La Corte d’Appello di Roma, Sezione Persona, famiglia, minorenni e protezione Internazionale, ha sospeso ancora una volta il giudizio di convalida dei trattenimenti dei 43 migranti portati in Albania nel centro di Gjader.
Mercoledi 5 Febbraio 2025 |
La Corte, inoltre, ha deciso di rimettere gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ponendo un quesito pregiudiziale:
“Se il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, gli articoli 36, 37 e 46 della Direttiva 2013/32/Ue, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che un Paese terzo sia definito di origine sicuro qualora, in tale Paese, vi siano una o più categorie di persone per le quali non siano soddisfatte le condizioni sostanziali di tale designazione, enunciate nell’allegato I della Direttiva”.
I precedenti trasferimenti di migranti in Albania organizzati dal Governo, ad ottobre e a novembre 2024 erano stati vanificati dalle decisioni dei magistrati della sezione immigrazione del Tribunale di Roma, che non aveva convalidato i trattenimenti disposti dalla Questura della Capitale.
La prima pronuncia risale al 18 ottobre, la seconda decisione è dell’11 novembre. Rispetto al primo caso, il Governo aveva nel frattempo emanato un decreto per definire la nuova lista di “Paesi sicuri”per il rimpatrio.
Il provvedimento non era tuttavia servito ad evitare un esito diverso del giudizio. I magistrati, infatti, hanno sospeso il giudizio sulla convalida del trattenimento rimettendo lla decisione alla Corte di Giustizia Europea, come accaduto con l’ultima decisione della Corte di Appello di Roma, divenuta competente in materia con lo stesso Decreto, approvato dal Parlamento e divenuto una Legge dello Stato.
Inoltre, come hanno sottolineato in questi giorni alcuni analisti, il Governo poteva evitare di inviare i Migranti in Albania in attesa della decisione della CGUE, già chiamata a pronunciarsi sulla stessa questione e che si riunirà il 25 febbraio, benché la decisione sia attesa nei mesi successivi.
La Presidente del Consiglio ha puntato tutto sul “modello albanese”, anche sapendo che le probabilità di ottenere un giudizio favorevole erano scarse ritenendo che le scelte del Governo funzionassero e divengano un modello adottato dell’Unione Europea.
Alcuni commentatori politici, invece, hanno puntato sulle controverse decisioni dei Magistrati per far valere le proprie ragioni di opposizione, aumentando la confusione di ruoli e responsabilità in danno delle Vittime della Tratta e dei Diritti Umani violati sin dall’esodo da vari Paesi definiti “sicuri”, a cui assistiamo ogni giorno, e ad una Legge varata in fretta dal Governo alla luce dell’asilo politico negato ai richiedenti.
In ogni caso, si tratta di applicare norme che tutelano i diritti umani, i diritti fondamentali di ogni individuo e delle persone comunque coinvolte nella Tratta per svariate ragioni su cui non vale neppure la pena soffermarsi in questa sede.
Sta di fatto che quasi tutti gli asylanter hanno subito torture in Libia e quindi non potevano, secondo lo stesso protocollo firmato tra Italia e Albania, essere sottoposti alla procedura accelerata prevista per valutare la richiesta d’asilo avanzata, in quanto soggetti vulnerabili.
Pertanto, nessuno di loro ha potuto parlare con un legale prima di essere ascoltato dalla Commissione per l’asilo e così tutti si sono visti respingere in pochi minuti la loro domanda, per una presunta “manifesta infondatezza”che, evidentemente, deve essere stata valutata senza discernere e senza ascoltare le ragioni di ciscuno dei richiedenti l’asilo.
In conseguenza le convalide si sono svolte in tempi e con modi che non hanno nulla a che vedere con le garanzie previste dalla nostra Costituzione e dalle Leggi emanate.
Gli avvocati d’ufficio, che avrebbero dovuto tutelare le persone sottoposte al trattenimento, hanno potuto incontrare i Migranti detenuti in Albania solo durante le udienze di convalida.
Eppure, nonostante le ripetute e prevedibili bocciature, l’orrore delle migrazioni forzate al quale ci tocca assistere va avanti e non è più tollerabile sul piano della mera tutela dei diritti violati ab origine, a fondamento delle ragioni dell’esiodo dai Paesi d’origine.
Secondo i commenti della Stampa, per il Governo non servirebbe aspettare la decisione della Corte di Giustizia UE perché “non saareebbe stata rispettata una recente decisione della Cassazione, in virtù della quale competerebbe al Governo individuare i Paesi ”sicuri”.
