Nuove regole per il riconoscimento della cittadinanza italiana Jure sanguinis

Nuove regole per il riconoscimento della cittadinanza italiana Jure sanguinis

La Legge sulla cittadinanza italiana ha subito diverse modifiche nel 2025 ed, in particolare, con il Decreto Legge n.36/2025 del 28 Marzo 2025. La riforma limita l'acquisto automatico della cittadinanza per discendenza (ius sanguinis) a due generazioni, ovvero ai figli e nipoti di cittadini italiani.

Inoltre, si prevede una maggiore attenzione ai rapporti con l'Italia, con potenziali obblighi di dimostrazione periodica del legame esistente (come, ad es., tramite voto o altri atti civili).

Venerdi 16 Maggio 2025
  • L’attuale disciplina

Il Decreto Legge introduce, con l’art.3-Bis inserito nella Legge 91/1992 sulla cittadinanza italiana, una sostanziale modifica dei criteri di accesso allo jus sanguinis che costituisce un principio fondamentale in materia di acquisizione della cittadinanza, sancito dall’art.1,in forza del quale è cittadino italiano per nascita il figlio nato da genitori italiani.

In applicazione di tale principio, il discendente di emigrato italiano che non aveva conseguito la cittadinanza straniera, poteva rivendicare a sua volta la cittadinanza italiana jure sanguinis.

Da ciò derivava la concreta possibilità che i discendenti di seconda, terza e quarta generazione ed oltre, di emigrati italiani, potessero essere dichiarati cittadini italiani per filiazione, principio che in passato aveva riguardato, soprattutto, i discendenti di avi italiani nati nei Paesi di storica emigrazione, come Brasile, Argentina, Canada, Australia, ecc.

Sul punto, la Corte Costituzionale, con la sentenza 9 febbraio 1983 n.30,aveva dichiarato incostituzionale l’art.1 della Legge 555/1912,nella parte in cui non prevedeva che fosse ritenuto cittadino italiano per nascita il figlio di madre italiana, in aperta violazione degli artt.3 e 29 della Costituzione.

Dopo l'intervento della Corte delle Leggi, l'equiparazione tra uomo e donna in materia di cittadinanza venne affermato, a livello normativo, dapprima con la Legge n. 123 del 21 aprile 1983, art. 5 ("E' cittadino italiano il figlio minorenne, anche adottivo, di padre cittadino o madre cittadina") e, successivamente, dall’art. 1, lettera a) della Legge n. 91 del 1992, secondo il quale "E’ cittadino italiano per nascita il figlio di padre o di madre cittadini italiani".

Pertanto, potevano richiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis anche i discendenti di madre italiana, purché nati dopo il 1° gennaio 1948,data di entrata in vigore della Costituzione, ed a condizione che la genitrice fosse in possesso dello status civitatis al momento della nascita dei figli.

Questo è stato l'orientamento adottato anche dal Ministero dell'Interno negli anni successivi sebbene la Corte di Cassazione, con una sentenza a Sezioni Unite del 2009,abbia riconosciuto il diritto ad ottenere la cittadinanza italiana jure sanguinis, in via giudiziale, anche per i discendenti per via materna nati prima del 1948.

Pertanto, se nella linea di discendenza vi fosse una donna, il cui figlio (o figlia) era nato/a prima del 1° gennaio 1948,poteva rivolgersi al Giudice per ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana, atteso che la Pubblica Amministrazione non riconosceva il diritto nei casi c.d. di "via materna".

Inoltre, potevano richiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana sempre in via giudiziale anche i discendenti di sangue italiano aventi una linea genealogica maschile o che comunque non presentasse un passaggio di cittadinanza italiana per linea femminile anteriore al 1948 nei c.d. casi di "via paterna" quando fossero in grado di dimostrare che i Consolati italiani di appartenenza avessero tempi di attesa eccessivamente lunghi.

In pratica, con la Circolare del Ministero dell’Interno K.28.1 dell’8 aprile 1991, venne definito il procedimento per ottenere la cittadinanza iure sanguinis, i requisiti, i documenti e le modalità di presentazione dell’istanza.

