Sentenza del giudice di pace pronunciata secondo equita’: presupposti

Con l’ordinanza n. 11738/2021, pubblicata il 5 maggio 2021, la Corte di Cassazione si è pronunciato sui presupposti affinchè una sentenza del Giudice di Pace possa essere considerata pronunciata secondo equità e, quindi, soggetta ai limiti di appellabilità previsti dal terzo comma dall’art. 339 c.p.c. il quale dispone che esse “sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.

Lunedi 17 Maggio 2021

IL CASO: La vicenda approdata all’esame dei giudici di legittimità riguarda l’impugnazione di una sentenza emessa dal Tribunale, quale giudice di appello, con la quale era stato dichiarato inammissibile il gravame proposto avverso una sentenza del Giudice di Pace, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento danni per una somma inferiore ad euro 1.000,00.

Secondo il Tribunale, l’appello era inammissibile in quanto la sentenza del Giudice di Pace era stata emessa seconda equità essendo il valore della causa inferiore ad euro 1.110,00.

L’originaria attore, ritenendo errata la sentenza del Tribunale interponeva ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’art. 339 c.p.c. in quanto la domanda giudiziale doveva ritenersi di valore indeterminato, sia pure nei limiti della competenza del Giudice di Pace, essendo stata richiesta la condanna del convenuto al pagamento di una somma "maggiore che risulterà in corso di causa". Pertanto poteva essere appellata. Il Tribunale, invece, aveva ritenuto una mera clausola di stile, o addirittura un refuso e, quindi, non valesse a fissare come indeterminato il valore della causa.

LA DECISIONE: Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Cassazione la quale, nell’accoglierlo con rinvio al Tribunale in diversa composizione, ha osservato che per stabilire se una sentenza del Giudice di Pace sia stata pronunciata secondo equità e quindi appellabile nei soli limiti di cui al 3° comma dell’art. 339 c.p.c., va considerato non già il contenuto della decisione, ma il valore della causa, da determinarsi applicando i principi di cui all’art. 10 c.p.c. e seguenti, e non il valore indicato dall’attore ai fini del pagamento del contributo unificato.

Di conseguenza, hanno concluso gli Ermellini, nel caso in cui l’attore con la causa innanzi al Giudice di Pace abbia formulato una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore ad euro 1.000,00 accompagnata dalla richiesta della “maggior somma che sarà ritenuta di giustizia", la causa deve ritenersi, in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 c.p.c., di valore indeterminato e, quindi, la sentenza emessa all’esito può essere appellata senza i limiti previsti dall’art. 339 c.p.c.

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