Senza entrare nell’agone politico, é, quindi, necessario, sul piano meramente giuridico, fare chiarezza su una polemica che finisce per travolgere le Vittime della Tratta e i richiedenti asilo del tutto inconsapevoli di quanto sta accadendo sulla loro pelle.
I chiarimenti della Cassazione
La Suprema Corte è intervenuta sul potere del Giudice ordinario di valutare la sicurezza del Paese di origine dello straniero in base alla normativa anteriore al D.L.23/10/2024, n.158 («Disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale») ed alla Legge. 9/12/2024, n. 187 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L.n.145/2024, Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, etc).
La Cassazione ha stabilito, in maniera palmare, che il Giudice Ordinario. se investito di un ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale di richiedente che provenga da Paese designato come “sicuro”, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all'art.37 della Direttiva 2013/32/UE del 26 giugno 2013, che concerne le procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, se sussistono i presupposti di legittimità di detta designazione ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il D.M recante la lista dei Paesi di origine sicuri per il rimpatrio (secondo la disciplina ratione tempo ris vigente), allorché la designazione operata dall'Autorità Governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla Normativa Europea o Nazionale.
Inoltre, a garanzia dell'effettività del ricorso e della tutela, il Giudice conserva l'istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l'insicurezza nelle circostanze specifiche in cui lo stesso si trova ( Cass, Sez I Civ, Sentenza 19/12/2024, n. 33398)
In quest'ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del Paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del D.M. iin questione (V.anche Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 11399/2024 e Ordinanza. n.15601/2023).
Da ciò deriverebbe comunque, la assoluta inconsistenza della disputa in corso sui c.d. “Paesi Sicuri”alla luce del necessario esame della situazione personale del richiedente asilo, da valutarsi caso per caso e non in base al Paese di provenienza del richiedente asilo.
Occorre sottolineare che la decisione innanzi citata della Suprema Corte riguardava il rigetto, da parte della Commissione territoriale competente, di una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un Paese terzo (la Tunisia) inserito nell’elenco dei Paesi di origine sicuri, anche se non sono mancati, in passato, accoglimento di richieste derìvanti da tendenze sessuali non tollerate da alcuni Paesi e all’origine di pesanti condanne.
Secondo la stessa sentenza spetta, tuttavia, “al Governo la scelta politica di prevedere, in conformità con la normativa della UE, un regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da Paesi di origine designati come “sicuri”.
In conseguenza, secondo la Corte, il Giudice “non può sostituirsi al Ministro degli Affari esteri” né “può annullare con effetti erga omnes il Decreto Ministeriale” che individua i Paesi sicuri ai quali rispedire i richiedenti asilo.
Nondimeno, ed è questo il punto essenziale della decisione, “il Giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della Direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale elencazione e disapplicare, in via incidentale il D.M. recante la lista dei Paesi di origine sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’Autorità Governativa contrasti in modo manifesto con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale”.
Si legge inoltre nella pronuncia di Piazza Cavour che “a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova.
In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del Paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale”.
La decisione, va ribadito, si riferiva a una decisione emessa prima dell’approvazione del D.L “Paesi sicuri” e del D.L “Flussi”, innanzi ricordati, che tante polemiche e scontri fra Magistratura e politica hanno suscitato per ragioni che risultano difficili da comprendere anche in base alla decisione della Suprema Corte, innanzi commentata, e tanto meno la necessità di ricorrere ad una decisione della CGUE sullo stesso argomento poiché svilirebbe l’autorevolezza del Giudice delle Leggi.
A tanto aggiungasi è stata pubblicata un’altra sentenza delle S.UU. dellla Cassazione a SS UU n.935 del 15 Gennaio 2025, relativa all’applicazione della clausola discrezionale prevista dall’articolo 17 del Regolamento UE 604/2013, noto come Regolamento Dublino III.
Questo regolamento stabilisce i criteri e i meccanismi per individuare lo Stato membro competente a esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da cittadini di Paesi terzi o apolidi.
Invero, il Tribunale di Firenze aveva accolto il ricorso di un richiedente asilo ritenendo che il suo rimpatrio avrebbe potuto violare il principio di non-refoulement, previsto dall’art.4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
In particolare, aveva rilevato che l’Italia avrebbe dovuto esercitare la clausola discrezionale dell’art.17 per garantire una maggiore tutela dei diritti fondamentali del richiedente asilo.
Il ricorso sottoposto all’esame della Cassazione ha sollevato, invero, molti interrogativi di particolare rilievo sulla Protezione Internazionale.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che l’esercizio della clausola discrezionale è una facoltà dello Stato membro della UE e non un obbligo.
