Con l’ordinanza 324, pubblicata il 5 gennaio 2024, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sul termine dal quale decorre il computo della ragionevole durata di una procedura fallimentare ai fini della presentazione della domanda di equa riparazione ai sensi della legge Pinto.
Lunedi 19 Febbraio 2024 |
IL CASO: Alcuni ex lavoratori di una società fallita chiedevano al Tribunale il riconoscimento in loro favore dell’indennizzo per equa riparazione per l'irragionevole durata della procedura fallimentare svoltasi nei confronti della suddetta società.
La procedura fallimentare era iniziata nel mese di luglio del 2012 ed era terminata nel mese di gennaio del 2020.
Il Tribunale, ritenendo non superato il termine della ragionevole durata della procedura, dava torto ai ricorrenti, motivando la decisione atteso che tra la data di ammissione al passivo dei crediti vantati dagli esponenti avvenuta nel luglio del 2014 e quella di chiusura del fallimento (gennaio 2020) non erano trascorsi più di sei anni.
Dello stesso parere la Corte di Appello la quale, nel rigettare il ricorso in opposizione alla decisione di primo grado promossa dagli ex lavoratori della società fallita, affermava che correttamente il Tribunale aveva ritenuto il dies a quo, ai fini della durata della procedura, dalla data di ammissione dei crediti al passivo e non dal momento della loro richiesta di ammissione, in quanto solo da quel momento i creditori subiscono gli effetti della irragionevole durata della procedura.
Pertanto, i lavoratori, rimasti soccombenti in entrambi i gradi di giudizio, investivano della questione la Corte di Cassazione, deducendo con un unico motivo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 bis, della legge n. 89 del 2001, c.d. Legge Pinto, e degli artt. 6, par, 1, e 13 CEDU, per avere i giudici di merito affermato che il termine iniziale della procedura fallimentare per i creditori, ai fini della durata ragionevole, deve essere fissato alla data in cui il loro credito è stato ammesso al passivo e non dal quella in cui hanno proposto istanza di insinuazione.
LA DECISIONE: Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Cassazione la quale, nel rinviare la causa alla Corte di Appello di provenienza, in diversa composizione, ha osservato che come affermato in altri arresti giurisprudenziali di legittimità in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001 n. 89, il termine da cui decorre il computo della ragionevole durata di una procedura fallimentare va individuato nella domanda d'insinuazione al passivo, atteso che è con essa che si instaura il rapporto processuale, mentre ciò che non rileva, e non può essere computato a tal fine, è unicamente il periodo anteriore, dopo la dichiarazione di apertura del fallimento, a cui il creditore è estraneo.
Ciò è anche in linea, hanno osservato, con l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale in tema di durata ragionevole delle procedure concorsuali, vi è la necessità di considerare la procedura unitariamente, tenendo anche conto della proliferazione di giudizi connessi o della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti.
Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, per i creditori, la procedura deve ritenersi iniziata dal momento del deposito della loro domanda di insinuazione al passivo, a mente dell'art. 2, comma 2 bis, legge n. 89 del 2001, che, ai fini del computo della durata, fissa come dies a quo il deposito del ricorso introduttivo del giudizio.