Ai sensi del primo e secondo comma dell’art. 5 della legge 89 del 2001, meglio conosciuta come Legge Pinto, il ricorso per l’equa riparazione e il decreto di accoglimento devono essere notificati per copia autentica al soggetto nei cui confronti la domanda è proposta; il decreto diventa inefficace se la notifica non viene eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in Cancelleria del provvedimento e la domanda di equa riparazione non può essere più proposta.
Il termine dei trenta giorni per la suddetta notifica è perentorio? Nessun riferimento alla perentorietà o meno del termine si rinviene nel testo dell’art. 5 della legge 89 del 2001.
Alla domanda ha risposto recentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2656 del 1 febbraio 2017.
Secondo i giudici di legittimità “il mancato riferimento esplicito alla natura perentoria del termine appare tuttavia superfluo in ragione della espressa previsione di inefficacia del decreto e di conseguente non riproponibilità della domanda che vale ad attribuire in facto il carattere della perentorietà al termine di trenta giorni, proprio in ragione delle gravi conseguenze che scaturiscono dal suo mancato rispetto”.
Nel caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione veniva proposto ricorso alla Corte di Appello di Perugia per il riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla legge Pinto per l’irragionevole durata di un giudizio iniziato innanzi al Tribunale di Civitavecchia, proseguito innanzi alla Corte di Appello di Roma e conclusosi in Cassazione.
Il ricorso e il pedissequo provvedimento di ingiunzione venivano notificati dal ricorrente oltre il termine dei trenta giorni previsto dal secondo comma dell’articolo 5 della legge 89/2001; il Ministero intimato proponeva opposizione avverso il suddetto decreto, eccependo la tardività della notifica e quindi la decadenza del diritto da parte del ricorrente.
La Corte di Appello di Perugia accoglieva l’opposizione e dichiarava l'inefficacia del decreto. Avverso la decisione della Corte di Appello proponeva ricorso per Cassazione il ricorrente originario formulando due motivi.
Con il primo motivo veniva denunciata la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 5 comma 2 della legge n. 89 del 2001 in relazione alla non perentorietà del termine previsto per la notifica del ricorso e del relativo decreto.
Con il secondo motivo si eccepiva la incostituzionalità della norma qualora il termine venisse considerato perentorio per violazione degli articolo 24 e 111 della Costituzione e in relazione dell’art. 112 cpc in ragione della non riproponibilità della domanda.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2656 del 1 febbraio scorso, ha rigettato il ricorso e, in considerazione della novità della questione di diritto relativa agli effetti della tardiva notifica del decreto solo recentemente trattata dalla stessa Corte, ha compensato le spese del giudizio.
Quindi secondo quanto stabilito dai Giudici di Legittimità il termine dei trenta giorni di cui al secondo comma dell’articolo 5 della legge n. 89 del 2001, è perentorio, avendo la novella del 2012, come chiarito dalla stessa Corte con la sentenza n. 5656 del 2015, introdotto nel nostro ordinamento giuridico un meccanismo simile a quello del procedimento ingiuntivo, eppure allo stesso non identico, facendo espresso richiamo al codice di procedura civile solo nei casi in cui la disciplina dello stesso sia estensibile.