Cassazione: sentenza n. 3398 del 12/02/2013

Cassazione: sentenza n. 3398 del 12/02/2013
Divorzio - assegno di divorzio.
Giovedi 18 Luglio 2013

Svolgimento del processo

Dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da M.A.M. e S.M., con sentenza parziale, il Tribunale di Bologna si pronunciava sulle domande di natura economica, respingendo la domanda di assegno divorzile formulata da M.A.M..

La Corte d'Appello di Bologna, in riforma della sentenza impugnata, accoglieva tale domanda, quantificando in Euro 250 mensili, il contributo mensile dovuto dal S. all'ex coniuge.

A sostegno della decisione, la Corte d'Appello di Bologna affermava:

a) ogni decisione sulla spettanza e determinazione dell'assegno di divorzio deve tenere conto della differenza tra il criterio di attribuzione del contributo, consistente nella valutazione dell'adeguatezza dei mezzi economici del richiedente rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e i criteri di determinazione del medesimo, riguardanti le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare, in relazione alla durata del matrimonio;

b) il giudizio di adeguatezza deve fondarsi sul tenore di vita tenuto fino al perdurare del matrimonio da correlare alla situazione in cui versano i coniugi al momento della cessazione degli effetti civili del matrimonio;

c) nella specie la condizione economica attuale di M.A. M. è risultata di sostanziale indigenza, trattandosi di una persona priva di reddito da lavoro, di 55 anni, affetta da patologie non modeste, che vive con la figlia avuta da convivenza more uxorio, a carico della propria madre, essendo priva di altre fonti di reddito in quanto proprietaria solo di un terreno boschivo, mentre il S. ha mantenuto sostanzialmente immutato il suo reddito da lavoro dipendente;

d) l'esclusione di tale condizione da parte del Tribunale viene giustificata secondo la Corte d'Appello non sulla base di una rigorosa disamina dei criteri di legge ma in virtù di un giudizio di valore fondato sul rilievo secondo il quale la richiedente avrebbe ingiustificatamente fatto scelte lavorative fallimentari, dismesso il proprio patrimonio immobiliare tenendo una gestione patrimoniale non oculata, dopo un matrimonio durato solo cinque anni;

e) l'obbligo di solidarietà post coniugale non può esser reciso in virtù del mero decorso del tempo ovvero sulla base della considerazione dell'intervallo temporale di venti anni intercorsi tra la separazione e la domanda di divorzio senza che tra le parti vi sia stato alcun rapporto anche di natura economica;

f) la convivenza more uxorio non è idonea ad elidere tale vincolo, avendo natura intrinsecamente precaria, potendo incidere soltanto sulla valutazione dei mezzi adeguati del coniuge richiedente ed essendo nella specie cessata da lungo tempo;

g) la coniuge richiedente è priva di fonti reddito, avendo alienato i suoi immobili al fine di provvedere al sostentamento e all'educazione della figlia;

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione S. M. ed ha resistito con controricorso M.A.M.. Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

 

Motivi della decisione

Nel primo motivo di ricorso si censura, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, l'interpretazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, contenuta nella sentenza impugnata, con riferimento alla valutazione dell'inadeguatezza dei mezzi della coniuge beneficiarla dell'assegno divorzile. Osserva il ricorrente che la Corte d'Appello non ha correttamente considerato le potenzialità economiche di entrambe le parti all'epoca della convivenza, atteso che in costanza del vincolo coniugale il coniuge economicamente più forte era la M., in quanto titolare di un cospicuo patrimonio immobiliare. Pertanto, il deterioramento delle sue condizioni economiche è stato frutto di esclusive scelte personali e non conseguente al divorzio come invece richiesto dall'orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale rileva l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del richiedente. Nella specie nessun deterioramento è potuto conseguire alla parte richiedente a causa di un divorzio richiesto dopo oltre 16 anni dalla separazione, dopo una lunga fase di vita nella quale i coniugi hanno vissuto in condizione di totale estraneità e la signora M. ha intrapreso una lunga convivenza more uxorio dalla quale è nata una figlia. Dunque, nella specie, il deterioramento economico è conseguito alle autonome scelte economico patrimoniali della M..

