La Consulta con la sentenza del 20 Giugno 2025n.83 ha dichiarato incostituzionale l'art.583-quinquies C.P., che punisce il delitto di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, perché il trattamento sanzionatorio previsto dalla norma sarebbe oltremodo rigido in presenza di lesioni lievi e rischia di violare la finalità rieducativa della pena.
Giovedi 26 Giugno 2025 |
Pertanto, la norma in questione, nella sua attuale formulazione, sarebbe in palese contrasto con gli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, della Costituzione.
Va ricordato che tale norma venne introdotta dall'art. 12, comma 1, della Legge. 19 luglio 2019, n. 69 del c.d. Codice Rosso, ma la stessa, tuttavia,
1) non prevede che la pena da esso comminata, per il delitto di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, è diminuita in misura non eccedente un terzo quando, per la natura, la specie, i mezzi, le moda lità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;
2) dispone che la condanna o il "patteggiamento" per il medesimo delitto «comporta l'interdizione perpetua», anziché «può comportare l'interdizione», da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all'amministrazione di sostegno.
Dai primi commenti all'importante decisione emerge che la stessa non passerà inosservata per chi ha promosso e sostenuto la norma che ha introdotto il reato di “deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” sulla scia dei casi di cronaca in cui, proprio questa condotta, è divenuta ormai ricorrente nei casi di violenza contro le donne.
In particolare, il primo comma dell’articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Consulta“nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata, reclusione da 8 a 14 anni, sia diminuita, in misura non eccedente un terzo, quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”.
Il secondo comma dello stesso articolo, spiegano i Giudici della Consulta, “è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce che la condanna o il patteggiamento per il reato in questione comporta l’interdizione automatica e perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’ammini strazione di sostegno, anziché prevedere che tale pena accessoria sia applicabile facoltativamente dal giudice, in base agli ordinari criteri discrezionali e nel rispetto del limite legale di durata massima di 10 anni”.
Secondo la Corte, che ha accolto tutte le censure sollevate dai Gup dei Tribunali di Catania, Taranto e di Bergamo, “il carattere eccessivamente rigido del trattamento sanzionatorio disposto dalla norma in scrutinio” viola gli articoli 3 e 27, commi primo e terzo, della Costituzione, quanto ai principi di proporzionalità, individualizzazione e finalità rieducativa della pena”, atteso che “l’inasprimento sanzionatorio operato dal legislatore con la trasformazione dello sfregio e della deformazione del viso da circostanze aggravanti del reato di lesione a fattispecie delittuosa autonoma, corrisponde a una valida ratio di tutela della persona, attesa la dimensione relazionale e identitaria del volto di ciascuno”. “
Tuttavia, richiamata la propria giurisprudenza sulla necessità costituzionale di una soluzione di ripiego, che consenta al Giudice che procede di moderare l’applicazione di pene edittali di notevole asprezza, la Corte ha ritenuto che la stessa necessità si ponga per il nuovo titolo di reato, la cui ampiezza descrittiva è in grado di abbracciare anche lesioni relativamente modeste, talora procurate in contesti di aggressività minore e occasionale, e senza dolo intenzionale, come dimostrato dalla varietà delle imputazioni nei giudizi alla base delle Ordinanze di rimessione dei Gup”.
In effetti, nel caso di Taranto, ad es., si fa riferimento ad “una cicatrice chirurgica irreversibile, sotto la palpebra dell’occhio destro, lunga cinque-sei centimetri e larga un millimetro” come oppure la vicenda di Bergamo riguarda “uno sfregio permanente del viso “privo di efficacia deformante”“, mentre il Gup di Catania sottolinea la mancata distinzione nella norma tra il primo tipo di lesione (deformazione) ed il secondo (sfregio).
Prima del Codice Rosso, che ha istituito una fattispecie autonoma di reato, lo sfregio permanente del viso integrava la circostanza aggravante del reato di lesione personale, per la quale, era prevista la pena della reclusione da sei a dodici anni.
Per contro, secondo la Corte, occorre stabilire che “al cospetto di un minimo edittale molto elevato e di una gamma multiforme di condotte punibili, la mancata previsione di un’attenuante comune per i fatti di lieve entità determina il rischio di irrogazione di una pena eccessiva in concreto, quindi insensibile al giudizio sulla personalità del reo e inidonea allo scopo della sua risocializzazione”.
