Chiamata di terzo: mediazione o non mediazione?

Chiamata di terzo: mediazione o non mediazione?
Mercoledi 30 Marzo 2016

Si discute in giurisprudenza se sia obbligatorio esperire il procedimento di mediazione ogni volta che nel corso di un giudizio civile venga introdotta una domanda nuova dal convenuto, da un terzo ovvero dall'attore nei confronti di terzi.

Di tale problematica si è occupato il tribunale di Palermo nell'ordinanza del 27/02/2016 nell'ambito di un giudizio per responsabilità sanitaria nel quale è stata chiamato in causa un terzo, che eccepisce la improcedibilità dell'intero giudizio per mancato esperimento della mediazione nei propri confronti.

Il Tribunale, nell'esaminare l'eccezione, preliminarmente osserva che:

  1. l'art. 5 c. 1 bis D. Lgs. 28/2010, che impone il preventivo esperimento del procedimento di mediazione a chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia nelle materie ivi indicate, non regola espressamente le ipotesi in cui alla domanda giudiziale iniziale seguono ulteriori nuove domande;

  2. sul punto parte della dottrina e giurisprudenza di merito ritengono che il tentativo di mediazione costituisce condizione di procedibilità non genericamente del processo ma della domanda giudiziale, di modo che ogni domanda (riconvenzionale, trasversale, ecc) deve essere preceduta dallo svolgimento effettivo della mediazione; in tal modo la trattazione congiunta delle reciproche pretese dinanzi al mediatore anziché dilatare i tempi del processo potrebbe favorire una soluzione conciliativa, purchè in mediazione si discuta non solo della domanda nuova ma anche di quella principale;

Il Tribunale di Palermo, con l'ordinanza in commento, però, si discosta da tale orientamento, ritenendo che la mediazione obbligatoria non si estenda alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa; a sostegno di tale tesi:

a) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità costituiscono una deroga all'esercizio di agire in giudizio ex art. 24 Cost. E quindi non possono essere interpretate estensivamente; pertanto l'art. 5, che prevede che la improcedibilità possa essere sollevata dal convenuto, non è riferibile al destinatario di una qualunque domanda giudiziale, ma solo a colui che riceve la vocatio in ius da parte dell'attore;

b) l'eventualità di dovere esperire in tempi diversi e nell'ambito del medesimo procedimento una pluralità di mediazioni comporterebbe un sensibile allungamento dei tempi di definizione dei processi, in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo e e favorirebbe un abuso strumentale dell'istituto;

c) la stessa direttiva europea n. 2008/52/CE, quale criterio guida della L. 69/09 e richiamata nel preambolo della D. Lgs. 28/2010, si pone l'obiettivo di garantire un miglior accesso alla giustizia con metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, garantendo al tempo stesso una equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario;

d) l'allungamento dei tempi di durata del processo, connesso al nuovo tentativo di mediazione contrasterebbe di fatto sia con l'intento deflattivo sia con il diritto alla ragionevole durata del processo ex artt. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea;

Allo stato, quindi, per il Tribunale siciliano l'espressione contenuta nel predetto arti 5 “chi intende esercitare in giudizio un'azione” deve essere intesa come “chi intende instaurare un giudizio”, interpretazione, questa, più conforme ai principi costituzionali e allo spirito delle norme europee in materia.

Ordinanza del 27/02/2016

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