In base alla Circolare, per ottenere la cittadinanza italiana ius sanguinis occorrevano due requisiti basilari:

a) la discendenza da soggetto italiano, ovvero il dante causa (l’avo emigrato);

b) l’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza, vale a dire la mancata naturalizzazione straniera non solo dell’avo italiano, prima della nascita del figlio, ma anche dei suoi discendenti in linea retta, prima della nascita della successiva generazione, fino ad arrivare al richiedente medesimo.

Bisognava, in sostanza, dimostrare che la catena di trasmissioni della cittadinanza non si fosse mai interrotta.

La domanda per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis poteva essere presentata con due modalità:

a) In via amministrativa, mediante istanza da presentare all’Autorità consolare, se il richiedente risiedeva all’estero, o al Sindaco del Comune di residenza, se il richiedente risiedeva in Italia.

In quest’ultimo caso, per ottenere l’iscrizione all’anagrafe ai fini della presen tazione dell’istanza, l’interessato non doveva necessariamente essere munito di permesso di soggiorno, ma era sufficiente la dichiarazione di presenza, come stabilito dalla Circolare del Ministero dell’Interno n. 32 del 13 giugno 2007.

b) In via giudiziaria, mediante ricorso da proporsi dinanzi al Tribunale Civile di Roma, con il patrocinio di un difensore, nel caso dei discendenti da linea mater- na nati prima del 1° gennaio 1948 ed anche nei casi dei discendenti per via paterna, nei casi in cui il Consolato competente non provvedeva ad evadere la richiesta in tempi ristretti.

Ciò posto, il sistema normativo vigente relativo alla cittadinanza non sarebbe completo senza citare due Leggi speciali che, alle particolari condizioni stabilite dalle stesse e dalle circolari applicative, consentivano o hanno consentito il ricono- scimento della cittadinanza italiana a numerosi soggetti

In particolare vanno ricordate la Legge 14 dicembre 2000,n. 379,recante “Disposizioni per il riconoscimento della cittadinanza alle persone nate e già residenti nei territori appartenenti all’Impero Austro-Ungarico e ai loro discendenti” e la Legge 8 marzo 2006, n.124,recante “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992,n.91, concernente il “Riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti”.

In entrambi i casi, si è trattato di acquisizione ex lege della cittadinanza, che non ammetteva un procedimento di concessione, ma un’attività di accertamento per verificare la sussistenza dei requisiti di legge in capo ai richiedenti.

La Legge n.379/2000,in particolare, stabiliva che le persone originarie dei territori individuati all’art.1,comma 1,già appartenuti all’Impero Austro-Ungarico, emigrate all’estero prima del 16 luglio 1920 e i loro discendenti, potessero ottenere il riconoscimento della cittadinanza, presentando una dichiarazione in tal senso entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge, vale a dire entro il 20 dicembre 2005, termine in seguito prorogato di altri cinque anni dalla legge 23 febbraio 2006, n.51.

Per contro, risulta ancora in vigore la legge n.124/2006,riguardante le istanze di riconoscimento della cittadinanza italiana per i connazionali dell’Istria, di Fiume, della Dalmazia e dei loro discendenti.

Tale normativa, che ha introdotto nella legge del 1992 gli artt. 17-bis e 17-ter, ha previsto il riconoscimento della cittadinanza italiana per due categorie di ex cittadini italiani:

1) i destinatari del diritto di mozione previsto dal trattato di pace di Parigi del 1947;

2) i destinatari del diritto, riconosciuto dal trattato di Osimo del 1975, di trasferire la propria residenza dalla zona B alla zona A (territorio italiano), che appartengono a categorie di soggetti che, non essendosi avvalsi delle facoltà loro riconosciute, avevano perduto la cittadinanza italiana.

Un analogo diritto è stato anche riconosciuto ai figli e discendenti in linea retta di tali soggetti, purché di lingua e cultura italiana.

