La Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 17.01.17, conferma sussistere responsabilità di tipo aquiliano in capo al Ministero della Salute per i danni ematici subiti da soggetti sottoposti a trasfusioni di sangue o assunzione di emoderivati presso strutture pubbliche sanitarie a partire dall’anno 1978.
Giovedi 4 Maggio 2017 |
Caso e decisione
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 17.01.17, ha confermato sussistere responsabilità di tipo aquiliano in capo al Ministero della Salute per i danni ematici subiti da soggetti sottoposti a trasfusioni di sangue o assunzione di emoderivati presso strutture pubbliche sanitarie a partire dall’anno 1978.
Il caso sottoposto alla Corte a seguito dell’appello interposto dal Ministero – riguardava una domanda di risarcimento dei danni – jure proprio e jure ereditatis – avanzata dagli eredi di un soggetto che, sottoposto ad intervento chirurgico ed emotrafuso nell’anno 1967, successivamente accusava gravi disfunzioni riconducibili ad un quadro di cirrosi epatica che lo portava infine alla morte per shock settico nell’anno 2007.
Lamentava invece il Ministero appellante essere nel 1967 sconosciuta alla scienza medica la patologia (HCV) contratta dall’appellato, ergo non potersi addebitare al Ministero alcuna negligenza nei controlli; nonché non potersi comunque cumulare il risarcimento ex art. 2043 cod. civ. a quello previsto ex lege 210/92.
Integralmente rigettando l’appello, la Corte territoriale ha fornito una cernita completa dei principi fondamentali tracciati in materia dalla Corte di Cassazione negli ultimi anni: ciò richiamando le sentenze nn. 576/2008 e 17685/2011 quanto alla delimitazione temporale della responsabilità (“… finché non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale, i virus della HIV, HBC ed HCV, proprio perché l'evento infettivo da detti virus era già astrattamente inverosimile, in quanto addirittura anche astrattamente sconosciuto, mancava il nesso causale tra la condotta omissiva del Ministero e l'evento lesivo, in quanto all'interno delle serie causali non poteva darsi rilievo che a quelle soltanto che, nel momento in cui si produsse l'omissione causante e non successivamente, non apparivano del tutte inverosimili, tenuto conto della norma comportamentale o giuridica, che imponeva l'attività omessa. La corte di legittimità, quindi, riteneva esente da vizi logici la sentenza della Corte di appello, che aveva ritenuto di delimitare la responsabilità del Ministero a decorrere dal 1978 per l'HBC (epatite B), dal 1985 per l'HIV e dal 1988 per l'HCV (epatite C), poiché solo in tali rispettive date erano stati conosciuti dalla scienza mondiale rispettivamente i virus ed i tests di identificazione. […] Ritengono, invece, queste S.U. (in conformità a quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina) che non sussistono tre eventi lesivi, come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma di un unico evento lesivo, cioè la lesione dell'integrità fisica (essenzialmente del fegato), per cui unico è il nesso causale: trasfusione con sangue infetto - contagio infettivo - lesione dell'integrità. […] Pertanto già a partire dalla data di conoscenza dell'epatite B (la cui individuazione, costituendo un accertamento fattuale, rientra nell'esclusiva competenza del Giudice di merito) sussiste la responsabilità del Ministero anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell'integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge”) ed all’accertamento del nesso causale da comportamento omissivo (… premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinché fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione di rischi, il Giudice, accertata l'omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all'epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata – infine - l'esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell'evento").
Quanto poi alla sussunzione normativa della responsabilità del Ministero, la Corte ha ripercorso l’intero iter legislativo in materia – richiamando la l. n. 592/1967 (artt. 1 e 21), il DPR n. 1256/1971 (artt. 2, 3, 103 e 112), le ll. nn. 519/1973 e 833/1978 (artt. 4 e 6), il DL 443/1987, le ll. nn. 107/1990 e 317/2001 – statuendo infine che “In ipotesi di danno alla salute conseguente ad emotrasfusione di sangue infetto (per omessa rilevazione sierologica della presenza di virus), la responsabilità della dell’Amministrazione deriva, d’altra parte, dal generale precetto ex art. 2043 cc per danno derivante da comportamento non provvedimentale della pubblica amministrazione ovvero per violazione di regole di comune prudenza piuttosto che di leggi o regolamenti a cui la amministrazione è vincolata. Nello specifico, al Ministero incombeva il dovere giuridico di esercitare la vigilanza in materia sanitaria, di fissare il presso di cessione delle unità di sangue destinato alla trasfusione su tutto il territorio nazionale, di autorizzare l’importazione e l’esportazione del sangue e dei suoi derivati per l’impiego sanitario”.
La Corte, infine, senza pronunciarsi sulla astratta cumulabilità del risarcimento da responsabilità aquiliana all’indennizzo stabilito dalla legge n. 210/1992, ha rigettato anche il secondo motivo di appello avanzato dal Ministero mercé l’inesistenza di prova alcuna circa l’effettiva liquidazione, nel caso di specie, dell’indennizzo legale.
Osservazioni
Con la sentenza in esame – che pure tralascia il riferimento a fondamentali pronunce della Suprema Corte (cfr. ss. da 577 a 585 del 2008) – la Corte d’Appello di Catania ha fornito una esemplare, per sinteticità e chiarezza, ricostruzione storica e logico-giuridica della fattispecie dei danni da emotrasfusione, nulla però statuendo né circa la questione della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, non avendo formulato tale eccezione il Ministero in sede di appello, né circa la cumulabilità del risarcimento da responsabilità extracontrattuale a quello ex legge n. 210/1992.
Quanto al primo punto, si rileva come le medesime pronunce di legittimità citate dal collegio – su tutte, cfr. sentenza n. 576/2008 – abbiano chiaramente stabilito come il dies a quo della decorrenza del termine quinquennale debba decorrere “… non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce danno all'altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”.
Quanto al secondo punto, va conclusivamente rilevato come la Corte di Cassazione – cfr. sentenza n. 584/2008 – abbia in ogni caso statuito come il risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ. abbia “… natura diversa rispetto all'attribuzione indennitaria regolata dalla legge n. 210 del 1992”; come tale, l’importo dell’indennizzo – ove non manifestamente irrisorio rispetto alle spese mediche sostenute dal danneggiato successivamente al contagio – deve essere considerato soltanto scomputabile dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno.