In base a quanto previsto dal Decreto Legge n. 4 del 2019 sul Reddito di Cittadinanza (in G.U. il 28 gennaio 2019) a decorrere dal mese di aprile 2019 è istituito il Reddito di cittadinanza quale misura unica di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale a garanzia del diritto del lavoro nonché a favorire il diritto all’informazione e all’istruzione.
I beneficiari secondo quanto stabilito nell’art. 2 del Decreto sono tutti i nuclei familiari in possesso dei seguenti requisiti:
1. cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione Europea ovvero un familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente;
2. residente in Italia da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo;
3. un modello ISEE inferiore a 9.360 Euro;
4. un valore del patrimonio immobiliare come definito ai fini del modello ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di € 30.000;
5. un valore del patrimonio mobiliare come definito dal modello ISEE non superiore a una soglia di € 6.000,00 annui, accresciuta di € 2.000,00 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo e fino ad un massimo di € 10.000,00, incrementato di ulteriori € 1.000,00 per ogni figlio successivo al secondo, massimali ulteriormente incrementati di € 5.000,00 per ogni componente con disabilità presente nel nucleo familiare;
6. un reddito familiare inferiore ad una soglia di € 6.000,00 annui sempre secondo il modello ISEE;
7. nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo o avere piena disponibilità di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc, nonché motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati per la prima volta nei due anni antecedenti, fatti salvi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista un’agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità secondo la normativa vigente;
8. nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avente disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto di cui all’art. 3, comma 1, decreto legislativo 18 luglio 2005 n° 171.
Il reddito di cittadinanza non ha un importo fisso; varia, infatti, in base alla situazione economica della famiglia che lo richiede. Secondo quanto indicato nell’articolo 3 del decreto, il beneficio economico si compone di due differenti elementi:
1. integrazione fino a 6.000€ (annui) del reddito familiare;
2. integrazione pari all’ammontare del canone annuo di locazione (fino ad un massimo di 3.360€ annui) per le famiglie che sono in affitto.
È prevista poi un integrazione (ma fino ad un massimo di 1.800€ annui) per i nuclei familiari che risiedono in un’abitazione di proprietà ma per la quale è stato contratto un mutuo. Per quanto riguarda l’integrazione del reddito familiare in presenza di più componenti questo viene moltiplicato per il corrispondente parametro della scala di equivalenza, ovvero: +0,4 per ogni componente familiare maggiorenne successivo al primo; +0,2 per ogni componente minorenne. Questo può essere incrementato fino ad un massimo del 2,1.
Il beneficio economico complessivamente non può superare i 9.360 € annui, ossia i 780 € mensili. Qualsiasi variazione della condizione occupazionale da parte di uno o di più componenti del nucleo familiare va comunicata all’Inps entro 30 giorni, pena la decadenza del beneficio. Inoltre come specificato nel successivo art. 4 del Decreto, il beneficio è condizionato alla dichiarazione, da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, di immediata disponibilità al lavoro, nonché all’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo.
I soggetti che sottoscrivono il Patto devono dunque:
a. registrarsi al Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro e consultare giornalmente l’apposita piattaforma quale supporto per la ricerca del lavoro;
b. svolgere ricerca attiva del lavoro secondo le modalità definite nel Patto per il Lavoro che individua il diario delle attività che devono essere svolte settimanalmente;;
c. accettare di prendere parte a corsi di formazione o di riqualificazione professionale ovvero a progetti per favorire l’auto-imprenditorialità sempre secondo le modalità individuate nel Patto per il Lavoro;
d. sostenere colloqui psico-attitudinali ed eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione; e. accettare almeno una delle tre offerte di lavoro “congrue”.
e. i beneficiari del RdC oltre 12 mesi devono invece accettare la prima offerta utile di lavoro congrua;
f. rendersi disponibili per progetti a titolarità del Comune utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, formativo, ambientale e di tutela dei beni.
Dunque, chi è già adeguatamente formato deve sottoscrivere il Patto per il lavoro, con l’impegno quindi di impegnarsi attivamente nella ricerca di un impiego e di accettare una delle prime tre offerte di lavoro “congrue” che verranno presentate mentre chi ha bisogno di formarsi ancora, dovrà sottoscrivere il Patto per la formazione con Enti di formazione bilaterale, Enti interprofessionali o aziende.
Ci sono soggetti però che potrebbero non essere in condizione di lavorare: in tal caso il Patto da sottoscrivere è quello per l’inclusione sociale. Sia nel caso di Patto per il lavoro, che per quello di inclusione sociale, i soggetti interessati avranno l’obbligo di prendere parte a progetti utili alla collettività, se predisposti dai comuni, fino ad un massimo di 8 ore a settimana.
Come specificato nel decreto, il reddito di cittadinanza non è un beneficio a vita ma si perde dopo 18 mesi, salvo eventuale rinnovo, oppure quando non si accettano le prime tre offerte congrue ovvero si rifiuta indipendentemente dal numero di offerte ricevute, un’offerta congrua dopo il dodicesimo mese di fruizione del beneficio.
Nel decreto sono altresì previste delle sanzioni, quali la decurtazione di una mensilità del beneficio economico in caso di prima mancata presentazione. La decurtazione di due mensilità alla seconda mancata presentazione nonché la decadenza dalla prestazione in caso di ulteriore mancata presentazione. Inoltre per chi mente sul reddito o occupazione lavorativa scatta non solo la perdita del RdC e la restituzione delle somme indebitamente percepite, ma anche la pena della reclusione da 1 a 6 anni.
Stessa sanzione penale, appositamente prevista, si applica nei confronti di coloro che durante la percezione del reddito di cittadinanza hanno trovato un lavoro, omettendo di comunicare la variazione del reddito entro i termini previsti.
Come ogni decreto legge, attendiamo la sua conversione in legge entro sessanta giorni, con eventuali modifiche e/o correzioni. Non andrebbero esclusi, ma anzi previsti, futuri aggiustamenti, a regime. Da più parti si è sollevata l’ipotesi di incostituzionalità in merito al requisito della residenza almeno decennale per fruire del RdC, non proprio infondate, e tante sono state le critiche, nel complesso, alla stessa introduzione della misura, anche con riferimento ai rischi di assenza di copertura economica, oltre a quello di “demotivare” chi dovrebbe cercare lavoro, soprattutto in alcune aree svantaggiate del Paese, dove tuttavia il lavoro andrebbe prima creato con opportuni investimenti ed adeguate politiche, dato che non c’è.
In ogni caso, della misura di cui si era sentito parlare durante la scorsa campagna elettorale, l’attuale misura, anche a causa della crisi economica in atto e delle diverse opinioni delle “due anime” del governo, conserva solo il nome, ed appare in realtà equilibrata e volta ad aiutare realmente solo chi si trova in estrema difficoltà. Certo, le difficoltà che ci saranno per vederla applicata, non ultima la necessaria previa partenza effettiva dei Centri per l’Impiego, sino ad oggi praticamente inesistenti, oltre che delle nuove figure professionali dei “navigator” che un po’ di ilarità hanno suscitato, ed il rischio di abusi per la notoria capacità di arrangiarsi tipica dei “furbetti”nostrani, nulla tolgono all’importanza della introduzione anche in Italia di una misura a sostegno dei più poveri.