  • La stretta del Governo per il riconoscimento della cittadinanza

Invero, l’attuale disciplina normativa ha evidenziato, negli ultimi anni. un abnorme incremento delle istanze stante l’alto numero degli oriundi italiani che potevano ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana, stimati tra i 60 e gli 80 milioni di emigrati.

Per far fronte a questa situazione con il rischio della paralisi dei Comuni italiani, dei Consolati esteri e degli uffici giudiziari, il Consiglio dei Ministri in data 28 marzo 2025 ha approvato un Decreto Legge e due disegni di legge per riformare le regole per ottenere la cittadinanza italiana in base allo Jus sanguinis.

Peraltro, l’obiettivo della Riforma è stato anche quello di contrastare gli abusi che hanno permesso a persone straniere con avi italiani di ottenere la cittadinanza senza avere nessun legame con l’Italia, senza parlare la lingua italiana e, ancor più, senza mai essere state in Italia.

Il provvedimento governativo, adottato sulla base di tali motivazioni, è apparso necessario per contrastare pratiche poco corrette, salvaguardando così il diritto alla cittadinanza per i nostri connazionali meritevoli del riconoscimento in questione.

Occorre sottolineare che l’acquisizione della cittadinanza costituisce una delle principali espressioni della sovranità dello Stato al quale, non a caso, l’art. 117 Cost. riconosce competenza legislativa in via esclusiva.

Come innanzi ricordato, la materia venne disciplinata per la prima volta in modo organico nel 1912 e, successivamente, regolamentata dalla legge 5 febbraio 1992, n.91,recante “Nuove norme sulla cittadinanza”, che ha introdotto tra le novità il principio dello jus sanguinis (“diritto di sangue”) che è stato ora modificato dal nuovo D.L.

Tuttavia, l’aspetto più significativo della citata legge n.91/1992 risiede nel fatto che essa ha rappresentato la prima riforma organica della cittadinanza dopo l’avvento della Repubblica.

Sino al D.L. in commento, la Legge contemplava sia disposizioni volte alla naturalizzazione di discendenti da cittadini italiani per nascita, sia disposizioni che avevano come obiettivo quello di favorire il riacquisto della cittadinanza da parte di ex connazionali anche al fine di dare concreta risposta alle pressanti istanze provenienti dalle Comunità di nostri connazionali residenti in Paesi a più forte immigrazione italiana (come Argentina e Brasile) nella agognata prospettiva di fare rientro in Italia.

I principi generali più rilevanti della Legge del 1992,sono in sintesi: principio della parità tra uomo e donna, principio volontaristico, possibilità della doppia cittadinanza, volontà di evitare condizioni di apolidia.

Va sottolineato che, prima della nuova Legge, la cittadinanza italiana si trasmetteva solo per via paterna.

Quindi se una cittadina italiana aveva sposato uno straniero prima di quell’anno i suoi figli e discendenti non potevano essere riconosciuti come cittadini italiani. L’entrata in vigore della Costituzione, nel 1948, garantì una maggiore parità di diritti e da quel momento lo ius sanguinis iniziò a valere anche per i figli di donne sposate con stranieri come in seguito chiarito da numerose sentenze .

L’art.1 della legge n.91/1992,nell’individuare i casi di attribuzione della cittadinanza per filiazione, ha sancito il principio dello jus sanguinis, nonostante che in altri Stati l’acquisto della cittadinanza avviene in base al criterio dello jus soli, ossia nei casi in cui la nascita sia avvenuta nel territorio dello Stato di residenza.

Come innanzi ricordato, in base all’art. 1 della Legge, era cittadino italiano per nascita il figlio di padre o di madre cittadini italiani, nonché chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi oppure se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.

Tale normativa prevedeva, dunque, che il figlio di padre o madre cittadini acquisti la cittadinanza, a prescindere dal luogo di nascita (in Italia o all’Estero) e dalla circostanza di essere figlio legittimo o naturale, purché almeno uno dei genitori sia italiano.

In base a tale assunto, sino al nuovo Decreto, chi riusciva a dimostrare una discendenza diretta da un cittadino italiano poteva avanzare una richiesta e vedersi concedere la cittadinanza.

