Con l'ordinanza n. 7344/2019 la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente in tema di liquidazione giudiziale dei compensi agli avvocati, con particolare riferimento all'ipotesi di domanda di indennizzo per equa riparazione.
Il caso: D'A. M. propone ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Perugia, con il quale veniva accolta la sua domanda di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001 ed il soccombente Ministero della Giustizia era condannato al pagamento dei compensi professionali nella misura di curo 210,00, oltre accessori di legge.
Il ricorrente denuncia violazione c/o falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c., 2233, comma 2, c.c. e dei parametri di liquidazione dei compensi giudiziali ai sensi del D.M. n. 55/2014, rilevando che:
la quantificazione dei compensi - da riferirsi ad un procedimento contenzioso e non di volontaria giurisdizione - come disposta nell'impugnato decreto, era stata computata al di sotto del minimo tabellare,;
pur applicando i parametri minimi ridotti per ogni singola voce da riconoscere (fase di studio, fase introduttiva, fase istruttoria e fase decisionale), il totale minimo da liquidare avrebbe dovuto essere corrispondente all'importo di curo 354,00 (anziché di euro 210,00).
Per la Cassazione, il motivo è fondato e sul punto chiarisce quanto segue:
per orientamento costante, gli onorari spettanti per il giudizio di equa riparazione ai sensi della legge n. 89/2001 vanno liquidati tenendosi conto delle tariffe previste per i procedimenti contenziosi e non per quelli di volontaria giurisdizione;
la fattispecie dedotta in giudizio è regolata ratione temporis dal D.M. n. 55/2014 (che all'art. 28 recita: 'Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore, posto che al momento della sua intervenuta vigenza la prestazione professionale del cui compenso si discute non si era ancora conclusa”);
il citato D.M. n. 55/2014 indica i parametri medi del compenso professionale dell'avvocato, dai quali il giudice si può discostare, purché si mantenga tra il minimo ed il massimo risultanti dall'applicazione delle percentuali di scostamento, in più o in meno, previste dal primo comma dell'art. 4 dello stesso D.M.;
il superamento dei suddetti limiti può ritenersi eccezionalmente consentito - in base al tenore letterale dell'inciso "di regola" che emerge dal citato primo comma - a condizione che l'esercizio del relativo potere del giudice sia supportato da apposita e specifica motivazione, che nel caso specifico, manca.
Esito: il procedimento viene rinviato alla Corte di appello di Perugia, che dovrà riliquidare le spese spettanti al ricorrente alla stregua degli indicati parametri in relazione alle singole prestazioni professionali espletate.
Cassazione civile ordinanza n.7344/2019