Tale decisione, in definitiva, accoglie le doglianze dei Gup che avevano lamentato un trattamento sanzionatorio non conforme alla gravità della lesione inferta alla Vittima (v.dello stesso Autore, Vittime di sfregio permanente eccepita l’illegitti mità della disciplina, in questa Rivista Febbraio 2025).
In particolare il G.u.p. del Tribunale di Catania, richiamata la differenza, sul piano medico-legale tra lo sfregio e la deformazione, aveva eccepito l’illegittimità della norma in questione in quanto:
-la cornice edittale prevista anche in riferimento alle ipotesi più lievi di causazione violenta di sfregi permanenti al volto appare considerevolmente ed irragionevolmente superiore a quella prevista per fattispecie del tutto omogenee, lesive del bene giuridico dell’integrità psicofisica, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione;
-l’anzidetta cornice edittale appare irragionevolmente pari a quella prevista per la più grave ipotesi di deformazione del volto, prevista dal medesimo art. 583 –quinquies del codice penale;
-alla luce dei principi espressi in Corte costituzionale n. 40/2019, deve ritenersi che una cornice edittale estremamente alta quale quella prevista dall’art. 583-quinquies del codice penale sia intrinsecamente irragionevole, e ciò in quanto essa inevitabilmente comporta che i più lievi fra i fatti appartenenti alla classe di condotte penalmente rilevanti di «causazione violenta di sfregi permanenti al volto» siano puniti con pene che sarebbero idonee a punire fatti appartenenti alla medesima classe di condotte connotati da ben maggiore offensività .
-le irragionevoli disparità di trattamento de quibus appaiono lesive del principio di rieducazione del reo previsto dall’art. 27 Cost., posto che una pena sproporzionata appare inidonea a sortire validi effetti rieducatiivi.
Si legge, nell’ampia ed articolata motivazione dell’Ordinanza di rimessione, che “l’inasprimento del trattamento sanzionatorio è stato indotto dalle tristi e allarmanti vicende di cronaca, caratterizzate dal ricorso nell’ambito della violenza di genere, alla pratica criminosa del c.d.“vitriolage”, meglio noto come acid attack (o acid throwing), consistente nell’aggressione dell vittima mediante un getto di liquidi caustici (come acido solforico, nitrico o cloridri co).principalmente al volto, con l’intento di sfigurare o mutilare permanentemente laittima, procurandole imponenti danni anatomo-funzionali in base alle capacità corrosive degli acidi, suscettibili di provocare irreversibili e gravissime lesioni alle mucose, ai tessuti, alla pelle, e danni quali cecità, ustioni e cicatrici, che determinano un vero e proprio deturpamento del corpo nei punti attinti e, nel caso del viso, quella che è stata definita come la c.d.”morte civile della persona offesa”, a causa dell’incontestabile pregiudizio esistenziale subito dalle vittime appartenenti al genere femminile”..
Secondo il Giudice Catanese, “l’apparente inadeguatezza della fattispecie di lesione personale gravissima rivelata da recenti fenomeni di “vitriolage” sul territorio nazionale, rispetto a condotte ritenute abiette e ripugnanti dalla Comunità e come tali, meritevoli di punizioni esemplari, ha determinato l’introduzione, con la Legge del c.d.“Codice Rosso”, del reato sanzionato dall’art.583-quinquies del C.P., quale equa soluzione di compromesso tra le istanze di tutela delle vittime di condotte generalmente riconducibili alle dinamiche della violenza di genere ed un corretto inquadramento criminologico del fenomeno“.
Tuttavia, afferma il Magistrato, “il consistente innalzamento della pena edittale, accompagnato dalla previsione di pene accessorie fisse e da significative modifiche in tema di Ordinamento penitenziario, con l’inserimento del reato tra quelli di cui all’art.4-bis della legge 26 luglio 1975,n.354,appare non equilibrato rispetto al sistema e certamente non rispettoso del principio di eguaglianza di cui all’art.3 della nostra Costituzione, nella sua duplice articolazione dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza“.
Pertanto, si può affermare, prosegue il Gup Catanese, “che il forte inasprimento sanzionatorio stabilito nel 2019 dal Legislatore con il Codice Rosso, in relazione alle condotte violente causative di sfregi permanenti, abbia comportato manifeste disarmonie nel sotto-sistema normativo composto dalle disposizioni di cui agli articoli 582 e seguenti del C.P..
