Esteso anche ai rapporti familiari di “mero fatto”, il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p.

Venerdi 11 Dicembre 2020

“L'art. 572 c.p., è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale”.

Confermando l'orientamento già delineato, da ultimo, nella sentenza n. 19922/2019, nella quale la Suprema Corte ha chiarito che l'articolo 572 c. p. è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio ma a qualunque relazione familiare, nella sentenza n. 34086, depositata il primo dicembre scorso, la Sesta Sezione Penale, ribadisce il principio, estendendo anche ai rapporti familiari di “mero fatto”, il reato di maltrattamenti di cui all'articolo citato.

Nel caso di specie, il Tribunale di Bari riformava l'ordinanza del Gip, con la quale si faceva divieto, all'indagato, di avvicinarsi ai luoghi frequentati abitualmente dalla persona offesa e di comunicare con la stessa, in relazione al reato di cui agli artt., 572 c.p., (oltre che dei reati di cui all'art. 62 c.p., n. 2 e artt., 56 e 610 c.p., art., 81 c.p., comma 2, art., 582 e 585, descritti nelle imputazioni provvisorie).

Contro la predetta pronuncia la difesa dell'agente proponeva ricorso per Cassazione, deducendo l'erronea applicazione dell'articolo 572 c.p., perchè tra le parti, all'epoca dei fatti, non vi era alcun rapporto stabile di convivenza ma solo una relazione sentimentale circoscritta alla consumazione di rapporti sessuali, all'interno di un alloggio destinato ad incontri fugaci mai sfociati in alcun tipo di relazione stabile. Con il secondo motivo, si evidenziava il mancato riscontro delle percosse subite dalla donna, in assenza di idonea documentazione medica. Riguardo quest'ultimo motivo, a parere della Corte, il rilievo della difesa è errato in quanto le dichiarazioni della donna, riguardo le percosse subite e le consequenziali lesioni riportate, sono state ampiamente riscontrate sia in riferimento alle dichiarazioni rilasciate alla Polizia giudiziaria, intervenuta nell'imminenza del fatto, sia nelle certificazioni del Pronto Soccorso, dalle quali si evince la presenza di segni di percosse con ematomi alle gambe, alle braccia, alla testa oltre che dai referti medici attestanti persistenti stati d'ansia in capo alla vittima. La Corte, dunque, rigetta questo secondo motivo.

In riferimento al primo, invece, lo considera fondato e ciò in quanto nella relazione intercorsa tra agente e vittima mancano “le condizioni di una assistenza materiale e morale reciproca”.

Nella sentenza si evidenzia a più riprese che il reato di cui all'articolo 572 c.p., presuppone una relazione espressione di un “rapporto stabile di affidamento e solidarietà, per cui le aggressioni che il soggetto attivo compie – sul fisico e sulla psiche del soggetto passivo- ledono la dignità della persona infrangendo un rapporto che dovrebbe essere ispirato a fiducia e condivisione”. Sulla base di questo assunto, il reato di maltrattamenti può configurarsi anche all'interno di nuclei familiari non fondati sul matrimonio, come in un rapporto “di mero fatto”, il quale presenti le peculiarità tipiche della famiglia o della convivenza abituale, per via dell'intimità e delle consuetudini di vita intercorrenti tra le parti od anche nel caso di persone unite da relazione sentimentale che comporti una frequentazione regolare dell'abitazione, da cui sorgano sentimenti di solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale.

Nel caso di specie, per la Cassazione, il Tribunale aveva erroneamente attribuito il carattere della stabilità alla relazione tra persona offesa ed indagato, perchè quest'ultimo, all'epoca della frequentazione, aveva preso in locazione un appartamento per gli incontri con la donna. In realtà, secondo la Corte, l'agente non aveva mai coabitato né convissuto con questa, anche perchè legato da vincolo matrimoniale con altra persona. Sulla base di questa constatazione, dunque, non poteva di certo concretizzarsi quel “progetto di vita fondato su reciproca solidarietà ed assistenza”, richiesto per la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia o contro conviventi. Per tale ragione, la Corte ha annullato, senza rinvio, l'ordinanza impugnata e dichiarato cessata la misura cautelare prescritta dal Gip.

Allegato:

Pagina generata in 0.044 secondi