La rinuncia al mantenimento non esclude il diritto all'assegno sociale

La rinuncia al mantenimento non esclude il diritto all'assegno sociale

La rinuncia da parte del coniuge più debole all’assegno di mantenimento nel corso del giudizio di separazione o nel corso del divorzio, non preclude il diritto di quest’ultimo alla corresponsione dell’assegno sociale da parte dell’INPS.

Martedi 10 Settembre 2024

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza 22755/2024, pubblicata il 13 agosto 2024.

IL CASO: La vicenda esaminata origina dal ricorso promosso da una signora avverso una sentenza con la quale la Corte di Appello aveva confermato la decisione del Tribunale di rigetto della domanda proposta dalla ricorrente tesa al riconoscimento del diritto all’assegno sociale.

La domanda era stata rigettata dai giudici di merito sul presupposto che la ricorrente aveva rinunciato all'assegno di mantenimento in sede di separazione consensuale e per aver presentato all'INPS la domanda per il riconoscimento della provvidenza solo dopo un mese dalla separazione. Inoltre, i giudici evidenziavano che l'ex coniuge della ricorrente percepiva più trattamenti pensionistici ed entrambi continuavano a convivere nella originaria casa coniugale con chiara incidenza favorevole sull'entità degli introiti di cui lo stesso mensilmente disponeva.

La signora, rimasta soccombente in entrambi i gradi di giudizio, investiva della questione la Corte di Cassazione deducendo, con un unico motivo di gravame, la violazione di legge per avere la Corte di merito escluso lo stato di bisogno per il diritto all'assegno sociale sul presupposto di non essersi la parte attivata nei confronti del soggetto economico su cui grava uno specifico obbligo di solidarietà nascente dal vincolo familiare, prima di rivolgersi alla solidarietà generale.

LA DECISIONE: Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione la quale, nell’accoglierlo, con rinvio della causa alla Corte di Appello di provenienza, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale previsto dalla legge n. 335 del 1995, ex art. 3, comma 6, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dall'assenza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, restando irrilevanti eventuali altri indici di autosufficienza economica o redditi potenziali, quali quelli derivanti dall'assegno di mantenimento che il titolare abbia omesso di richiedere al coniuge separato, e senza che tale mancata richiesta possa essere equiparata all'assenza di uno stato di bisogno;

Il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale, hanno osservato gli Ermellini, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dalla condizione oggettiva dell'assenza di redditi o dell'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, senza che assuma rilevanza la mancata richiesta, da parte dell'assistito, dell'importo dovuto dall'ex coniuge a titolo di assegno divorzile, non essendo previsto che lo stato di bisogno, per essere normativamente rilevante, debba essere anche incolpevole.

Il riferimento contenuto nell'art. 3 della legge n.335 del 1995 ai redditi effettivamente percepiti, hanno concluso, non implica che il legislatore abbia, per ciò solo, inteso legittimare comportamenti posti in essere per dar luogo ad una situazione sulla quale fondare il diritto reclamato, per cui l'eventuale intento fraudolento dev'essere oggetto di accertamento giudiziale, nel rispetto degli oneri circolari di allegazione e deduzione.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 22755 2024

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