In particolare una disparità emerge dalle pene edittalil previste dagli articoli 583, secondo comma,583-bis e 583-quinquies del C.P., in relazione a fatti caratterizzati da estrema offensività, come il causare lesioni gravissime sanzionate dall’art.583, secondo comma, mediante la previsione di un’aggravante ad effetto speciale per le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, a titolo di autonoma fattispecie di reato, per cui é prevista la pena minima di 6 anni di reclusione, laddove per fatti di portata offensiva oggettivamente inferiore (sfregi permanenti non particolarmente gravi) per i quali é prevista un’autonoma fattispecie delittuo sa, caratterizzata da una pena minima ingiustificata, superiore al sopra citato limite edittale, ossia 8 anni di reclusione“.
Si aggiunga che simili disparità, per il Magistrato “non appaiono giustificabili alla luce di alcun razionale argomento, né può ritenersi che la necessità di combattere vigorosamente il fenomeno della violenza di genere, giustifichi irragionevoli diver sità di tratta mento sanzionatorio.
A tal proposito, è appena il caso di evidenziare che le due fattispecie di delitto previste dall’art.583-quinquies del codice penale sono applicabili anche a casi non inquadrabili quali ipotesi di gender-based violence, o comunque anche laddove la persona offesa non versi in condizioni di particolare vulnerabilità.
Parimenti, può ritenersi ben poco congruo che il vero e proprio «deturpamento» del volto di un individuo — fatto estremamente invalidante — sia punito con una sanzione minima esattamente pari a quella stabilita per gli sfregi di non partico lare entità offensiva“.
Il danno cagionato alla Vittima emerge in tutta la sua gravità allorquando, ad es, a seguito delle lesioni inflitte, i segni di sutura sono particolarmente visibili;la guancia sinistra presenta un affossamento ben visibile in corrispondenza della cicatrice e tale traccia è decisamente appariscente in quanto collocata al centro del volto tra la mandibola e l’orbita, poiché il segno cagionato da una lama non potrà mai scomparire in modo completo.
La gravità di un fenomeno criminoso e l’allarme sociale destato da ripetute condotte criminose dagli effetti potenzialmente altamente lesivi«non possono e non devono portare all’obliterazione dei fondamentali principi di garanzia previsti dalla Carta costituzionale”.
Una simile, quanto ovvia, considerazione non può che imporre al Giudice di sollevare la questione di costituzionalità innanzi delineata, nella piena convinzione che soltanto un diritto penale intimamente coerente, non connotato da inopinati eccessi sanzionatori (talora peraltro, in concreto inidonei a sortire effettivi e misu rabili effetti general-preventivi o special-preventivi), possa svolgere in maniera adeguata la funzione orientativa, la funzione preventiva e la funzione rieducativa che gli sono proprie».
Altre opinioni sull’argomento
Invero, in passato, non sono mancate decisioni, come quella del Gup di Parma, che hanno affermato la insussistenza della illegittimità costituzionale dell’art.583 quinquies C.P., sollevata dai difensori, per la eccepita violazione degli art. 3 e 27, co. 3, Cost., sotto il profilo dell’aumento sanzionatorio introdotto dalla Legge del c.d.Codice Rosso, ma anche in relazione alla sanzione accessoria della interdizione perpetua con l’inserimento della fattispecie nel novero dei reati menzionati dal comma 1 quinquies dell’art.4 bis della legge n.354/1975.
A sostegno della prima questione ed in linea con quanto previsto dalla giurispru denza costituzionale, a partire dalla sentenza n.236/2016 e confermato dalla sentenza n.40/2019,é stata invocata, nelle eccezioni di legittimità, la violazione dell’art.3 Cost.
Le decisioni conseguenti sulla manifesta infondatezza della eccezione, pur tenendo conto delle critiche sollevate dalla Dottrina al dettato normativo dell’art.583 quinquies C.P., hanno affermato che la sanzione prevista dalla norma non appari va viziata da irragionevolezza intrinseca per mancanza di proporzionalità rispetto alle condotte ad esso riconducibili.
Secondo tale orientamento, il Legislatore del Codice Rosso, nell’ambito della sua discrezionalità, avrebbe non solo mutato la fattispecie aggravata nel reato autono mo di cui all’art. 583 quinquies C.P., ma ne ha incrementato anche i limiti edittali al fine di punire in modo più severo una condotta di particolare disvalore, come quella lesiva dell’estetica del volto della vittima in maniera irreparabile, che non lederebbe solo la sua integrità fisica ma andrebbe oltre, pregiudicando la sua personalità e la sua dignità come persona.
