodica degli interessi.
Il primo motivo risulta fondato.
I ricorrenti contestano la correttezza della interpretazione da parte della Corte d'appello laddove ha ritenuto che la dichiarazione di cui alla nota del 24.4.02 costituiva una confessione sostenendo,al contrario, che la stessa doveva considerarsi una proposta di accordo transattivo o al massimo una mera promessa parziale di pagamento di un debito.
Va anzitutto rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che per confessione deve intendersi l'ammissione di un fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte e che al fine di stabilire se la dichiarazione dalla quale il detto fatto risulta abbia i caratteri della confessione, deve intendersi quello che, avuto riguardo all'oggetto della controversia ed ai termini della contestazione, è in concreto idoneo a produrre conseguenze giuridiche svantaggiose per colui che volontariamente e consapevolmente ne riconosce la verità. ( Cass 4012/95- Cass 11635/97).
La Corte d'appello ha riportato il contenuto di una parte della dichiarazione del N del seguente tenore: "dal calcolo effettuato sui conti che vi riguardano non sono risultati interessi illegali, né le malefiche commissioni, ma pur sempre l'anatocismo che vogliamo credere praticaste in buona fede e per emulazione... Riteniamo giusto ripagare il debito con voi con la restituzione del ma/tolto del passato ad opera delle banche che vi hanno preceduti".
Ha rilevato poi che il N, anche a nome della S, dopo avere rammentato l'esistenza della ipoteca data alla banca a garanzia della esposizione assicurava che "Se avrete pazienza, potremo dimostrare le nostre ragioni davanti alla Giustizia, e nel giro di due anni iniziare a restituirvi quanto ci avete concesso, che riconosciamo di dovervi restituire quasi al completo delle vostre pretese, visto il comportamento tollerante che ci avete fin qui dimostrato e, comunque, stiamo cercando di provvedere ad una estinzione del vostro credito, anche più immediata".
Sulla base di tali dati testuali ha rilevato che i ricorrenti avevano sottoposto ad attento esame i conteggi effettuati dalla banca e li avevano ritenuti corretti, ad eccezione degli interessi anatocistici, ditalché avevano riconosciuto l'obbligo di dovere restituire quasi al completo l'importo richiesto attribuendo così alle dette dichiarazioni natura confessoria .
Tale motivazione non appare del tutto corretta.
Va premesso che le dichiarazioni rese nella nota in esame vanno esaminate alla luce dei canoni di interpretazione stabiliti dagli articoli 1362 e seguenti del codice civile.
Tali norme si applicano anche ai negozi unilaterali quale quello oggetto del presente esame nei limiti della compatibilità dei criteri stabiliti dagli art.l362 e seguenti cod.civ. con la particolare natura e struttura della predetta categoria di negozi (Cass 2052169) per cui, ad esempio, nei negozi unilaterali non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti, ma si deve indagare soltanto quale sia stato l'intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio (senza poter far ricorso, per determinarlo, alla valutazione del comportamento dei destinatari del negozio stesso). ( Cass .11712198; Cass. 12780 l 2000; Cass 5835 l 2002 ; Cass n.5234 l 2004; Cass n. 13970/05; Cass 1387/09; Cass 25608/13 ).
Parimenti resta ferma l'applicabilità, atteso il rinvio operato dall'art. 1324 cod. civ., del criterio dell'interpretazione complessiva dell'atto (Cass 25608/13).
A tale premessa se ne deve aggiungere una seconda rammentandosi che la confessione è scindibile, salvo che abbia ad oggetto un unico fatto giuridico o anche più fatti che siano, però, così strettamente connessi fra loro da apparire l'uno come necessaria conseguenza dell'altro. La piena efficacia di prova legale della confessione è circoscritta ai soli casi in cui essa, quale riconoscimento puro e semplice della verità di un fatto, conserva quel carattere per cui il giudice è ad essa vincolato, non potendo la inscindibilità della confessione apparire logica e coerente nei casi in cui potrebbe condurre a conseguenze aberranti. (Cass 662/66).
In particolare, è stato già chiarito da questa Corte che il principio dell'inscindibilità della confessione, posto dall'art. 2734 cod civ, trova applicazione solo quando unico è il fatto che forma oggetto di confessione, o quando due fatti siano cosi strettamente connessi fra loro che l'uno appaia come necessaria conseguenza dell'altro. Ad esempio, non può parlarsi di inscindibilità della confessione, quando oggetto delle dichiarazioni rese dal confidente siano due fatti giuridici distinti, quali l'assunzione di un debito e l'avvenuto pagamento dello stesso. ( Cass 1901/75, Cass 602/73, Cass 3980/68, Cass 675/68, Cass 646/76 ).
Nel caso di specie non può non rilevarsi che la ritenuta confessione riveste un carattere del tutto generico poiché la stessa si limita a riconoscere un debito nei confronti della banca che però risulta del tutto indeterminato nel suo ammontare e specificatamente contestato in alcune sue voci.
In tale contesto il giudice di merito avrebbe dovuto scindere necessariamente le dichiarazioni rese dal N rilevandone la natura confessoria in ordine alla debenza di una somma in restituzione alla banca, ma constatandone al tempo stesso la contestazione circa l'ammontare, risultante con tutta evidenza dalla espressione "riconosciamo dovervi restituire quasi al completo delle vostre pretese".