Il motivo si chiude con i seguenti quesiti di diritto: Viola la L. n. 898 del 1970, art. 5, la decisione in questa sede impugnata atteso che essa ha individuato nella sig.ra M. il coniuge avente diritto all'assegno divorzile omettendo di accertare il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, rapportato alle rispettive potenzialità economiche dei coniugi all'epoca della convivenza;

Viola la L. n. 898 del 1970, art. 5, la decisione in questa sede impugnata, che ha ritenuto rilevante, ai fini del riconoscimento dell'assegno un presunto deterioramento delle condizioni economiche della sig.ra M., in alcun modo dipendente dal divorzio? Viola la L. n. 898 del 1970, art. 5, la decisione in questa sede impugnata che ha ritenuto sussistente il presupposto dell'inadeguatezza dei mezzi della sig.ra M. omettendo di considerare gli introiti dalla stessa ricavati tramite la dismissione del proprio patrimonio immobiliare nonchè il costante supporto economico da essa ricevuto, negli anni, dalla famiglia di appartenenza e dal convivente more uxorio?" Nel secondo motivo viene censurata, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la concreta valutazione di tutti gli elementi contenuti nell'art. 5 al fine di verificare la spettanza e l'attribuzione dell'assegno di divorzio. Secondo la parte ricorrente non è stata considerata dalla Corte d'Appello la necessaria correlazione tra i criteri di attribuzione e quelli di determinazione dell'assegno. In particolare, il criterio dell'adeguatezza dei mezzi del beneficiario dell'assegno non determina inevitabilmente la titolarità del diritto ma si limita alla verifica del presupposto della domanda. L'effettivo riconoscimento dipende, invece, dal reciproco condizionamento di tutti gli elementi e può risolversi anche in un azzeramento se l'incidenza in negativo dei presupposti determinativi è preponderante. L'error in iudicando consiste, nella specie, nell'aver bandito dalla verifica della sussistenza del diritto la valutazione degli altri criteri. In concrete, la estraneità ventennale tra i coniugi e le scelte economiche autonomamente eseguite dalla richiedente, unitamente alla brevissima durata del matrimonio, hanno determinato proprio questo effetto. Pertanto, pur non potendosi trascurare che la solidarietà post coniugale non abbia limiti temporali, è innegabile che la forza del vincolo deve essere commisurata all'effettiva comunanza di vita dei coniugi. La netta e aprioristica separazione tra i criteri di attribuzione e di determinazione dell'assegno ha, inoltre, indotto la Corte a ritenere, erroneamente, pacifica l'inadeguatezza dei mezzi economici della richiedente, senza considerare i redditi conseguenti alle vendite immobiliari eseguite.

Il motivo si chiude con i seguenti quesiti di diritto: "La distinzione tra criteri di attribuzione e criteri di quantificazione dell'assegno divorzile individuata dalla giurisprudenza alìinterno della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, può condurre ad una totale estromissione dal giudizio sull'an, della valutazione dei criteri costituiti dalle condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico di ciascun coniuga alla conduzione familiare, il reddito di entrambi, il tutto alla luce della durata del matrimonio, o tali criteri devono essere fatti interagire con la valutazione circa l'inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente? "Può il criterio della durata del matrimonio di cui alla L. n. 898 del 1910, art. 5, comma 6, stante la formulazione letterale della norma, essere letto come "criterio trasversale" attraverso cui calibrare l'incidenza degli altri criteri dettati dalla legge nell'ambito del giudizio sull'an e sul quantum dell'assegno divorzile, sino all'eventuale negazione del diritto all'assegno stesso?" Nel terzo motivo si censura sotto il profilo della violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e art. 116 cod. proc. civ., nonchè del vizio di motivazione, l'affermazione della Corte relativa all'impossibilità oggettiva della ricorrente di procurarsi mezzi adeguati. Tale condizione viene fondata su referti medici, tutti relativi agli anni 2001, 2202, 2003 ed in particolare su un certificato medico di un reumatologo del 2001, nonchè sulla consulenza tecnica d'ufficio svolta nel giudizio davanti al Tribunale per i minorenni. In tale consulenza, svolta a fini del tutto diversi, non è descritta una patologia incidente sulla capacità lavorativa, tenuto altresì conto che i testi escussi di parte M. non hanno riferito di patologie invalidanti in capo alla richiedente. Il giudice di secondo grado non ha considerato che solo nel 2006 (dopo sei anni di insorgenza delle patologie lamentate); dopo il deposito della sentenza del Tribunale che rigettava la richiesta di un assegno di divorzio è stata richiesta la pensione d'invalidità.

