Cassazione civile: sentenza n. 21736 del 23/09/2013

Cassazione civile Sez. II, Sentenza n. 21736 del 23/09/2013.
Cassazione civile: sentenza n. 21736 del 23/09/2013
Giovedi 17 Ottobre 2013

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato l'8 aprile 2000 C.M. A., S.P. e F.C. evocavano, dinanzi al Tribunale di Genova, S.G., rispettivamente, coniuge e genitore degli attori, esponendo che all'epoca della separazione personale dei coniugi, intervenuta in via consensuale (con verbale di omologazione del 15.4.1997), era stata predisposta, con scrittura privata del 23.11.1996, una collaterale complessa convenzione, avente valenza transattiva, con la quale, ad integrazione delle intese formalizzate avanti al Tribunale, erano stati disciplinati i rapporti patrimoniali fra le parti conseguenti allo scioglimento della comunione legale, prevedendo l'obbligo a carico del convenuto del trasferimento di determinati beni mobili ed immobili in favore della moglie e dei figli, il quale non solo si rendeva inadempiente, ma poneva, altresì, in essere comportamenti intimidatori nei confronti degli attori per indurli a recedere dal dare esecuzione agli accordi, per i quali riportava una condanna penale; tanto premesso, formulavano domanda ex art. 2932 c.c., per conseguire il trasferimento dei beni di cui alla citata scrittura privata.

Instaurato il contraddicono, nella resistenza del convenuto, il quale assumeva di non avere sottoscritto alcun accordo, per cui disconosceva formalmente la sottoscrizione ivi apposta ex art. 214 c.p.c., difese che modificava nel senso di riconoscimento della firma in calce al documento, ma negando di riconoscere le date manoscritte in ogni foglio e l'intero contenuto dattiloscritto del documento, per cui spiegava riconvenzionale per la declaratoria di falsità della convenzione, e all'udienza del 20.3.2003 presentava personalmente querela di falso, per cui a fronte della dichiarazione degli attori di volersi avvalere del documento contestato, con l'intervento del p.m., intervenuta nel giudizio B.B. che aderiva alle domande attoree, il Tribunale adito, rimessa la causa in decisione, rigettava la domanda di querela di falso proposta dal convenuto e in accoglimento di quella attorea, in attuazione della scrittura privata del 23.11.1996, disponeva il trasferimento in favore degli attori, P. e S.F.C., pro indiviso fra loro, del diritto di nuda proprietà sull'appartamento sito in (OMISSIS), acquistato in regime di comunione legale dai coniugi e cointestato ad essi, assegnando alla C. il diritto di usufrutto vitalizio esclusivo su detto cespite; il diritto di nuda proprietà sull'appartamento sito in (OMISSIS), acquistato in regime di comunione legale dai coniugi e cointestato ad essi, assegnando a S. G. il diritto di usufrutto vitalizio esclusivo su detto cespite (diritto di usufrutto attualmente spettante a B. B.); il diritto di nuda proprietà sul locale interrato ad uso box sito in (OMISSIS), acquistato in regime di comunione legale dai coniugi ma intestato esclusivamente alla C., assegnando a S.G. il diritto di usufrutto vitalizio esclusivo su detto cespite; dichiarava il S. tenuto a mettere a disposizione e comunque a consegnare alla C. la somma di L. 20.000.000, con i frutti maturati dal 23.11.1996 al 30.6.1999, oltre agli interessi dalla domanda al saldo; dichiarava il S. tenuto a mettere a disposizione e comunque a consegnare ai figli, in solido fra loro, la somma di L. 55.000.000, con i frutti maturati dal 23.11.1996 al 22.4.1999, oltre alla rivalutazione monetaria da quest'ultima data e agli interessi legali dall'aprile 2000 (data della domanda) al saldo.

In virtù di appello interposto da S.G., con il quale censurava sotto plurimi profili la decisione circa il mancato accoglimento della proposta querela di falso del documento del 23.11.1996, la Corte di appello di Genova, nella resistenza degli appellati, i quali proponevano appello incidentale condizionato, nonchè della interveniente B., la quale chiedeva solo darsi atto della insussistenza di domande dell'appellante nei suoi confronti, in parziale accoglimento dell'appello e per l'effetto in parziale riforma della decisione impugnata, riduceva la condanna dell'appellante alla sanzione pecuniaria di cui all'art. 226 c.p.c., alla misura di Euro 20,00, confermate in ogni altra sua parte le restanti statuizioni.