Tuttavia, l’omesso utilizzo della clausola può essere sindacato dal Giudice per verificare eventuali violazioni dei diritti fondamentali garantiti al richiedente.
La Corte ha esaminato la possibilità di un’interferenza tra il sistema di protezione nazionale italiano e le disposizioni del Regolamento Dublino III ed ha ribadito che, in casi eccezionali, il diritto costituzionale all’asilo, sancito dall’art.10 della Costituzione, può giustificare l’applicazione della clausola discrezionale che può essere utilizzata per tutelare situazioni di particolare vulnerabilità del richiedente asilo.
Sul punto, la Corte ha evidenziato che la sua applicazione deve essere circoscritta a casi eccezionali in cui sia comprovato il rischio di trattamenti inumani o degradanti nello Stato d’origine.
Inoltre, la Corte ha affermato che l’Italia può derogare alle disposizioni ordinarie del Regolamento per garantire standard di protezione più elevati, in linea con i propri obblighi costituzionali e internazionali.
Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, accogliendo il ricorso del Ministero dell’Interno, hanno, quindi, affermato un principio di diritto, in conformità della sentenza della CGUE del 30/11/2023, che pone limiti ben precisi nella valutazione del rischio di violazione del principio di “non refoulement” da parte del Giudice nazionale.
La decisione della Corte Europea è inequivoca nel negare ai Giudici degli Stati membri il potere di sindacare l’esercizio della clausola discrezionale dell’art.17 del Regolamento Dublino III da parte dell’Autorità competente del loro Stato allo scopo di tutelare il richiedente asilo dal rischio di refoulement indiretto, sul presupposto di una diversa valutazione dei rischi connessi al rimpatrio nel Paese di provenienza, come è accaduto in relazione al c.d. Paesi sicuri.
Del resto, prosegue la decisione delle SS UU, il riconoscimento della protezione internazionale nei Paesi dell’Unione è basato su un sistema comune di asilo (art. 78 T.F.U.E.), che postula un principio generale di reciproca fiducia tra i sistemi di asilo nazionali e il mutuo riconoscimento delle decisioni emesse dalle singole Autorità nazionali, che si fonda su di un sistema comune di valori e di regole che li incarnano e che tutti gli Stati membri sono chiamati a rispettare.
La Cassazione, nell”ampia decisione, ricorda tutti i principi emanati dai Giudici europei, affermando che il provvedimento di Firenze non è allineato agli stessi.
Il Tribunale, infatti, senza accertare alcuna forma di carenza nel sistema di esame delle domande e di accoglienza, si è avvalso della clausola di discrezionalità, per formulare proprio quella valutazione che il Diritto europeo non consente: ossia delibare un rischio di respingimento indiretto in un Paese di origine (il Pakistan) sulla base di una differente valutazione del livello di protezione di cui può beneficiare colà il richiedente, ignorando la regola della fiducia reciproca e la soggezione di tutti i Paesi membri al principio di non-respingimento .
Come chiarito dalla sentenza della CGUE contro il “Ministero dell’Interno” del 30.11.2023, la Cassazione ricorda che, in ordine alla clausola discrezionale, ha ribadito la natura facoltativa della clausola discrezionale e ha ripetuto che spetta allo Stato membro interessato determinare le circostanze in cui intende far uso della facoltà conferita ed ha precisato che il Giudice dello Stato membro non può obbligare lo Stato membro ad applicare la clausola discrezionale per il motivo che esisterebbe, nello Stato membro richiesto, un rischio di violazione del principio di non-refoulement.
Pertanto, anche la sentenza della CGUE esclude che il Giudice dello Stato membro possa imporre al suo Stato l’impiego della clausola discrezionale per scongiurare il rischio di non-refoulement che, a suo parere, si delineerebbe nello Stato destina tario del trasferimento e ciò perché siffatta decisione infrangerebbe il fonda mentale principio di collaborazione reciproca fra gli Stati interessati.
Per queste ragioni il Decreto impugnato è stato cassato con rinvio della causa al Tribunale di Firenze che si atterrà al seguente principio di diritto:
“Nel procedimento di impugnazione delle decisioni di trasferimento dei richiedenti asilo (ex art.27 del Regolamento UE n. 604 del 26.6.2013, nonché ex art.3 del d.lgs. 28.1.2008 n.25, e s.m.i. e ex art.3, lettera e-bis del d.l. 17.2.2017 n. 13, convertito con modifiche in legge 13.4.2017 n. 46), il Giudice adito non può esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di una violazione del principio di non-refoulement al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento verso tale Stato o in conseguenza di questo, sulla base di divergenze di opinioni in relazione all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale, a meno che non constati l’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”.