In tal modo, quindi, il Legislatore del 1992 aveva collegato l’acquisto della cittadinanza al rapporto di filiazione, dando così risalto al principio dello jus sanguinis.

Inoltre, in presenza di determinate condizioni, l’art. 4 della legge del 1992, prevedeva che potesse acquisirere la cittadinanza lo straniero o l’apolide del quale il padre, la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado fossero stati cittadini per nascita.

Una prima possibilità ricorreva quando l’interessato avesse prestato servizio militare per lo Stato Italiano, previa dichiarazione di voler acquisire la cittadinanza mentre l’altra ipotesi ricorreva quando l’interessato avesse assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’Estero, e dichiarava di voler acquisire la cittadinanza italiana.

Infine, l’acquisizione della cittadinanza avveniva se, al raggiungimento della maggiore età, l’interessato risiedesse legalmente da almeno due anni nel territorio italiano e dichiarasse, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, di voler acquisire la cittadinanza italiana.

In base a questo principio, la Legge riconosceva la cittadinanza italiana a tutti coloro che potevano dimostrare di aver avuto un antenato italiano vivo al momen to della proclamazione del Regno d’Italia nel 1861.

L’Autorità competente ad effettuare l’accertamento dei requisiti per i residenti all’estero era l’Ufficio consolare territorialmente competente a cui spettava

  • accertare che la discendenza abbia inizio da un avo italiano (con la precedente normativa non c’erano limiti di generazioni);

  • verificare che l’avo cittadino italiano abbia mantenuto la cittadinanza sino alla nascita del discendente. La mancata naturalizzazione o la data di un’eventuale naturalizzazione dell’avo deve essere comprovata mediante attestazione rilasciata dalla competente Autorità straniera;

  • comprovare la discendenza dall’avo italiano mediante gli atti di stato civile di nascita e di matrimonio; atti che devono essere in regola con la legalizzazione, se richiesta, e muniti di traduzione ufficiale;

  • attestare che né l’istante né gli ascendenti hanno mai rinunciato alla cittadinanza italiana interrompendo la catena di trasmissione della cittadinanza, mediante appositi certificati rilasciati dalle competenti Autorità diplomatico consolari italiane.

Il richiedente aveva l’onere di presentare l’istanza, corredata dalla prescritta documentazione probatoria atta a dimostrare i requisiti sopra elencati, all’Ufficio consolare nell’ambito della cui circoscrizione risiedeva l‘oriundo italiano.

La normativa italiana in materia di cittadinanza per discendenza (vigente fino all’entrata in vigore del nuovo decreto in esame) prevedeva la trasmissione dello status in base al rapporto di parentela in linea retta, senza imporre limiti generazionali e senza dare rilievo giuridico al luogo di nascita, essendo indiffe rente che quest’ultima sia avvenuta in Italia o all’Estero.

Per contro, contrariamente alla tradizione giuridica italiana, il Decreto Legge introduce ora delle regole stringenti, di immediata e retroattiva applicazione, con il nuovo art. 3-bis, inserito nella Legge n. 91 del 1992,secondo cui “In deroga agli articoli 1,2,3,14 e 20 della presente legge, all’articolo 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123, agli articoli 1,2,7,10,12 e 19 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nonché agli articoli 4,5,7,8 e 9 del codice civile approvato con regio decreto 25 giugno 1865, n. 2358, viene considerato non avere mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all’Estero anche prima della data di entrata in vigore del D.L. e sia in possesso di altra cittadinanza, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni”, specificate nelle lettere a), b), c), d), e).

In sostanza, secondo il Governo, non saranno più considerati cittadini italiani tutti coloro che sono nati all’Estero, in ragione dell’introduzione di un nuovo requisito (la nascita in Italia) che costituisce una condizione retroattiva per l’esistenza dello status civitatis acquisito per discendenza, salve comunque alcune ipotesi di salvezza, di cui all’art. 3-bis.

