Giudice di pace decide secondo equita': poteri del giudice di appello in merito alle prove.

A cura della Redazione.

La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 2770/2019 definisce i limiti e i poteri del Tribunale in funzione di giudice di appello in relazione alle sentenze del Giudice di Pace decise secondo equità.

Venerdi 8 Febbraio 2019

Il caso: M.L. citava in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri dinanzi al Giudice di Pace, deducendo che:

- con la Direttiva 98/83/CE del Consiglio dell'Unione Europea, recepita nel nostro ordinamento con D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31, era stato stabilito, con decorrenza dal 25 dicembre 2003, il valore limite di 10 mg/I per l'arsenico contenuto nell'acqua potabile;

- lo Stato italiano, dopo aver autorizzato con decreti ministeriali due deroghe triennali consecutive (per il triennio 2004-2006 e per il triennio 2007-2009) ai valori di parametro fissati dalla Direttiva al fine di consentire l'erogazione di acqua potabile con valori di arsenico sino a 50 mg/I, con lettera del 2 febbraio 2010 aveva richiesto alla Commissione europea di esprimere il prescritto parere in funzione dell'autorizzazione della terza deroga triennale in relazione alle forniture di acqua di alcune Regioni, prorogando unilateralmente, dopo la scadenza, la deroga precedentemente disposta;

- in data 28 ottobre 2010, la Commissione europea si era peraltro pronunciata negativamente, ritenendo di non poter accordare la deroga richiesta per l'arsenico in concentrazioni superiori a 20 mg/I;

- il mancato adeguamento, in alcune zone del territorio nazionale, dei valori di concentrazione di arsenico ai limiti stabiliti dalla Direttiva comunitaria aveva pertanto determinato, nell'anno 2010, una violazione della Direttiva medesima, dalla quale era derivata la responsabilità dello Stato per i danni subìti dagli utenti;

- l'attore, in quanto abitante ed intestatario di utenza di acqua potabile nel Comune di C., ricompreso nelle zone in cui la concentrazione di arsenico superava i valori massimi, aveva subìto, nel predetto periodo e per effetto della predetta violazione, un danno quantificabile in € 900,00, corrispondenti alla spesa sostenuta da una famiglia media italiana per l'approvvigionamento di acqua minerale ovvero per ricorrere a rimedi casalinghi di depurazione dell'acqua corrente, e comunque da liquidarsi a titolo di danno non patrimoniale in ragione dello stato d'ansia e di stress che gli era stato provocato.

Sulla base di queste deduzioni, M.L. chiedeva la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento della suddetta somma, ovvero di quella minore ritenuta di giustizia.

Il Giudice di Pace, decidendo secondo equità, ai sensi dell'art. 113, secondo comma, c.p.c., condannava la convenuta a pagare all'attore la somma complessiva di € 500,00, oltre interessi.

Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, rigettava la domanda, sul rilievo che:

  • nessuna violazione della Direttiva comunitaria era stata commessa, non avendo l'attore assolto all'onere probatorio su di esso incombente ai sensi dell'art. 2697 c.c. di provare il superamento del limite di 20 m/I

  • non era stato dimostrato il nesso causale tra il danno asseritamente subìto e il mancato rispetto dei limiti di concentrazione dell'arsenico.

Avverso quest'ultima sentenza M.L. propone ricorso per cassazione, lamentando in particolare che:

  • il Tribunale, nel ritenere che fossero rimaste indimostrate sia la circostanza che egli, nell'anno 2010, avesse affrontato spese per l'acquisto di acqua minerale e la depurazione di acqua corrente, sia la circostanza che avesse subìto un paterna d'animo ristorabile a titolo di danno non patrimoniale, avrebbe indebitamente sindacato il giudizio operato dal Giudice di Pace in tema di riparto dell'onere della prova e di idoneità dei mezzi di prova addotti per l'assolvimento di tale onere, giudizio fondato sulle regole di diritto sostanziale contenute nel Titolo II del Libro VI del codice civile (artt. 2697 e ss.);

  • la suddetta violazione darebbe luogo ad errores in iudicando non rilevabili in relazione a pronunce emesse dal giudice di pace secondo equità.

    La Corte di Cassazione, nel ritenere inammissibile la doglianza, osserva quanto segue:

  • rientra appieno nei poteri del giudice di appello una diversa valutazione delle prove;

  • la circostanza che l'appello contro le sentenze pronunciate secondo equità, a norma dell'art. 113, comma 2, c.p.c., sia consentito esclusivamente per violazione di norme sul procedimento (oltre che per violazione di norme costituzionali e comunitarie, nonché dei principi regolatori della materia) non impedisce al giudice di appello di sindacare la valutazione delle prove compiuta dal Giudice di Pace, la quale non può ritenersi esclusa in ragione del fatto che le norme sul riparto dell'onere della prova e sui singoli mezzi di prova abbiano natura sostanziale.

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