La condotta lesiva, dunque, finirebbe per incidere sull’immagine della vittima, poi ché essa rappresenta un veicolo essenziale nei rapporti interpersonali.
Con riferimento al secondo comma, ad avviso del Giudici, il Legislatore del 2019 avrebbe introdotto un secondo comma alla norma in questione che dispone l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio poiché connesso alla tutela dei soggetti deboli come nei casi della tutela, della curatela e l’amministrazione di sostegno, poiché sono incarichi di notevole delicatezza che possono essere conferiti solo a individui di comprovata serietà morale.
Inoltre, il carattere perpetuo della pena non apparirebbe incompatibile di per sé con l’art. 27 Cost. in quanto consentirebbe di isolare a tempo indeterminato i criminali che abbiano dimostrato una particolare pericolosità ed efferatezza, al pari di quanto avverrebbe per l’art. 609 nonies, n. 2, C.P. e in tutte le ipotesi di cui al combinato disposto di cui agli art.28,n.3, e 29 C.P.
Infine, con riferimento all’art.4 bis, co.1 quinquies, della Legge. n. 354/1975, deve ritenersi che tale normativa non sia suscettibile di trovare applicazione nel giudizio di merito ma solo nella fase della esecuzione e, pertanto, non apparirebbe illegittima sotto questo profilo anche secondo la Dottrina a commento (v.R.Girani, Codice rosso, una prima applicazione dell’art. 583 quinquies c.p, in Riv Diritto Penale, Ottobre 2022)
Invero, mentre il Codice Rocco annoverava tale ipotesi tra le circostanze aggravanti del delitto di lesioni personali, la Legge 19 luglio 2019 n. 69,a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, nota come “Codice Rosso”, ha trasformato la deformazione e lo sfregio permanente al viso in un titolo autonomo di reato, con un proprio trattamento sanzionatorio.
Pertanto, secondo la Giurisprudenza prevalente, la lesione deve ritenersi permanente, ai, sensi della norma sanzionatoria, quando il responsabile provochi alla vittima un «turbamento irreversibile dell’armonia e delle linee del viso, interrotte dalle linee dei punti di sutura che le intersecano in orizzontale in modo innaturale (!!).
In linea con il citato orientamento, ai fini della valutazione del carattere permanente della lesione, appare irrilevante la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisiognomico attraverso il ricorso a trattamenti di chirurgia estetica.
Lo sfregio permanente va inteso, dunque, come un qualsiasi nocumento che non venga a determinare la più grave conseguenza della deformazione, ma che impor ta un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso.
In particolare, integra lo sfregio permanente qualsiasi segno idoneo ad alterare la fisionomia della persona, ancorché di dimensioni contenute, rispetto ai tratti natu rali dei lineamenti, escludendone l’armonia con effetto sgradevole o di ilarità, an che se non di ripugnanza, compromettendo l’immagine della Vittima in senso este tico.
Rientrano nella nozione di deformazione, ad esempio, la mutilazione delle narici o la paresi facciale.
In conseguenza, la Giurisprudenza ritiene che, ai fini della graduazione della pena, occorra attribuire una sorta di progressiva lesività alla condotta illecita posta in essere dal responsabile, distinguendo lo sfregio permanente dalla deformazione che costituisconio le due ipotesi sanzionabili individuando la più grave di esse.
Infatti, già prima dell’introduzione del Codice Rosso, con riferimento all’aggravante della deformazione, la giurisprudenza prevalente aveva affermato che per deformazione si deve intendere“un’alterazione anatomica del viso, che ne alteri profondamente la simmetria tanto da causarne uno sfiguramento ridicolizzante e sgradevole”.
Con l’introduzione del Codice Rosso, il Legislatore ha introdotto una fattispecie autonoma di reato, come innanzi ricordato per cui la circostanza aggravante prima prevista è mutata, divenendo un’autonoma figura criminosa, che punisce con un aggravamento della pena edittale colui che cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente al viso e prevede, con la modifica introdotta, un proprio trattamento sanzionatorio, costituito dall’applicazione di una pena principale e di una pena accessoria perpetua ed eventualmente di circostanze aggravanti (art.585, co.1 e art.576, co.1, n. 5 C.P.).
Inoltre, alla luce dei principi generali del diritto penale, la fattispecie viene sottratta al giudizio di bilanciamento, di cui all’art.69 C.P., con eventuali circostanze attenuanti, come accadeva in passato.