E’ evidente che tale principio può trovare applicazione anche nel c.d. Modello Albania, atteso, comunque, che la gestione dei richiedenti asilo e la contestata procedura accelerata per il riconoscimento del diritto avviene nel Centro di accoglienza istituito con un Trattato tra l’Italia ed Albania e gestito direttamente dalle Autorità Italiane.
Il nuovo Regolamento UE
Infine, il nuovo Regolamento UE 1348/2024 del 14 maggio 2024 stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la Direttiva 2013/32/UE introducendo alcuni principi essenziali ai quali è impossibile derogare.
Ciascuno Stato membro designa un’autorità competente per la registrazione delle domande di protezione internazionale.
L’autorità accertante è l’unica autorità che ha la facoltà di decidere, nel corso della procedura amministrativa, riguardo all’ammissibilità e al merito di una domanda di protezione internazionale.
In caso di respingimento della domanda e di rimpatrio del richiedente il Regola mento UE definisce i criteri di “Paese sicuro” come segue
Articolo 61 Concetto di paese di origine sicuro
1.Un paese terzo può essere designato paese di origine sicuro a norma del presente regolamento soltanto se, sulla base della situazione giuridica, dell’appli cazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono persecuzioni quali definite all’articolo 9 del regolamento (UE) 2024/1347, né alcun rischio reale di danno grave quale definito all’articolo 15 di tale regolamento.
2. La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili.
3. La valutazione volta a stabilire se un paese terzo sia un paese di origine sicuro a norma del presente regolamento si basa su una serie di fonti d’informazione pertinenti e disponibili, compresi gli Stati membri, l’Agenzia per l’asilo, il servizio europeo per l’azione esterna, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e altre organizzazioni internazionali pertinenti e tiene conto, se disponibile, dell’analisi comune delle informazioni sui paesi di origine di cui all’articolo 11 del regolamento (UE) 2021/2303.
4. Per effettuare la valutazione di cui al paragrafo 3 si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui è
offerta protezione contro le persecuzioni e il danno grave mediante:
a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese e il modo in cui sono applicate;
b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici o nella convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea;
c) l’assenza di espulsione, allontanamento o estradizione di propri cittadini verso paesi terzi in cui, tra l’altro, sarebbero esposti al grave rischio di essere sottoposti alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, ovvero in cui la loro vita o libertà sarebbero minacciate a motivo della razza, della religione, della nazionalità, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche o ancora in cui sarebbero esposti al grave rischio di espulsione, allontanamento o estradizione verso un altro paese terzo;
d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà.
5. Si può applicare il concetto di paese di origine sicuro solo a condizione che:
a) il richiedente abbia la cittadinanza di quel paese oppure sia un apolide che in precedenza aveva dimora abituale in quel paese;
b) il richiedente non appartenga a una categoria di persone per le quali è stata fatta un’eccezione al momento di designare il paese terzo come paese di origine sicuro;
c) il richiedente non possa fornire elementi che giustifichino il motivo per cui il concetto di paese di origine sicuro non è applicabile nei suoi confronti, nel quadro di una valutazione individuale.
Articolo 62 Designazione dei Paesi di origine sicuri a livello dell’Unione
1. I paesi terzi sono designati paesi di origine sicuri a livello dell’Unione in base alle condizioni previste all’articolo 61.
2. La Commissione riesamina la situazione nei paesi terzi designati paesi di origine sicuri, assistita dall’Agenzia per l’asilo e sulla base delle altre fonti d’infor mazione di cui all’articolo 61, paragrafo 3.
3. L’Agenzia per l’asilo fornisce alla Commissione, su richiesta di quest’ultima, informazioni e analisi su specifici paesi terzi di cui si potrebbe valutare la designazione come paesi di origine sicuri a livello dell’Unione. La Commissione esamina tempestivamente qualsiasi richiesta di uno Stato membro di valutare se un paese terzo possa essere designato paese di origine sicuro a livello dell’Unione.
4. Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 74 riguardo alla sospensione, alle condizioni previste all’articolo 63, della designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello dell’Unione.
Articolo 63 Sospensione e revoca della designazione di un paese terzo come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione
1. In caso di cambiamento significativo della situazione in un paese terzo designato paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione, la Commissione esegue una valutazione circostanziata del rispetto da parte di tale paese terzo delle condizioni di cui, rispettivamente, all’articolo 59 o 61 e, se ritiene che tali condizioni non siano più soddisfatte, adotta un atto delegato conformemente all’articolo 74 per sospendere, per un periodo di sei mesi, la designazione di tale paese terzo come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione.