Il motivo si chiude con i seguenti quesiti di diritto:

"Posta la indubbia utilizzabilità di una CTU espletata in un diverso giudizio, può attribuirsi rilevanza probatoria alle conclusioni in essa contenute, allorchè il thema decidendum e probandum dei due procedimenti, e, conseguentemente, dei rispettivi profili dfindagine peritale, sia sostanzialmente diverso? Viola la L. n. 898 del 1970, art. 5 e l'art. 116 cod. proc. civ. la decisione in questa sede impugnata, che, nell'accertare l'impossibilità oggettiva della sig.ra M. di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento, si è basata unicamente su documenti incompleti e privi di rilievo, senza viceversa adeguatamente valutare gli elementi probatori emersi nel corso del giudizio di primo grado?" Nel quarto motivo si censura sotto entrambi i profili, della violazione di legge e del vizio di motivazione, la omessa considerazione della rinuncia della M. a qualsiasi pretesa all'esito del giudizio di separazione.

Precisa il ricorrente di aver depositato il fascicolo del procedimento separativo dal quale emerge l'autosufficienza economica della M. sia nel 1986 (primo procedimento di separazione) sia nel 1999 fino al 2001 (prima domanda di divorzio respinta).

Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto:

"Viola la L. n. 898 del 1970, art. 5 e l'art. 116 cod. proc. civ., la decisione in questa sede impugnata, che, nell'accertamento dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile, ha taciuto sugli elementi probatori dedotti dal signor S. di rilevanza determinante per la valutazione di autosufficienza economica della sig.ra M.?" Nel quinto motivo viene contestata sotto il duplice profilo della violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e del vizio di motivazione la quantificazione dell'assegno, non risultando valutata correttamente l'incidenza preponderante dell'operatività dei criteri diversi da quello dell'adeguatezza, con particolare riferimento alla lunga convivenza more uxorio.

Il motivo si chiude con i seguenti quesiti di diritto:

"Viola la L. n. 898 del 1970, art. 5, la decisione in questa sede impugnata che, nella determinazione del quantum dell'assegno divorzile, ha ritenuto di dover indagare la determinazione concreta dell'ammontare dell'assegno, pur non essendo sussistente il presupposto che avrebbe riconosciuto alla sig.ra M. l'astratto diritto all'assegno? Viola la L. n. 898 del 1970, art. 5, la decisione in questa sede impugnata che, nella determinazione del quantum dell'assegno divorzile ha ritenuto di non dover ridurre l'ammontare dell'assegno mensile fino ad escluderne la debenza, omettendo di considerare adeguatamente e valutare la convivenza more uxorio intrapresa dalla sig.ra M., le reali condizioni economiche di entrambi i coniugi, nonchè la brevissima durata del matrimonio?" L'esame dei motivi di ricorso impone una considerazione preliminare.

In ognuno di essi è contenuto, oltre al vizio di violazione di legge anche il vizio di motivazione. Risulta, pertanto, necessaria, a pena d'inammissibilità, in ordine alle censure ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la specifica formulazione della sintesi del motivo con l'indicazione del fatto controverso, richiesta dall'art. 366 bis cod. proc. civ., ultima parte, ratione temporis applicabile. Ne consegue che se come nella specie, siano formulati motivi contenenti censure relative sia al vizio di cui all'art. 360, n. 3 che all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5, essi devono concludersi con un numero di quesiti, corrispondente, quantitativamente e qualitativamente ai vizi dedotti.

Così è stato affermato dalle S.U. di questa Corte con orientamento fermo (S.U. 7770 del 2009; cui è seguita 15242 del 2012); secondo il quale "E' ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d'impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all'altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto.

