E siamo ancora qua. A raccontare di quella barbarie rappresentata dell’amputazione di orecchie e code in danno di cani che, stando alla sentenza della Cassazione in commento (Cass. pen., Sez. III, sent. n.14951/2024), pare ancora di preoccupante contemporaneità.
Lunedi 13 Maggio 2024 |
Chiariamo subito come stanno le cose sotto il profilo normativo.
La legge n. 201/ 2010 (che ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa del 1987 per la protezione degli animali da compagnia) vieta - se non per comprovate ragioni di medicina veterinaria - il taglio della coda, delle orecchie, la recisione delle corde vocali, l’asportazione delle unghie e dei denti. Violare questo divieto significa commettere il reato di maltrattamento di animali. Lo prevede l’art. 544 ter del codice penale.
Chiarito questo, proviamo a domandarci quali possano essere le ragioni che (evidentemente) continuano a indurre le persone a richiedere queste torture sui cani che, ma guarda un pò, dichiarano di amare. Perchè taluni commissionano e talaltri accettano di compiere simili nefandezze? Porcherie a volte giustificate da una inconcepibile scriminante riconducibile ad una attività venatoria o sportiva che giustificherebbe tali mutilazioni?
Ragioni non ve ne sono, anzi non ve ne possono essere. Proviamo a fare arrabbiare qualcuno dicendo come la vedo io. E credo che come la vedo io la vedano in tanti. Per alcuni il cane è un “qualcosa” che soddisfa un proprio interesse o almeno lo soddisfa in modo prevalente. E questi alcuni sono quelli che rivendichino la senzienza come anche un loro riconoscimento diverso da quello di res all’interno delle codice civile. L’interesse soddisfatto assume diverse declinazioni e tra queste una molto pericolosa che richiama gli standard di determinate razze. Eppure oggi abbiamo a disposizione conoscenze etologiche che ci dovrebbero fare comprendere che taluni comportamenti non dovrebbero più essere reiterati.
Evidentemente non riusciamo ancora a convincerci che gli animali tutti meritano rispetto e attenzione così da evitare ogni forma di crudeltà nei loro confronti. Come è possibile che si ignori che orecchie e coda siano fondamentali mezzi di comunicazione del nostro cane il quale esprime e manifesta ciò che prova? A coloro che ambiscono a tali forme di maltrattamento suggerisco di parlare con un veterinario serio. Ne conosco tanti. Vi spiegherà quanto doloroso e pericoloso sia un intervento di questo tipo. Soprattutto quanto sia sconsiderato. Da un punto di vista del benessere e della salute del cane.
A proposito di veterinari due parole sulla sentenza recentissima della Cassazione penale (n.14951/2024).
Un veterinario viene condannato in primo e secondo grado perché senza necessità ha cagionato lesioni ad un cucciolo di razza American Bully sottoponendolo al taglio delle orecchie. La (brutta) vicenda arriva in Cassazione.
La versione offerta dal veterinario è quella per cui avendo nel corso di una visita riscontrato sul cane una ferita alla testa dovuta al morso di un altro cane, aveva necessariamente dovuto recidere l'orecchio interessato dalla ferita e a tagliare anche l'altro orecchio per mantenere l'aspetto estetico e salvaguardarne il benessere. Motivo per il quale, a dire della difesa del veterinario, non si poteva certo configurare alcuna violazione di legge (il riferimento come detto è all’art. 10 della Convenzione del Consiglio d'Europa del 1987, per la protezione degli animali da compagnia, ratificata in Italia dalla legge 4 novembre 2010, n. 201).
La Cassazione confermerà la condanna. Il ragionamento è il seguente. Relativamente al taglio dell'orecchio interessato dal morso il veterinario si sarebbe limitato a prospettare solo la necessità della totale asportazione non supportando tale deduzione con alcuna descrizione della lesione che avrebbe consentito di apprezzarne entità e dimensione e, dunque, la inevitabilità dell'asportazione totale. In mancanza di tali elementi necessari per valutare l'operato complessivo del medico veterinario, correttamente la Corte d'appello avrebbe confermato la sentenza di condanna di primo grado. Prescindendo dalla vicenda specifica, l’argomentazione della Corte di Cassazione ha credo un pregio riferibile alle modalità (qui contestate) di esercizio della professione veterinaria anche con specifico riferimento al tema del consenso informato.