2. La Commissione riesamina costantemente la situazione nel paese terzo di cui al paragrafo 1 tenendo conto, tra l’altro, delle informazioni comunicate dagli Stati membri e dall’Agenzia per l’asilo relativamente all’ulteriore evoluzione della situazione di tale paese terzo.
3. La Commissione, se ha adottato a norma del paragrafo 1 un atto delegato che ha sospeso la designazione di un paese terzo come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione, presenta con procedura legislativa ordinaria, entro tre mesi dalla data di adozione di detto atto delegato, una proposta di modifica del presente regolamento volta a revocare al paese terzo la designazione di paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione.
4. L’atto delegato che ha sospeso la designazione di un paese terzo come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione cessa di produrre effetti se la Commissione non presenta la proposta di cui al paragrafo 3 entro tre mesi dall’adozione dell’atto delegato di cui al paragrafo 1. Se la Commissione presenta detta proposta entro il termine di tre mesi dall’adozione dell’atto delegato di cui al paragrafo 1, è conferito alla Commissione, sulla scorta di una valutazione circostanziata, il potere di prorogare la validità dell’atto delegato per un periodo di sei mesi, rinnovabile una sola volta.
5. Fatto salvo il paragrafo 4, qualora la proposta presentata dalla Commissione per revocare al paese terzo la designazione di paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione non sia adottata entro quindici mesi dalla presentazione della proposta da parte della Commissione, la sospensione della designazione del paese terzo come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione cessa di produrre effetti.
Articolo 64 Designazione di paesi terzi come paesi terzi sicuri o paesi di origine sicuri a livello nazionale
1.Gli Stati membri possono mantenere in vigore o introdurre una normativa che, ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, consente di designare a livello nazionale paesi terzi sicuri o paesi di origine sicuri diversi da quelli designati a livello dell’Unione
2. Gli Stati membri non designano paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello nazionale il paese terzo nei cui confronti è stata decretata, a norma dell’articolo 63, paragrafo 1, la sospensione della designazione come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione.
3. Qualora, con procedura legislativa ordinaria, sia stata sospesa la designazione di un paese terzo come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione, uno Stato membro può notificare alla Commissione di ritenere che, considerata l’evoluzione della situazione, il paese soddisfi nuovamente le condizioni previste, rispettivamente, all’articolo 59, paragrafo 1, e all’articolo 61.
La notifica include una valutazione circostanziata del soddisfacimento delle condizioni previste, rispettivamente, all’articolo 59, paragrafo 1, e all’articolo 61 da parte del paese, corredata dell’illustrazione della specifica evoluzione che permette a tale paese di soddisfare nuovamente dette condizioni.
A seguito della notifica, la Commissione chiede all’Agenzia per l’asilo di fornirle informazioni e analisi sulla situazione nel paese terzo.
Lo Stato membro notificante può designare il paese terzo paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello nazionale soltanto se la Commissione non vi si oppone.
Il diritto della Commissione di sollevare obiezioni è limitato a un periodo di due anni a decorrere dalla data in cui è revocata la designazione di tale paese terzo come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione. Eventuali obiezioni della Commissione sono formulate entro un termine di tre mesi dalla data di ciascuna notifica da parte dello Stato membro e dopo il debito riesame della situazione in tale paese terzo, tenuto conto delle condizioni di cui all’articolo 59, paragrafo 1, e all’articolo 61 del presente regolamento.
Se reputa che siano soddisfatte le necessarie condizioni, la Commissione può presentare, con procedura legislativa ordinaria, una proposta di modifica del presente regolamento al fine di designare tale paese terzo come paese terzo sicuro o paese di origine sicuro a livello dell’Unione.
4. Gli Stati membri notificano alla Commissione e all’Agenzia per l’asilo, entro il 12 giugno 2026 e immediatamente dopo ogni designazione o cambiamento relativo alle designazioni, i paesi terzi che sono stati designati paesi terzi sicuri o paesi di origine sicuri a livello nazionale. A cadenza annuale gli Stati membri informano la Commissione e l’Agenzia per l’asilo degli altri paesi terzi sicuri per i quali il concetto è applicato in relazione a determinati richiedenti di cui all’articolo 59, paragrafo 4, lettera b).
Con buona pace per chi ritiene le regole internazionali in materia siano derogabili nei Giudizi dinanzi ai Tribunali nazionali.