Lunedi 26 Gennaio 2015 |
La Corte, ritenuto che, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione: Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati.
osserva:
Il Tribunale di Roma ha respinto l'appello di Q. M., appello proposto contro la sentenza n. 27989/2008 del Giudice di Pace di Roma che, accogliendo il ricorso del contribuente avverso cartella esattoriale relativa a sanzioni amministrative in materia tributaria irrogate dalla Prefettura di Roma, aveva tuttavia compensato tra le parti le spese di causa.
Il predetto Tribunale ha motivato la decisione ritenendo che ragione per la compensazione poteva rinvenirsi nell'assenza di contestazione da parte dell'Ente convenuto che - omettendo di costituirsi - aveva "aderito alle ragioni del ricorrente", oltre che nel fatto che il ricorso veniva accolto "in difetto di idonea produzione documentale da parte dell'Amministrazione convenuta", dalla qual cosa era derivata "una oggettiva difficoltà di accertamento in fatto, idonea ad incidere sulla esatta conoscibilità delle rispettive ragioni delle parti". La parte opponente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La Prefettura di Roma non si è difesa.
Il ricorso - ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore - può essere definito ai sensi dell'art. 375 c.p.c..
Ed invero, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ed assorbente del residuo), la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito - ai fini di compensare le spese di giudizio - abbia valorizzato la circostanza che la parte pubblica aveva omesso di costituirsi in giudizio, e cioè un comportamento neutro che non implica esclusione di dissenso rispetto alle ragioni di parte avversa, in tal modo ribaltando sul cittadino il costo dell'inefficienza della Pubblica Amministrazione, tanto più in materia di riscossione coattiva di crediti per sanzioni amministrative in relazione alla quale l'applicazione rigorosa del criterio della soccombenza finisce per essere espressione primaria del diritto alla difesa che spetta ad ogni cittadino. Il motivo appare fondato e da accogliersi, alla luce della costante e ribadita giurisprudenza di questa Corte secondo la quale: "Poichè, ai fini della distribuzione dell'onere delle spese del processo tra le parti, essenziale criterio rivelatore della soccombenza è l'aver dato causa al giudizio, la soccombenza non è esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato insoddisfatta così da renderne necessario l'accertamento giudiziale" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6722 del 10/12/1988); ed ancora: "L'individuazione del soccombente si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno anticipato nel processo, è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo o al suo protrarsi" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7182 del 30/05/2000).
Non può avere perciò rilievo alcuno, ai fini dell'applicazione della disciplina fissata nell'art. 92 c.p.c., la circostanza che la parte che ha dato causa al processo abbia poi omesso di costituirsi in esso e comunque di dispiegare attività difensiva, condotta alla quale va attribuita valenza totalmente neutra siccome inidonea a costituire indice di esclusione del dissenso e addirittura di adesione all'avversa richiesta (in termini anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4485 del 28/03/2001), e che anzi può semmai considerarsi espressione di mera indifferenza rispetto alle ragioni di economia che dovrebbero indurre le parti (specie quelle pubbliche) all'adozione di ogni cautela utile ad evitare inutili dispendi di energia processuale. Poichè nel provvedimento qui impugnato il giudicante non si è attenuto ai principi dianzi illustrati, non resta che concludere che la pronuncia merita Cassazione, con conseguente rimessione della lite al giudice del merito affinchè rinnovi l'apprezzamento in ordine alla questione relativa alla regolazione delle spese di lite.
Pertanto, si ritiene che il ricorso può essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Roma, 10 dicembre 2013.
ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che la sola parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa, adesiva alla relazione;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto. che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
PQM
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di Roma in funzione di giudice del rinvio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.