L’effetto pratico quanto immediato del Decreto è, quindi, quello di privare della cittadinanza un’intera categoria di individui, che divengono ex-cittadini per il fatto di essere nati all’Estero (!!).

Vengono, comunque, fatte salve alcune situazioni, tra cui quella di coloro che hanno presentato un’istanza in sede amministrativa o una domanda in sede giurisdizionale entro la mezzanotte del 27 marzo 2025,ai quali verrà applicata la disciplina normativa previgente;coloro che hanno un genitore (o adottante) o un nonno/a nati in Italia;chi ha un genitore (o adottante) che è stato residente in Italia per almeno due anni continuativi prima della nascita o della adozione del figlio.

Va evidenziato che il provvedimento emanato dal Governo introduce limiti alla trasmissione della cittadinanza italiana per discendenza attraverso l’introduzione dell’elemento della nascita nel territorio della Repubblica dell’interessato, dei suoi genitori o dei suoi nonni, o di un collegamento territoriale biennale dei genitori con l’Italia, giungendo, in tal modo, ad una peculiare commistione tra ius sangui nis e ius soli, quest’ultimo criterio andando a mitigare la portata della trasmissione per discendenza.

Va, comunque, sottolineato che, sul punto, il Decreto non affronta minimamente l’attuale e dibattuta questione di un eventuale allargamento del criterio della concessione della cittadinanza in base allo ius soli, né prende posizione sullo ius scholae o sullo ius culturae, ma ha come unica finalità quella di ridurre l’ambito di applicazione dello ius sanguinis, creando retroattivamente nuovi requisiti ai fini dell’acquisizione ed, in buona sostanza, privando della cittadinanza migliaia di persone tra i Nostri connazionali emigrati all’Estero per ragioni di lavoro (!!).

  • Dubbi di legittimità costituzionale

Secondo la Dottrina prevalente, a commento del provvedimento, il Decreto n. 36/25 presenterebbe innumerevoli profili di illegittimità costituzionale e di incompatibilità con il Diritto Europeo.

In primis, vi sarebbe un’evidente mancanza dei presupposti della decretazione d’urgenza, visto che tale strumento viene utilizzato al solo fine di bloccare, nell’immediato e prima dell’approvazione di una riforma organica, le domande di tutela di un diritto costituzionale leso, qual è quello alla cittadinanza.

Inoltre, sussisterebbero la violazione del principio di irretroattività e del legittimo affidamento;la rottura del principio dell’unità della cittadinanza all’interno della stessa famiglia, nella parte in cui si esclude la trasmissione della cittadinanza tra genitore già riconosciuto e figlio, in caso di nascita all’Estero ed, infine, la totale mancanza di un regime transitorio, con la necessaria previsione di un termine congruo per richiedere la conservazione del diritto acquisito sulla base alla disci plina previgente.

Dall’esame del testo emanato appare chiaro che il Governo ha scelto di introdurre veri e propri nuovi requisiti, in grado di operare retroattivamente, anche sui diritti già sorti che viola non solo i principi costituzionali italiani in materia (come definiti già dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità).

In ogni caso, il D.L.si porrebbe in contrasto con il Diritto europeo in materia di status civitatis, senza fare alcun riferimento alle regole italiane ed europee sulla perdita di tale situazione giuridica.

Risulta, infatti, evidente anche il palese contrasto con l’articolo 20 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per violazione del principio di proporzio nalità e di effettività, non avendo il Decreto previsto, in alcun modo, per le persone interessate “la possibilità di presentare, entro un termine ragionevole, una doman da di mantenimento o di riacquisto della cittadinanza, che consenta alle Autorità competenti di esaminare la proporzionalità delle conseguenze della perdita di tale cittadinanza sotto il profilo del Diritto dell’Unione Europea (…)”.

Peraltro, quanto alla natura della situazione giuridica, occorre rilevare che, pur non essendo oggetto di una disciplina costituzionale espressa, non ci sono dubbi che la cittadinanza possa essere qualificata come uno status di diritto pubblico con rile vanza costituzionale, trattandosi di “una condizione personale che rende una persona membro della Comunitù di un certo Paese”, da cui “sorgono diritti e doveri non solo nei confronti dello Stato ma anche nei rapporti del cittadino con la società e le altre persone che ad essa appartengono (art. 4 Cost., commi 1 e 2)”.