A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che quanto alla denuncia di irregolarità del procedimento incidentale conseguito all'impugnazione del documento ex art. 223 c.p.c., non ponendo la censura alcun profilo di non veridicità della verbalizzazione, non poteva dare luogo ad alcuna nullità; nel merito, che proprio l'aver dato atto nel ricorso congiunto per la separazione dell'esistenza di un separato accordo, palesava la correttezza della ratio decidendi del giudice di prime cure che si basava sulla esistenza di un accordo parallelo e distinto rispetto alle condizioni di cui al ricorso per separazione consensuale e sulla esistenza di un documento rispondente a detta volontà negoziale.

Aggiungeva che l'eccezione di nullità della scrittura per carenza di forma in quanto prevedendo il trasferimento, a titolo gratuito, ai figli di un cospicuo patrimonio, avrebbe dovuto essere formalizzato a norma dell'art. 782 c.c., non poteva trovare accoglimento, giacchè dal comune intento delle parti contraenti emergeva l'interesse giuridicamente qualificabile come preordinato al conseguimento di un risultato solutorio in relazione agli obblighi di mantenimento gravanti sul genitore nei confronti dei figli stessi, causa negoziale solutoria incompatibile con il prospettato animus donandi. Nè rilevava la mancanza di sottoscrizione dell'atto da parte della B., relativamente al diritto di usufrutto sull'immobile sito in (OMISSIS), per avere egli ceduto esclusivamente il suo diritto di nuda proprietà del cespite, mentre la rinuncia della stessa all'usufrutto costituiva solo causa di caducazione del diritto reale limitato.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione S.G., basato su sei motivi, al quale hanno replicato la C. ed i figli S. P. e F.C. con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c.; non costituita la B., pure intimata.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia contraddittoria ed illogica motivazione con riferimento alla errata attribuzione di natura solutoria, connessa all'obbligo alimentare, in ordine al trasferimento dei diritti reali immobiliari disposti a titolo gratuito e per mera liberalità in favore dei figli, con interpretazione abnorme, non potendo tale tipo di dazione assolvere all'obbligazione alimentare. Prosegue il ricorrente affermando che la corte di merito contraddittoriamente non avrebbe chiarito la ragione per la quale il testo allegato al verbale di separazione non sarebbe quello prodotto nel giudizio de quo e ciò nonostante ha ricollegato teleologicamente i due accordi. Il secondo motivo, con il quale è lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1362 c.c., per avere il giudice proceduto all'interpretazione della convenzione nel modo sopra esposto, culmina nel seguente quesito di diritto:

"L'indagine del giudice di merito che ha condotto nel caso di specie ad individuare il comune intento dei contraenti ove basata su motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria (per i motivi ut sopra evidenziati) integra violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. ed è censurabile nella sede di legittimità perchè non sorretta da motivazione esauriente ed immune da vizi logici?".

I motivi, che in ragione della loro connessione argomentativa vengono trattati congiuntamente, sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte le pattuizioni intervenute tra coniugi, che abbiano in corso una separazione consensuale, con cui si obblighino a trasferire determinati beni facenti parte della comunione legale, successivamente od in vista dell'omologazione della loro separazione personale consensuale ed al dichiarato fine della integrativa regolamentazione del relativo regime patrimoniale, non configura una convenzione matrimoniale ex art. 162 c.c., postulante il normale svolgimento della convivenza coniugale ed avente riferimento ad una generalità di beni anche di futura acquisizione, nè un contratto di donazione, avente come causa tipici ed esclusivi scopi di liberalità (e non l'esigenza di assetto dei rapporti personali e patrimoniali dei coniugi separati), bensì un diverso contratto atipico, con propri presupposti e finalità (Cass. 11 maggio 1984 n. 2887; Cass. 23 dicembre 1988 n. 2887; Cass. 12 settembre 1997 n. 9034).