Alla luce di questo preliminare e doveroso scrutinio deve ritenersi inammissibile il quarto motivo che, nonostante la duplice indicazione dì censure, si chiude con un unico quesito, peraltro genericamente riferito alla sottovalutazione di alcuni elementi di fatto da parte della sentenza impugnata, da ritenersi inadeguato sia a sostenere il vizio di violazione di legge, in quanto teso esclusivamente a richiedere al giudice di legittimità un non consentito riesame dei fatti di causa, peraltro risalenti e, conseguentemente, non incidenti sulla condizione patrimoniale delle parti al momento della decisione, sia a sostenere il vizio di motivazione, mancando l'illustrazione sintetica del fatto controverso.

Alla medesima conclusione deve pervenirsi in ordine al terzo motivo che, pur prospettando astrattamente, oltre al vizio di violazione di legge, anche il vizio di motivazione, si limita, nell'esposizione dei due quesiti finali a richiedere una valutazione diversa del quadro probatorio relativo alle patologie della controricorrente esaminate nella sentenza impugnata, sulla base di consulenze tecniche d'ufficio provenienti da diversi procedimenti, senza indicare specificamente, nella sintesi finale quali siano stati i fatti non esaminati, tenuto conto che la valutazione del giudice d'appello in ordine alla capacità lavorativa della M. si è basata non solo sui riscontri diagnostici ma anche sull'età e la professionalità della parte, alla luce, conseguentemente, di un esame ben più ampio ed esauriente di quello descritto nel motivo. Quanto alla omessa valutazione della diversa finalità dei giudizi nei quali le indagini tecniche erano state eseguite, deve escludersi in radice il rilievo di questo elemento una volta che si ritengano utilizzabili ai sensi dell'art. 116 cod. proc. civ., le consulenze tecniche d'ufficio provenienti da altri procedimenti giurisdizionali, atteso che la mera descrizione delle patologie non muta in funzione della natura del giudizio. Gli altri motivi (il primo, il secondo ed il quinto) possono essere trattati congiuntamente perchè attinenti alle condizioni previste dalla legge (L. n. 898 del 1970, art. 5) ai fini dell'attribuzione e della determinazione dell'assegno di divorzio.

Anche con riferimento a questi motivi deve dichiararsi l'inammissibilità della prospettazione del vizio di motivazione, essendo i quesiti che li concludono, anche se formalmente duplici o triplici, riguardanti esclusivamente profili di violazione di legge e non invece contenenti la richiesta sintesi del fatto controverso ex art. 366 bis cod. proc. civ..

