Impugnazione per revocazione ex artt. 391 bis e 395 n. 4 c.p.c.: presupposti

Con la sentenza n.10040/2022, pubblicata il 29 marzo 2022, la Terza Sezione Civile della Suprema Corte è tornata ad occuparsi dei presupposti dell’impugnazione per revocazione ex artt. 391 bis e 395 n. 4 c.p.c.

Lunedi 6 Giugno 2022

Nella fattispecie il ricorrente Tizio, attore in primo grado, si era visto accogliere dal Tribunale la domanda riconvenzionale proposta nei suoi confronti e condannare al risarcimento dei danni che Caio (parte convenuta, attrice in riconvenzionale) aveva patito per l’occupazione senza titolo di un immobile.

Il primo, soccombente anche in secondo grado, aveva impugnato per cassazione la sentenza della Corte d'appello che aveva respinto l'appello da lui interposto nei confronti della sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza della S.C., che aveva rigettato il ricorso ordinario, egli aveva poi proposto ricorso di revocazione denunciando «vizio revocatorio della sentenza ex art. 391 bis c.p.c., ed art. 395, n. 4, sulla dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo di ricorso" motivandolo con il fatto che, a suo dire, la Suprema Corte avrebbe erroneamente ritenuto essersi formato un giudicato interno in ordine alla esistenza "dei danni da occupazione sine titulo in quanto, dalla sentenza d'appello emergerebbe che nella sentenza di primo grado si era accertata in difetto di contestazione del ricorrente per revocazione (all’epoca convenuto in riconvenzionale) l’esistenza dei danni risarcibili"; e non essendo stata appellata la sentenza di primo grado sulla mancanza di contestazione in primo grado dei danni, al riguardo si sarebbe formato appunto il giudicato, "il che avrebbe anche dovuto esonerare la Corte di merito dal giudicare il capo di impugnazione sui danni". ».

Riteneva quindi Tizio che l’errore revocatorio fosse "fondato su una circostanza, l'affermazione nella sentenza di primo grado di un difetto di contestazione sull'esistenza dei danni conseguenza, errata in fatto". A suo dire infatti il Tribunale, nella motivazione della sentenza, avrebbe invece inteso riferire "la mancata contestazione all'evento lesivo", cioè ai periodi di occupazione dell'immobile e non all’esistenza del danno e al nesso eziologico fra questo e l’occupazione abusiva dell’immobile. Ha resistito Caio con controricorso.

La S.C. preliminarmente ha ritenuto, con la sentenza in commento, che la precedente valutazione di ammissibilità apparente espressa dalla Sesta Sezione -3 nell'ordinanza emessa a seguito della trattazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., abbia un valore meramente ordinatorio e non decisorio, e non vincoli la sezione semplice chiamata a delibare il ricorso per revocazione all’udienza pubblica, la quale può appunto dichiararlo inammissibile.

Sul punto ha quindi ribadito: « In tema di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, la valutazione di "non inammissibilità" del ricorso per revocazione che la Corte compie ai fini del rinvio alla pubblica udienza della sezione semplice, in base all'art. 391 bis c.p.c., comma 4 (come sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. l, n. 3,), non preclude alla stessa Corte, all'esito dell'udienza pubblica, di dichiarare con sentenza l'inammissibilità del ricorso. Ciò in quanto la delibazione della sezione semplice non rimane vincolata dalla precedente valutazione ed anzi, in virtù della più ampia garanzia assicurata dal giudizio celebrato in pubblica udienza, si estende a tutte le questioni poste dal ricorso. ».   

Passando poi all’esame del motivo di ricorso per revocazione, ossia la questione del giudicato interno che, a dire del ricorrente, sarebbe stata erroneamente rilevata dalla Corte di legittimità in sede di ricorso ordinario in quanto la sentenza del Tribunale avrebbe in realtà affermato che non vi era stata contestazione specifica non già del danno conseguenza, bensì del danno evento, cioè della protrazione dell'occupazione abusiva per un certo periodo, secondo la Terza sezione Civile, chiamata a decidere il ricorso per revocazione, da un lato si é prospettato un vero e proprio errore in iure nella rilevazione del preteso giudicato interno, per altro verso tale errore é stato prospettato sulla base della sentenza di primo grado senza indicare se e dove tale sentenza era stata prodotta, con il rispetto dell'art. 366 c.p.c., n. 6 e, dunque, indicandone il contenuto e localizzandola, nel giudizio di cassazione ordinario.

Pertanto, secondo gli ermellini già tale seconda carenza, rilevante sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso (sempre che quello prospettato fosse astrattamente configurabile come un errore ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n.4), ne esclude la configurabilità in concreto, giacché la mancata percezione del contenuto della sentenza di primo grado quanto alla carenza di specifiche contestazioni non é addebitabile alla Sezione chiamata a decidere il ricorso ordinario, giacchè non si può ascrivere al collegio giudicante il fatto di non avere percepito il preteso dato processuale emergente dalla sentenza di primo grado se con il ricorso ordinario tale sentenza non era stata prodotta o se non era stato indicato dove essa fosse esaminabile.

Ha aggiunto, comunque, la S.C. che, quand’anche la sentenza di primo grado fosse stata indicata nel giudizio ordinario come prodotta e lo fosse stata nel rispetto dell'art. 366 c.p.c., n. 6, il motivo di revocazione sarebbe stato pur sempre inidoneo ad integrare l'errore di fatto di cui dell'art. 395 c.p.c., n.4, perché con la sua prospettazione si imputa alla Sezione che aveva deciso il ricorso ordinario nient’altro che un preteso errore di diritto nell’individuazione dell'esistenza del giudicato interno.   Secondo il ragionamento degli ermellini, se anche la sentenza di primo grado fosse stata esaminabile dalla Corte in sede di decisione del ricorso ordinario e anche ipotizzando che il passo della motivazione della sentenza del Tribunale, dove si faceva riferimento all'assenza di contestazioni specifiche, implicasse un riferimento all'assenza di contestazione sul c.d. danno evento (durata dell'occupazione abusiva) e non sul danno conseguenza, sì da giustificare che il precedente appello proposto dal ricorrente si concentrasse solo su tale profilo (e, dunque, sull'evocazione della questione del c.d. danno in re ipsa), si dovrebbe comunque reputare che il motivo di ricorso per revocazione denunci, come preteso errore di fatto, un errore di valutazione del contenuto motivazionale della sentenza di primo grado.

Segue la conclusione che: «se anche la Corte in sede di ricorso ordinario fosse stata messa in grado di esaminare la sentenza di primo grado e se anche si condividesse la lettura della stessa che fa il ricorrente, quello che si addebita a questa Corte - lo si osserva per absurdum (visto che essa non era stata messa in grado di esaminare la sentenza di primo grado e nemmeno, peraltro, ha detto di averla esaminata) - non sarebbe stato un errore di fatto, bensì solo un error in iure in ordine all'apprezzamento di un giudicato interno, come tale non deducibile ai sensi dell'art. 395 c.p.c., n. 4, in relazione all'art. 391-bis c.p.c.. ». Tanto ha determinato, quindi, la dichiarazione di inammissibilità del proposto ricorso per revocazione.

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