Invero in base all'impianto complessivo dell'art. 711 c.p.c., (in combinato disposto con l'art. 158 c.c., comma 1), il procedimento in detta norma descritto da vita ad una fattispecie complessa nella quale il contenuto del regolamento concordato tra i coniugi, se trova la sua fonte nel relativo accordo, acquista però efficacia giuridica soltanto in seguito al provvedimento di omologazione, cui compete l'essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti tra i coniugi siano conformi agli interessi superiori della famiglia (Cass. 5 gennaio 1984 n. 14). Nel caso in cui, nell'ambito di un accordo destinato a disciplinare una separazione consensuale, sia inserita anche una convenzione avente una sua autonomia, in quanto non immediatamente riferibile nè collegata al contenuto necessario del regime di separazione, si tratta di compiere una indagine ermeneutica, nel quadro dei principi di cui all'art. 1362 c.c., e segg., diretta a stabilire se a quella convenzione possa essere riconosciuta autonoma validità ed efficacia, infatti, alle pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell'accordo omologato, può riconoscersi validità solo quando assicurino una maggiore vantaggiosità all'interesse protetto dalla norma (ad esempio concordando un assegno di mantenimento in misura superiore a quella sottoposta ad omologazione), o quando concernano un aspetto non preso in considerazione dall'accordo omologato e sicuramente compatibile con questo in quanto non modificativo della sua sostanza e dei suoi equilibri, o quando costituiscano clausole meramente specificative dell'accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull'accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all'art. 158 c.c., (Cass. 24 febbraio 1993 n. 2270; Cass. 20 ottobre 2005 n. 20290).

Nel caso di specie la Corte di appello si è conformata a questi principi, perchè ha esaminato la convenzione intervenuta tra i coniugi con la scrittura privata del 23 novembre 1996 (omologato il verbale di separazione il 15.4.1997) ed ha affermato che tale convenzione non poteva ritenersi nulla per carenza di forma prevedendo il trasferimento, a titolo gratuito, di un cospicuo patrimonio ai figli proprio perchè garantiva, nel comune intento delle parti, l'interesse preordinato al conseguimento di un risultato solutorio degli obblighi di mantenimento dei figli gravante sui genitori, nè appariva in contrasto con norme imperative di legge o con diritti indisponibili dei due coniugi.

D'altra parte questa Corte ha reiteratamente affermato che l'obbligo di mantenimento dei figli minori, o maggiorenni non autosufficienti, può essere adempiuto dai genitori in sede di separazione personale o divorzio (id est: di cessazione degli effetti civili del matrimonio) mediante un accordo - formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, degli art. 155 c.c., comma 7, art. 158 c.c., comma 2, e dell'art. 711 c.c., comma 3, e della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 8, e art. 6, comma 9 - il quale, anzichè attraverso una prestazione patrimoniale periodica, od in concorso con essa, attribuisca o li impegni ad attribuire ai figli la proprietà di beni mobili od immobili, e che tale accordo non realizza una donazione, in quanto assolve ad una funzione solutoria - compensativa dell'obbligatone di mantenimento, in quanto costituisce applicazione del principio, stabilito dall'art. 1322 c.c., della libertà dei soggetti di perseguire con lo strumento contrattuale interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico (cfr., Cass. 2 febbraio 2005 n. 2088; Cass. 17 giugno 2004 n. 11342; Cass. 21 dicembre 1987 n. 9500).

In tale caso l'accordo comporta l'immediata e definitiva acquisizione al patrimonio dei figli della proprietà dei beni che i genitori, od il genitore, abbiano loro attribuito o si siano impegnati ad attribuire e, in questo secondo caso, il correlativo obbligo, sanzionato in forma specifica dall'art. 2392 c.c., trova il suo titolo nell'accordo che estingue la prestazione di mantenimento, nei limiti costituiti dal valore dei beni attribuiti o da attribuire, convenzionalmente liquidata e sostituita dall'impegno negoziale de quo (cfr., Cass. 5 settembre 2003 n. 12939).

La corte territoriale ha, dunque, correttamente interpretato l'accordo de quo, alla luce dei principi sopra esposti, e non è condivisibile la censura formulata di carente o contraddittoria motivazione.

