Per la tutela dei crediti condominiali ammissibile la revocatoria ordinaria

Con l'ordinanza n. 21257/2019 la Corte di Cassazione si pronuncia in merito alla ammissibilità dell'azione revocatoria ordinaria a tutela dei crediti condominiali, anche nel caso in cui la pretesa del Condominio sia stata azionata in un giudizio autonomo, non ancora definito.

Martedi 3 Settembre 2019

Il caso: Il Condominio I G. adiva il tribunale, esponendo di esser creditore della società Te.. s.r.l. per il pagamento delle quote condominiali relative all'esecuzione di lavori allo stabile comune; che la pretesa era stata azionata in un autonomo giudizio, non ancora definito, e che nel frattempo la società debitrice aveva ceduto taluni immobili ad altra società, ponendo a rischio il soddisfacimento della pretesa.

Chiedeva quindi la revoca del rogito di vendita ex art. 2901 c.c.; il Tribunale dichiarava l'inefficacia della vendita, mentre l'appello proposto dalle società soccombenti veniva dichiarato inammissibile in quanto i motivi di impugnazione erano "generici ed inconsistenti”.

Per la Corte territoriale, infatti, i motivi dell'impugnazione non avevano confutato adeguatamente e esaustivamente le argomentazioni, come qui di seguito evidenziate, contenute nella sentenza di primo grado:

a) ai fini della revocatoria è sufficiente la sussistenza di una ragione di credito ancorché litigiosa;

b) la cessione si è perfezionata allorquando era già sorto il credito vantato dal Condominio, e quindi, ai fini della revocatoria, non sono necessari né il consilium fraudis, né la partecipazione o la conoscenza dell'intento fraudolento del cedente, ma la mera scientia damni;

c) la dismissione di un bene immobile è di per sé lesivo della garanzia patrimoniale, essendo il ricavato della vendita più difficilmente aggredibile dai creditori;

d) essendo l'atto dispositivo successivo al sorgere del credito, è sufficiente la mera scientia damni, e non è necessario il perseguimento di un intento fraudolento da parte della venditrice.

Entrambe le società ricorrono in Cassazione, che rigetta il ricorso, ritenendo la pronuncia di inammissibilità dell'appello incensurabile, “...risultando evidente la carenza di qualsivoglia sviluppo argomentativo e di effettiva pertinenza delle ragioni di doglianza proposte dalle appellanti, in contrapposizione con le motivazioni della sentenza di primo grado”: il ricorso si limita a sintetizzare le due questioni proposte in sede di impugnazione, senza riportarne più analiticamente il contenuto e senza minimamente argomentare le ragioni di dissenso sollevate in sede di legittimità.

Esito: rigetto con condanna alle spese

Allegato:

Cassazione civile ordinanza n.21257/2019

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