Il secondo e il quinto motivo sono sostanzialmente una duplicazione del medesimo interrogativo, essendo fondati sulla censurata violazione di legge compiuta dalla sentenza impugnata per aver operato una netta separazione tra il criterio di attribuzione, individuabile nell'adeguatezza dei mezzi economico-patrimoniali del coniuge richiedente, al momento della decisione, in correlazione al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e i criteri di determinazione dell'assegno divorzile, consistenti nelle ragioni della decisione, nella durata del matrimonio, nel contributo personale dato da ciascuno di essi nella conduzione della vita familiare. Secondo la prospettazione del ricorrente, nella specie, la breve durata della convivenza coniugale (sei anni), le ragioni della sua cessazione e, in particolare, la esclusiva responsablità della M. nella realizzazione dell'attuale condizione di deterioramento economico patrimoniale, unite alla quasi ventennale cessazione della predetta convivenza, sono idonee ad incidere direttamente sul diritto all'assegno divorzile e non solo a modularne l'entità. L'assunto non può essere condiviso alla luce del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. 10260 del 1999; 432 del 2002; 15610 del 2007), secondo il quale, ai fini dell'attribuzione dell'assegno di divorzio, deve essere accertata l'impossibilità oggettiva del coniuge richiedente a procurarsi mezzi economici idonei a conservare tendenzialmente il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio. Il giudizio di adeguatezza o sufficienza di tali mezzi al momento della decisione costituisce un prius logico e giuridico nell'esame complessivo del diritto all'assegno divorzile, in quanto si fonda sulla conservazione dell'obbligo di solidarietà post coniugale che caratterizza tale attribuzione patrimoniale. La sentenza impugnata ha esattamente applicato tale principio, esaminando con completezza la condizione oggettiva attuale della M., sia sotto il profilo della sua capacità economico-patrimoniale che sotto il profilo della capacità lavorativa e reddituale, comparandola con il tenore di vita goduto dalle parti in costanza di matrimonio, risultato incontestatamente caratterizzato da una situazione di benessere economico, in quanto fondata su un doppio reddito da lavoro impiegatizio. Alla luce di tale rigorosa indagine la sentenza di secondo grado ha accertato, con valutazione dei fatti incensurabile in sede di giudizio di legittimità, che la situazione attuale, sostanzialmente immutata per il S. si è invece radicalmente deteriorata per la M., rispetto a quella caratterizzante la convivenza coniugale, fino ad arrivare ad una condizione di "sostanziale indigenza". La peculiarità di tale inadeguatezza, fondata anche sulla valutazione comparativa dell'età, della mancanza di professionalità e delle condizioni psicofisiche della richiedente, ha correttamente indotto la Corte d'Appello di Bologna ad escludere che i criteri determinativi, ed in particolare la breve durata del rapporto coniugale e le ragioni della decisione, potessero nella specie annullare il profilo assistenziale posto a base del riconoscimento della titolarità del diritto alla luce della valutazione attuale della situazione della ricorrente. Tuttavia, tali criteri sono stati decisivi ai fini della quantificazione dell'assegno contenuto in 250 Euro mensili, nonostante la descritta condizione di seria insufficienza economico-patrimoniale dell'avente diritto. Deve, pertanto, concludersi per l'infondatezza del secondo e quinto motivo di ricorso, tenuto conto del fermo orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine al rilievo primario e pressochè esclusivo del criterio assistenziale anche in caso di attribuibilità esclusiva della responsabilità della cessazione del vincolo al coniuge beneficiario. "In tema di divorzio, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 1 dicembre 1910, n. 898, art. 5, comma 6, nella parte in cui consente di assoggettare all'obbligo di corrispondere l'assegno anche il coniuge che abbia chiesto ed ottenuto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio della L. 1 dicembre 1970, n. 898, ex art. 3, n. 2, lett. a; neppure in tale ipotesi, infatti, cessa la funzione assistenziale di detto assegno, non rilevando le ragioni della decisione ai fini dell'accertamento della sussistenza del relativo diritto, ma solo ai fini della determinazione del relativo ammontare, ed essendo riservata alla valutazione discrezionale del giudice di merito la possibilità di considerare decisivo e prevalente, tra tutti i criteri previsti per la quantificazione dell'assegno divorzile, quello della ragione del divorzio e della responsabilità del coniuge convenuto e di pervenire in tal modo all'azzeramento dell'assegno, i profili di responsabilità civile derivanti dalle violazioni del diritto all'unità familiare non sono d'altronde incompatibili con l'obbligo di contribuzione assistenziale, che fonda la sua ragione proprio nel rapporto coniugale che è alla base della famiglia. (Cass. 5434 del 2008, cui è seguita sempre al fine di escludere il rilievo della questione di costituzionalità dell'art. 5 alla luce del diritto vivente consolidatosi in sede di legittimità, nell'ipotesi di nuove nozze dell'avente diritto, Cass. 16789 del 2009).

L'esame del primo motivo deve essere svolto alla luce dei tre indici di violazione della L. 898 del 1970, art. 5, evidenziati dalla parte ricorrente, ovvero:

a) la sentenza impugnata non ha tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi in costanza di vincolo ed, in particolare dell'incidenza, sul comune tenore di vita, della migliore situazione economica della M., successivamente deterioratasi per scelte esclusivamente personali assunte per oltre 15 anni;

b) Non è stato considerato che il predetto deterioramento non è dipeso dal divorzio ma dalla condotta del tutto autonoma della richiedente;

c) non si è dato rilievo a circostanze (quali la vendita di un cospicuo patrimonio immobiliare, il sostegno economico della famiglia di origine e la convivenza more uxorio nell'attribuzione dell'assegno divorzile alla M..