Tale status viene preso in considerazione a livello internazionale e, in particolare, dall’articolo 15 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948, secondo cui “Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza “e nessun individuo può essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza né del diritto di mutare cittadinanza”.

Non solo, la cittadinanza italiana– al pari di tutte le cittadinanze nazionali di uno Stato membro dell’UE – ha una rilevanza fondamentale anche dal punto di vista del Diritto Europeo, nella misura in cui “È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro” (art. 20 TFUE).

Come è noto, alla cittadinanza è legata la titolarità di una molteplicità di diritti a copertura costituzionale, sia a livello nazionale che europeo, tra cui ricordiamo a titolo esemplificativo:il diritto di elettorato attivo e passivo (art. 48 Cost.; artt. 20 e 22 TFUE);il diritto di circolazione e soggiorno, nonché la possibilità di condurre una vita personale e familiare in Italia e nel territorio dell’Unione (art. 16 Cost. e artt. 20 e 21 TFUE);il diritto di accettare offerte di lavoro e svolgere attività lavorativa in Italia e nel territorio UE, senza la necessità di richiedere ed aspettare l’eventuale concessione di permessi di soggiorno (artt. 4 e 35 ss. Cost.; art. 45 TFUE);il diritto allo studio, potendo ottenere borse di studio o spese di iscrizione universitarie più contenute, grazie allo status di cittadini europei (art. 33 Cost.) ed, inifine, il diritto di riunione e di associazione, insieme a tutte le altre libertà fondamentali concesse al cittadino (artt. 17 e ss. Cost).

In materia, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante, lo “status di cittadino è permanente ed ha effetti perduranti nel tempo” e “costituisce una qualità essenziale della persona, con caratteri d’assolutezza, originarietà, indispo nibilità ed imprescrittibilità”.

Esso costituisce, pertanto, un diritto inviolabile che ciascuno “vanta nei confronti del proprio Stato di appartenenza”.

Essendo uno status imprescrittibile e permanente, l’individuo non ha l’obbligo giuridico di rivendicare, nel corso della propria vita, la conservazione della propria cittadinanza italiana, perdendo tale status solo in ipotesi tassative e predetermina te.

Tale status si acquista con la nascita o nel corso della vita, si può perdere ed anche riacquistare poiché il riacquisto è fatto costitutivo successivo, che può verificarsi solo dopo l’accadimento di un primo fatto costitutivo come l’acquisto originario e di un fatto estintivo della perdita.

  • Conclusioni

In definitiva si può affermare che il D.L. n.36 /2025, trasmesso al Parlamento per la sua conversione in Legge, apporta alcune importanti modifiche alla vecchia disciplina vigente ma che si pongono in netto contrasto con i principi italiani ed europei in tema di perdita della cittadinanza.

Sul punto la sentenza n.87 del 1975 della Corte Costituzionale aveva già dichiarato l’illegittimità dell’art.10 della Legge n. 555/1912,nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza, indipendentemente dalla volontà della interessata, per la donna italiana che acquistava, per effetto del matrimonio, la nazionalità straniera del coniuge.

Alla luce di quanto innanzi esposto, saremmo in presenza di un provvedimento che priva i nostri cittadini emigrati all’estero della possibilità di acquisire la cittadinanza italiana, in contrasto anche con l’art.22 Cost., secondo cui“Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.

Come corollario duole ricordare che lo stesso Ministero degli Esteri ha varato, di recente, una Circolare, diretta a tutti i Consolati Italiani all’Estero, per favorire il c.d. “Turismo di Ritorno” dei Nostri connazionali emigrati allo scopo di rivedere i luoghi natii dei propri genitori ed avi (!!), che sembra contraddire le intenzioni del Legislatore, negando la possibilità di riottenere la cittadinanza per coloro che desiderino ritornare nei Paesi d’origine.


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