Cassazione: sentenza n. 16597 del 03/07/2013

Cassazione: sentenza n. 16597 del 03/07/2013
Giovedi 18 Luglio 2013

Svolgimento del processo
1. - Il Tribunale di Ascoli Piceno, dopo aver pronunciato con sentenza non definitiva del 10 dicembre 2002 la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da S.G. R. con G.A., con sentenza definitiva del 17 febbraio 2007 affidò al padre il figlio minore G., disciplinando l'esercizio del diritto di visita spettante alla madre, pose a carico dello S. l'obbligo di contribuire al mantenimento del figlio minore e dell'altro figlio G., ormai maggiorenne, ed escluse l'obbligo di corrispondere un assegno in favore della G..
2. - Sull'impugnazione di quest'ultima, la Corte d'Appello di Ancona, con sentenza del 10 settembre 2007, ha riformato la sentenza definitiva, ponendo a carico dello S. l'obbligo di corrispondere alla G. un assegno mensile di Euro 500,00, da rivalutarsi annualmente secondo l'indice Istat.
Premesso che la liquidazione dell'assegno divorzile, avente carattere esclusivamente assistenziale, dev'essere effettuata in base ad una valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge, la Corte ha rilevato che mentre lo S. era un noto ed affermato commercialista, la G., quarantaseienne e titolare di un diploma di scuola media superiore, era priva di una stabile occupazione; pur osservando che la difficoltà di trovare un lavoro redditizio era dovuta alla vita movimentata della donna, già ristretta in carcere per reati di natura patrimoniale, ha ritenuto che il bisogno, prevalente sulla colpa, giustificasse il riconoscimento del diritto all'assegno.
3. - Avverso la predetta sentenza lo S. propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. La G. non ha svolto attività difensiva.

 