Con il terzo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 782 c.c., nonchè dell'art. 1421 c.c., per essere la corte territoriale incorsa nell'ulteriore violazione omettendo di rilevare la nullità dell'atto de quo che redatto in forma privata, è totalmente mancante della forma solenne necessaria per la donazione.

A corollario del mezzo viene posto il seguente quesito di diritto:

"Nel caso di specie, sulla preliminare premessa (ut sopra) che il negozio di cui è causa contiene, almeno in parte, disposizioni a titolo di mera liberalità, e quindi integra una donazione, consegue violazione e/o falsa applicazione degli artt. 782 e 1421 c.c., per non essere stata dichiarata d'ufficio la sua nullità totale o parziale per mancanza della forma solenne?".

La condivisione della ratio da parte del giudice di merito che ha disconosciuto all'attribuzione degli immobili, di cui alla convenzione del 23.11.1996, natura di donazione, oggetto di eccezione del convenuto, esclude che sia ravvisabile il lamentato vizio di violazione delle disposizioni in tema di forma solenne.

Con il quarto mezzo è lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2932 c.c., giacchè la convenzione sottoscritta è assoggetta alla condizione vincolante ed assoluta che la titolare del diritto di usufrutto (relativamente all'appartamento sito in (OMISSIS)) rinunci a detto diritto reale in favore del ricorrente, condizione non avverata al momento della introduzione del giudizio, per cui andava ritenuta la improponibilità della domanda. A conclusione del mezzo è posto il seguente quesito di diritto: "Era nel caso di specie improponibile la domanda ex art. 2932 c.c., finalizzata ad ottenere l'attuazione del contratto preliminare essendo il medesimo assoggettato a condizione non ancora avveratasi al momento della proposizione della domanda giudiziale e neppure in corso del giudizio?".

Anche detto mezzo è palesemente infondato.

Si osserva che, diversamente dall'assunto del ricorrente, la corte territoriale ha accertato la successiva rinuncia della B. all'usufrutto sull'immobile sito in (OMISSIS), come emergeva dal tenore della comparsa di costituzione dell'interveniente, "avendo a cuore l'interesse dei coniugi e dei loro figli".

Orbene, tale essendo la ratio della decisione della corte di appello, risulta evidente come la doglianza non colga nel segno, non censurando il profilo posto a fondamento della statuizione, con conseguente irretrattabilità e definitività dell'affermazione circa la caducazione del diritto reale limitato e conseguente fenomeno della consolidazione in capo al ricorrente della piena proprietà del bene da trasferire, per non avere formato oggetto di impugnazione.

Con il quinto ed il sesto motivo, collegati dallo stesso ricorrente, è lamentata la omessa motivazione sull'eccezione di mancanza dell'avveramento della condizione, con conseguente e correlata violazione e falsa applicazione dell'art. 782 c.c., per essere stata la rinuncia della B. meramente preannunciata nella comparsa di costituzione e risposta. Il motivo, relativamente alla denunciata violazione di legge, pone a conclusione il seguente quesito: "La rinuncia dell'usufrutto al diritto reale, che determina quindi ipso iure il consolidamento della piena proprietà in capo al nudo proprietario, ove realizzatasi senza corrispettivo e per puro spirito di liberalità integra i presupposti dell'atto di donazione e deve quindi essere formalizzata nella forma solenne prevista dall'art. 782 c.c., con la conseguenza che, nel caso di specie, mancando tale forma, essa è nulla?".

Le censure - che pongono la medesima questione (mancato avveramento della condizione) - sono inammissibili, introducendo una circostanza che non risulta essere stata prospettata nei precedenti gradi di merito, in difetto di ogni specifica indicazione al riguardo da parte del ricorrente e non avendola la corte di appello riportata nella decisione impugnata, e che quindi non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità, richiedendo indagini di fatto in ordine all'esatto contenuto nel contratto per cui è causa ed alla reale volontà delle parti (sull'inammissibilità di questioni nuove in sede di ricorso per cassazione, cfr. ex pluribus, Cass. n. 25546 del 2006).

All'infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, per il principio della soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2013

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