Nessuno dei tre profili prospettati, in parte già affrontati nell'esame del secondo e quinto motivo, determina l'esclusione dell'attribuzione del predetto assegno, come esattamente rilevato nella sentenza impugnata. L'incidenza dei singoli patrimoni sul tenore di vita in costanza di matrimonio risulta del tutto irrilevante alla luce della necessità di valutare l'adeguatezza dei mezzi di ciascun coniuge in sede di divorzio, sulla base della situazione attuale e non di quella pregressa, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità; "il giudice, chiamato a decidere sull'attribuzione dell'assegno di divorzio, è tenuto a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza - all'atto della decisione - dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio" (Cass. 20582 del 2010). "La nozione di adeguatezza postula un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all'epoca della cessazione della convivenza" (Cass. 24496 del 2006).

Il secondo indice costituito dalla dipendenza dell'inadeguatezza delle condizioni economiche della richiedente dalla cessazione della convivenza coniugale non può essere considerata, come ha mostrato di ritenere il ricorrente, in senso cronologico. Ciò che deve essere accertato, alla luce dei criteri affermati dalla giurisprudenza di legittimità è che tale modifica peggiorativa, rispetto al tenore di vita coniugale, sia intervenuta, a causa dell'inadeguatezza attuale delle condizioni economiche dell'avente diritto, non rilevando, al fine di ritenere reciso il vincolo di solidarietà post coniugale, il tempo trascorso dalla cessazione della convivenza o le scelte individuali, anche di natura economico-patrimoniale degli ex coniugi.

Nella sentenza n. 10210 del 2005, il giudizio di adeguatezza è stato identificato esclusivamente in quello "offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e delle loro disponibilità patrimoniali attuali". Ne consegue che esattamente la Corte d'Appello ha ritenuto che il giudice di primo grado nell'escludere la debenza dell'assegno divorzile aveva fondato la sua valutazione su un giudizio di valore relativo alle scelte di vita della richiedente, invece d'incentrare il proprio esame sul criterio assistenziale fondato sull'obbligo di solidarietà post coniugale (che non soffre limitazioni temporali.

All'interno di questa esatta configurazione ed interpretazione dell'art. 5 i disinvestimenti immobiliari sono stati incensurabilmente giustificati alla luce delle esigenze di vita della richiedente e della propria figlia nel corso degli anni, mentre la valutazione della condizione attuale di squilibrio ed insufficienza economica è stata correttamente fondata sulla natura oggettiva, secondo una valutazione dei fatti accertati incensurabile in sede di legittimità, delle circostanze che, valutate al momento della decisione, hanno determinato l'impossibilità per la M. di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento. Alla stregua di questa corretta applicazione comparativa dei criteri contenuti nel citato art. 5 non possono trovare ingresso le valutazioni relative alla coerenza e alla lungimiranza economica delle decisioni personali, assunte dalla richiedente, in ordine alle proprie scelte lavorative.

Coerentemente con queste premesse anche la convivenza more uxorio, peraltro definitivamente cessata, risulta priva di rilievo in ordine al riconoscimento del diritto all'assegno.

E' stato infatti costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità che "il diritto all'assegno di divorzio non può essere automaticamente negato perchè il titolare di esso abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona, influendo tali, convivenza solo sulla misura dell'assegno" (Cass. 24056 del 2006), salvo che il tenore di vita goduto in virtù di tale convivenza, al momento dell'accertamento dell'esistenza del diritto sia coerente con quello relativo alla convivenza coniugale e, comunque, anche in tale ipotesi con la possibilità di far rivivere l'obbligo solidale ove la nuova situazione venga a cessare (Cass. 17195 del 2011; 3923 del 2012). Analogamente ininfluenti rispetto all'attribuzione dell'assegno devono ritenersi gli accordi o i comportamenti concludenti pregressi, incluse rinunce alla contribuzione o altre forme di acquiescenza (assunti in sede dì separazione o consolidati nel tempo in via di fatto) al fine di valutare l'inadeguatezza attuale delle condizioni dei divorziandi (Cass. 25010 del 2007; 1758 del 2008; 5140 del 2011). Anche tale motivo deve, in conclusione ritenersi infondato.

In conclusione il ricorso deve essere respinto con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento che liquida in Euro 2200 di cui Euro 2000 per compensi oltre accessori di legge, da distrarsi in favore dell'avv. Mainetti, antistatario.

A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2013

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