Motivi della decisione
1. - Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, osservando che la Corte d'Appello, dopo aver stigmatizzato la condotta tenuta dalla G., le ha ugualmente accordato l'assegno, conferendo prevalente rilievo allo stato di bisogno della donna. In tal modo, essa ha attribuito all'assegno natura alimentare, in contrasto con quella assistenziale prevista dalla legge, trascurando che, ai fini del riconoscimento del relativo diritto, occorre valutare se l'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente sia imputabile a quest'ultimo.
2. - Con il secondo motivo, il ricorrente ribadisce la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, sostenendo che, ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno, la sentenza impugnata ha preso in considerazione elementi, quali l'età dei coniugi, il loro grado di scolarizzazione, la stabilità dell'occupazione ed i redditi, ai quali la legge conferisce rilevanza esclusivamente ai fini della liquidazione.
3. - Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, osservando che, nel desumere la difficoltà della G. a trovare una occupazione redditizia dalla sua vita movimentata, la Corte d'Appello è incorsa in contraddizione, oltre ad aver omesso di specificare l'iter logico che l'ha condotta a tale conclusione; essa ha ritenuto sussistente un divario economico tra le parti, senza previamente indagare in ordine al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, desumendo l'indisponibilità di mezzi adeguati da parte della G. da elementi in sè neutri, quali l'età ed il grado d'istruzione, ed omettendo di verificare la stabilità e la redditività dell'attività svolta da esso ricorrente. La Corte territoriale ha infine trascurato che l'appellante, la quale aveva ammesso di svolgere un'attività lavorativa, non aveva fornito una ricostruzione neppure sommaria delle proprie sostanze, avendo omesso di produrre le proprie dichiarazioni dei redditi e non avendo dedotto alcun mezzo di prova al riguardo.
4. - Con il quarto motivo, il ricorrente deduce l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, rilevando che la Corte d'Appello si è astenuta dall'esporre l'iter logico seguito nella liquidazione dell'assegno; a tal fine, essa si è limitata a far riferimento all'età della richiedente, al suo grado d'istruzione ed all'instabilità della sua occupazione, ponendo la sua condizione a confronto con quella di esso ricorrente, senza procedere all'analisi dei rispettivi redditi e senza tener conto dell'esclusiva responsabilità della G. nel fallimento dell'unione, nonchè dell'esonero della stessa dall'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli.
5. - Con il quinto ed ultimo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, sostenendo che, nel riconoscere alla G. l'assegno divorzile, la Corte d'Appello non ha tenuto conto della mancata prova da parte della richiedente del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio e dell'indisponibilità da parte della stessa di mezzi adeguati, o comunque dell'impossibilità oggettiva di procurarseli.
6. - Il ricorso non merita accoglimento, pur dovendosi procedere, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., u.c., alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha subordinato il riconoscimento dell'assegno all'accertamento dello stato di bisogno dell'intimata e ad un giudizio di prevalenza dello stesso rispetto alla colpa dell'interessata.
L'affermazione della natura assistenziale dell'assegno trova infatti riscontro nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ricollega tale carattere alla disciplina dettata dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, la quale individua, quale presupposto per il riconoscimento di tale contributo, l'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del richiedente e l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.
Peraltro, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'Appello, tale inadeguatezza dev'essere intesa non già come stato di bisogno, ovverosia come mancanza di mezzi di sostentamento, bensì come insufficienza delle sostanze e dei redditi di cui il richiedente dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 12 febbraio 2013, n. 3398; 5 dicembre 2002, n. 17246; 17 marzo 2000, n. 3101; Cass., Sez. lav., 23 febbraio 2006, n. 4021).
L'esigenza che l'indisponibilità di mezzi economici adeguati sia ricollegabile a ragioni obiettive non giustifica poi il bilanciamento compiuto dalla Corte territoriale tra lo stato di bisogno e la colpa della richiedente, non occorrendo, ai fini dell'attribuzione dell'assegno, un'indagine in ordine all'imputabilità delle circostanze che hanno condotto il coniuge istante al presente stato di ristrettezza economica, ma solo una valutazione in ordine alla sua attuale capacità di procurarsi ulteriori risorse, al fine di stabilire se l'inadeguatezza dei mezzi di cui dispone sia dovuta ad una sua colpevole inerzia.
Siccome, peraltro, lo stato di bisogno costituisce una condizione di ristrettezza più grave di quella in cui consiste l'inadeguatezza dei mezzi disponibili (cfr. Cass., Sez. 1, 22 febbraio 2006, n. 3838; 16 luglio 2004, n. 13169; 29 gennaio 2003, n. 1342), e nel predetto bilanciamento è stato ritenuto prevalente rispetto alla colpa dell'intimata, l'errata individuazione dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno non può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, non avendo il ricorrente interesse a dolersi, da un lato, dell'applicazione di un parametro di valutazione più rigoroso di quello prescritto dall'art. 5, comma 6, cit., e non avendo la colpa spiegato, dall'altro, alcuna concreta incidenza sulla decisione.
6.1. - Com'è noto, il diritto del coniuge all'assegno divorzile dev'essere accertato verificando la disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici adeguati a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, mentre la liquidazione dell'importo dovuto, una volta riconosciuto il relativo diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, deve essere compiuta valutando in concreto, anche in rapporto alla durata del matrimonio, le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, il reddito di entrambi (cfr. Cass., Sez. 1, 12 luglio 2007, n. 15611; 22 agosto 2006, n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040; 27 settembre 2002, n. 14004).
Tali criteri sono stati correttamente applicati dalla Corte d'Appello, la quale ha posto a confronto la precarietà della situazione occupazionale della G. con la posizione economica, indubbiamente più agiata, connessa all'attività libero- professionale esercitata dallo S., concludendo pertanto per la configurabilità di un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche dell'intimata, in conseguenza dello scioglimento del matrimonio, tale da giustificare l'imposizione a carico del ricorrente dell'obbligo di corrispondere un contributo volto a ristabilire l'equilibrio tra le parti.
La correttezza logico-giuridica di tale ragionamento non è in alcun modo pregiudicata dalla mancanza di uno specifico riferimento ai redditi dei coniugi ed al tenore di vita dagli stessi goduto in costanza di matrimonio, avendo la Corte d'Appello fatto espressa menzione dell'età delle parti, del loro grado di istruzione e della rispettiva occupazione, quali indici delle potenzialità economiche dei coniugi, che assumono rilievo non solo ai fini della commisurazione dell'assegno, ma anche per l'individuazione del livello economico-sociale del nucleo familiare, in riferimento al quale dev'essere valutato l'eventuale deterioramento della situazione economica del richiedente, ove, come nella specie, non risulti che nel giudizio di merito sia stato dedotto il sopravvenire di mutamenti rispetto all'epoca della cessazione della convivenza (cfr. Cass., 12 luglio 2007, n. 15610; 4 settembre 2004, n. 17895; 7 maggio 2002, n. 6541). Quanto alla prova dell'impossibilità di procurarsi mezzi economici adeguati, la sentenza impugnata, nonostante l'inappropriato bilanciamento tra lo stato di bisogno e la colpa dell'intimata, ha dato espressamente atto delle difficoltà incontrate da quest'ultima ai fini dell'inserimento nel mercato del lavoro, soprattutto in dipendenza dei suoi precedenti penali, i quali, come si è detto, in questa sede vengono in considerazione non già come elemento di valutazione della condotta pregressa dell'istante, bensì nella loro oggettiva portata di circostanze ostative al pieno dispiegamento della sua capacità lavorativa.
Nessun rilievo, poi, ai fini della liquidazione dell'assegno, può assumere l'omessa considerazione di circostanze ulteriori, quali la responsabilità dell'intimata nel fallimento dell'unione e l'esonero della stessa da obblighi di assistenza familiare, dal momento che la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nell'assoggettare la valutazione del giudice ad una pluralità di parametri, non richiede una puntuale considerazione di ciascuno degli elementi indicati, risultando sufficiente che la decisione appaia adeguatamente giustificata sulla base di un esame comparativo delle condizioni economiche delle parti (cfr. Cass.. Sez. 1. 4 aprile 2011, n. 7601; 28 aprile 2006, n. 9876;
7 maggio 1998, n. 4617).
7. - Corretta pertanto negl'indicati sensi la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso va rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell'intimata.

 

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 19 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2013

 

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