Cassazione Civile, Ordinanza n. 17808 del 08/09/2015

Cassazione Civile, Ordinanza n. 17808 del 08/09/2015
Lunedi 12 Ottobre 2015

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
In un procedimento di modifica delle condizioni di divorzio, tra B.F. e C.M.L., la Corte d'appello di Cagliari, conprovvedimento in data 24/02/2011, confermava la decisione di primo grado che, da un lato, aveva respinto la richiesta del marito di essere esentato dall'assegno per la moglie e di veder ridotto quello per la figlia, maggiorenne, alla quale il padre avrebbe inteso corrispondere direttamente l'assegno, dall'altro, in accoglimento della domanda della moglie, incrementava l'assegno per entrambe le beneficiane, nella misura complessiva di Euro 500,00 mensili.
Ricorre per cassazione il mari tocche pure deposita memoria difensiva. Resiste con controricorso la moglie.
Con il primo motivo il marito deduce violazione dell'art. 12 disp. att. c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Assume che la Corte territoriale avrebbe errato là dove non si sarebbe ispirata al "comune sentire della comunità del nostro tempo) e, pertanto, non avrebbe tenuto conto della breve durata del matrimonio fra le parti, ai fini della misura dell'assegno divorzile.
Come ha avuto più volte ad affermare questa Corte, in sede di revisione dell'assegno di divorzio, il giudice non può procedere ad una nuova od autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno, ma, nel pieno rispetto della valutazione espressa al momento dell'attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto, adeguando l'importo od escludendo l'assegno in relazione alla nuova situazione patrimoniale (cfr. da ultimo, tra le altre, Cass. 14142/2014: è appena il caso di precisare che i "giustificati motivi indicati dalla L. Divorzio, art. 9 sono da sempre interpretati nel senso che si ricolleghino a circostanze sopravvenute). Correttamente il giudice a quo ha ritenuto che la durata del matrimonio non rappresenti elemento deducibile nel procedimento L. divorzio, ex art. 9 (tale profilo avrebbe dovuto, semmai essere dedotto in sede di gravame avverso la sentenza di divorzio, che aveva determinato l'assegno per la moglie).
Con il secondo motivo, il marito deduce violazione della L. divorzio, art. 9 e art. 112 c.p.c. sub art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Assume che la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato la sussistenza dell'obbligo a suo carico di contribuire a mantenere la moglie.
Sta di fatto che il giudice a quo, con motivazione congrua e corretta, non censurabile in questa sede di legittimità, ha evidenziato come il marito non avesse dimostrato che le sue condizioni economiche avevano subito un peggioramento rispetto al momento della pronuncia di divorzio. L'intervenuto suo pensionamento e la conseguente ulteriore impossibilità di svolgere lavoro straordinario appaiono, secondo il giudice a quo, avulsi da qualsiasi dato concreto, non fornendo l'odierno ricorrente indicazione alcuna sul reddito del 1993 (anno del divorzio) e quello del 2007 (momento di radicazione del procedimento). Del pari, correttamente, la Corte territoriale ha escluso che l'età avanzata possa essere di per sè elemento di peggioramento delle condizioni economiche dell'obbligato, in difetto di una specifica prova al riguardo. Quanto al mantenimento della nuova moglie, cui sicuramente il marito deve provvedere, la Corte territoriale, con motivazione non illogica, precisa che costei precedentemente lavorava e, all'evidenza, sull'accordo dei coniugi, ha cessato di lavorare dopo il matrimonio, denotando tale circostanza la capacità economica della nuova famiglia di far fronte comunque ad ogni esigenza di vita. L'argomentazione del giudice a quo è palesemente collegata, seppur in modo implicito, all'importo dell'assegno per la moglie divorziata, non particolarmente elevato.
Nel contempo, la Corte di merito ha correttamente evidenziato come l'età della resistente (nata nel 1951) e la condizione di invalidità al 55% compromettano la sua possibilità di inserirsi in modo proficuo nel mondo del lavoro.
Con il terzo motivo, il marito censura violazione dell'art. 155 quinquies c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Assume che la Corte territoriale avrebbe errato là dove aveva affermato che su di lui gravava la prova dell'indipendenza economica della figlia maggiorenne, spettando invece alla madre l'onere di dimostrare che essa attende con regolarità e profitto agli studi universitari.
La Corte d'appello ha invece fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, in base al quale l'obbligo del genitore di concorrere al mantenimento dei figli non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura sino a quando il medesimo genitore non dia prova che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica (tra le altre, da ultimo, Cass. 15500/2014).
Il giudice a quo, con congrua valutazione di merito, non censurabile in questa sede, ha evidenziato come, in presenza di elementi di segno contrario, la figlia, per quanto studentessa universitaria all'età di 27 anni, avesse titolo al mantenimento da parte del padre.
Va pertanto rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 1.600,00, comprensivi di Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2015.

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