Infine, il reato in questione concorre con quello di lesioni allorquando le ulteriori ferite arrecate alla persona offesa riguardano zone del corpo diverse dal volto, ossia zone prive del peculiare disvalore tipico della fattispecie di cui all’art. 583 quinquies C.P.(v.per un approfondimento dello stesso Autore, Il Codice Rosso e le Vittime di sfregio permanente, su questa Rivista Marzo 2024)
Sulla vexata quaestio, meritano particolare attenzione i chiarimenti forniti dalla Suprema Corte in una recente sentenza (v.Cassazione -sez. V pen.- sent. 22625 del 5-04-2023)
Secondo tale decisione, il reato di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, pur muovendo dall'intento legislativo di predisporre una più ampia tutela per le vittime di "violenza domestica o di genere", non ha inteso limitarle solo a tali soggetti, tanto che, per la lesione comportante uno sfregio permanente al viso, consapevolmente ha introdotto una nuova norma di tutela, per tale gravissima lesione, per chiunque ne fosse rimasto vittima.La Corte ha, inoltre, precisato che:
1) la valutazione circa la sussistenza dell’aggravante dello sfregio permanente, inteso come turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, compete al giudice di merito, chiamato ad esprimere un giudizio che non richiede speciali competenze tecniche, perché ancorato al punto di vista di un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità, e pertanto tale giudizio non risulta sindacabile in sede di legittimità( Cass Sez. V, n. 22685 del 02/03/2017).
2) ai fini della configurabilità dello sfregio permanente, che consiste nel turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso, non rileva la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisionomico mediante speciali trattamenti di chirurgia facciale (Cass Sez. V, n. 23692 del 07/05/2021);
3) integra lo sfregio permanente qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, comporti un’apprezzabile alterazione delle linee del volto che incida, sia pure in misura minima, sulla funzione estetico-fisiognomica dello stesso (Cass Sez. V, n. 27564 del 21/09/2020).
A fronte di tale quadro, anche la Cassazione ha affermato, sulla base di un pregresso orientamento, che, ai fini della configurabilità dello sfregio permanente, non rileva la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisiognomico mediante speciali trattamenti di chirurgia facciale e, pertanto, esso può ritenersi permanente allorché vi sia qualsiasi nocumento che, senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, comporti un’apprezzabile alterazione delle linee del volto che incida, sia pure in misura minima, sulla funzione estetico - fisiognomica dello stesso.
INe consegue che la recente decisione della Cassazione va tenuta nella dovuta considerazione ogni volta che occorra verificare se uno sfregio possa considerarsi permanente, o meno e, comunque, merita rilievo proprio perché contribuisce a fare chiarezza sulla delica ta materia sotto il profilo giurisprudenziale.
Conclusioni
Per concludere, sin dall’entrata in vigore dell’art.583 quinquies C.P., sono stati sollevati dubbi sulla legittimità costituzionale della norma per quanto riguarda l’aumento sanzionatorio, per violazione dell’art.3 Cost., sulla base dei principi sanciti dalla Corte delle Leggi nelle sentenze nn. 236/2016 e 40/2019,richiamate nell’Ordinanza di rimessione del Gup di Catania.
In particolare,,con la sentenza n.236/2016 la Corte delle Leggi ha abbandonato il tradizionale requisito del tertium comparationis, che fino a un recente passato condizionava l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale inerenti all’art. 3 Cost.
Sul tema del principio di proporzionalità sanzionatoria si è pronunciata in termini non dissimili la stessa Corte nella più recente sentenza n. 40/2019.
In conseguenza, si ritiene che se, da un lato, la scelta dell’aumento sanzionatorio costituisca una decisione frutto dell’esercizio discrezionale del potere legislativo, essa incontra un limite nella Costituzione ed, in particolare nei principi di ragionevolezza e di proporzione, così come interpretati dalle richiamate sentenze e, da ultimo, nella sentenza in commento.
Pertanto, benché il delitto di cui all’art. 583 quinquies C.P.consenta di punire condotte dotate di un diverso disvalore sociale (la deformazione e lo sfregio), dall’altro, la norma prevede una pena accessoria perpetua per tutte quelle ipotesi riconducibili al delitto in esame, ponendosi in contrasto con i principi costituzionali sopra esposti, in quanto si finisce per sottoporre alla stessa pena fatti dalla portata offensiva evidentemente diversi.