Tale ultima affermazione avrebbe dovuto necessariamente essere posta in collegamento con l'ulteriore affermazione contenuta nella nota secondo cui "dal calcolo effettuato sui conti che vi riguardano non sono risultati interessi illegali né le malefiche commissioni'' al fine di acce se detta dichiarazione, che appare essere la comunicazione dei risultati di una semplice verifica contabile effettuata, rivesta carattere confessorio o meno anche in relazione alle parole che seguono "ma non vogliamo parlare di questo" e dal prosieguo della nota ove si dichiarava che se la banca non avesse concesso una dilazione temporale “saremmo costretti ad agire anche contro di voi,con esiti più incerti...".
La lettura di tali frasi citate in collegamento tra loro avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello a ricostruire l'effettiva intenzione del ricorrente tenendo conto della citata scissione tra la confessione della esistenza di un proprio debito e la contestazione del suo ammontare.
Invero il giudice di merito si è attenuto ma solo parzialmente a tale criterio laddove, riconosciuta la confessione circa l'esistenza di un non precisato debito nei confronti della banca da parte dei ricorrenti, si è soffermato ad analizzare la questione della debenza degli interessi anatocistici senza però prendere in esame le contestazioni avanzate con l'atto di citazione riguardanti le commissioni di massimo scoperto e la mancata applicazione dell'effettivo tasso convenzionale.
Ciò impone che la Corte d'appello rivaluti il valore confessorio della nota del N alla luce dei principi dianzi indicati.
Il motivo va quindi accolto nei termini dianzi esposti. Il secondo motivo appare inammissibile.
Invero le argomentazioni svolte dalla Corte d'appello in ordine alla ricognizione di debito appaiono un fuor d'opera in quanto non valgono ad inficiare o a sostituire l'unica ratio decidendi posta a base della decisione che è quella dianzi esaminata della natura confessoria della dichiarazione del 24.4.02.
Il motivo, non investendo dunque una effettiva ragione del decidere risulta privo di rilevanza con mancanza quindi di ogni interesse da parte dei ricorrenti a proporlo.
Il terzo motivo è solo parzialmente fondato.
Per quanto concerne la capitalizzazione trimestrale degli interessi, la Corte d'appello ha osservato sul punto che il giudice di primo grado aveva rilevato che la Banca aveva spontaneamente ridotto gli interessi anatocistici trimestrali prima di proporre il ricorso per ingiunzione e che, in proposito, erano mancate specifiche e dettagliate contestazioni da parte degli allora appellanti sicché la riduzione doveva considerarsi adeguata.
Tale ratio decidendi non è censurata in modo pertinente.
I ricorrenti infatti, oltre a sostenere la tesi ormai pacifica della illegittimità della applicazione dell' anatocismo trimestrale, si limitano ad affermare di avere chiesto in sede di appello “l'accoglimento di tutte le domande già formulate in primo grado ed in particolare l'accertamento dell'esatto dare ed avere tra le parti alla luce della non veridicità dei saldi evidenziati in estratto conto" .
Trattasi di una argomentazione del tutto generica da cui non risulta l'esistenza nell'atto di appello di una censura specifica in ordine alla inadeguatezza del1a riduzione effettuata dalla banca ed al fatto che la capitalizzazione trimestrale era in tutto o in parte rimasta inclusa nei saldi degli estratti conto.
Di tale questione specifica non si rinviene inoltre traccia neppure nel quesito .Sul punto dunque deve ritenersi ormai formato il giudicato che preclude a questa Corte ogni esame e pronuncia in proposito .
Tale principio risulta conforme a quanto affermato dalla Corte di Giustizia che ricordata l'importanza che riveste, sia nell'ordinamento giuridico dell'Unione che negli ordinamenti giuridici nazionali, il principio dell'intangibilità del giudicato (sentenze Kapferer, C-234/04, EU:C:2006:178, punto 20 Commissione/Lussemburgo, C-526/08, EU:C:2010:379, punto 26, e ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, C-352/09 P, EU:C:2011 :191, punto 123) ha ripetutamente affermato che il diritto dell'Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto (v., in tal senso, sentenze Eco Swiss, C-126/97, EU:C:1999:269, punti 46 e 47; Kapferer, EU:C:2006:178, punti 20 e 21; Fallimento Olimpiclub, EU:C:2009:506, punti 22 e 23 Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, EU:C:2009:615, punti da 35 a 37, nonché Cominissione/Slovacchia, C-507/08, EU:C:2010:802, punti 59 e 60; Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del l O luglio 2014. Impresa P Spa contro Comune di Bari Causa C-213/13. ).
Risulta invece fondato il motivo laddove censura il mancato accoglimento dell'appello in ordine alla prospettata illegittimità della capitalizzazione annuale degli interessi.
L'illegittimità di tale uso è stata infatti già affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte che, dopo avere rilevato che la giurisprudenza ha escluso in relazione alla capitalizzazione trimestrale degli interessi di poter ravvisare un uso normativo atto a giustificarla,ha osservato che era "assolutamente arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l'esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale. Prima che difettare di "normatività", usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà storica dell'ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio iuris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine ai capitalizzazione annuale degli interessi debitori, ne' di necessario bilanciamento con quelli creditori".
Deve pertanto ritenersi che la capitalizzazione annuale degli interessi sia un uso illegittimamente applicato, non rilevando in ogni caso l'arco temporale in relazione al quale viene effettuata la capitalizzazione.
Il motivo di ricorso va, pertanto, accolto nei termini dianzi indicati.
La sentenza impugnata va di conseguenza cassata con rinvio alla Corte d'appello di Trieste in diversa composizione che si atterrà nel decidere ai principi di diritto dianzi enunciati e che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
PQM
Accoglie il primo motivo ed il terzo motivo del ricorso nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibile il secondo,cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Trieste in diversa composizione.
Roma 25.3.15
Depositato in cancelleria
6 MAG 2015