La Corte di Cassazione è recentemente tornata sulla questione dell’addebito della separazione (Cass. civ., sez. I, 29.04.2024, n. 11394), rilevando il necessario nesso eziologico tra violazione dei doveri coniugali e intollerabilità della convivenza, nonché l’obbligo del coniuge che subisce la domanda di dimostrare la sussistenza di un deterioramento dei rapporti preesistente e irreversibile.
Giovedi 16 Maggio 2024 |
La pronuncia in commento cassa con rinvio una sentenza della Corte di Appello di Lecce che ha respinto l’impugnazione di quella di primo grado, con cui il Tribunale di Taranto rigettava la domanda di addebito della separazione alla moglie, ponendo a carico del marito un contributo al mantenimento in favore di quest’ultima.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del coniuge soccombente nei gradi di merito, ricordando che, per la pronuncia di addebito, non è sufficiente la mera violazione dei doveri coniugali previsti dall’art. 143 c.c., dovendosi invece accertare che tale violazione non sia intervenuta quando la convivenza era già intollerabile e abbia assunto valore di causa efficiente rispetto all’impossibilità di portare avanti il matrimonio.
Sotto il profilo probatorio, il coniuge che svolge la relativa domanda è tenuto a dimostrare che la violazione degli obblighi matrimoniali sia eziologicamente collegata alla crisi irrimediabile della coppia; viceversa, spetta al coniuge che eccepisce l’inefficacia causale di tale violazione fornire la prova dell’anteriorità della crisi matrimoniale.
Orbene, la preesistenza della fine dell’affectio coniugalis, escludendo il nesso causale tra violazione e intollerabilità della convivenza, rappresenta una circostanza rilevabile d’ufficio, sempre che la parte interessata abbia addotto i fatti descrittivi di una crisi già sussistente e che l’istruttoria abbia fornito prove a sostegno. Il Giudice di merito è tenuto a svolgere una valutazione sulla intollerabilità della convivenza dei coniugi che contemperi le condotte di entrambi, giacché solo la comparazione permette di acclarare l’incidenza di ciascun agito nella determinazione della crisi di coppia.
Gli Ermellini, con la pronuncia in esame, hanno precisato che detti principi vanno considerati applicabili anche nell’ipotesi in cui un coniuge abbia violato l’obbligo di fedeltà, con l’avvertenza che, trattandosi di violazione particolarmente grave, l’indagine per comprenderne la valenza eziologica rispetto alla crisi matrimoniale deve essere particolarmente rigorosa e condotta sulla scorta della valutazione complessiva del comportamento dei due coniugi.
Nel caso venga acclarato che la condotta fedifraga si sia inserita in un contesto di rapporti già irrecuperabili e, dunque, di convivenza meramente formale, l’infedeltà non può essere considerata la causa della crisi coniugale, con conseguente rigetto della domanda di addebito della separazione.