La revocabilità della donazione per ingratitudine: il punto della Cassazione.

L'ingiuria grave richiesta dall'art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento, a prescindere, peraltro, dalla legittimità del comportamento del donatario” (Cass. n. 20722/2018; Cass. n. 22013/2016).

Martedi 10 Maggio 2022

La vicenda sottesa all'ordinanza n. 13544 dello scorso 29 aprile, ha ad oggetto la richiesta di revocazione della donazione, per ingratitudine, derivante da ingiuria ai danni della donante.

L'attrice agiva in giudizio nei confronti del figlio chiedendo l'accertamento della donazione indiretta, in favore di quest'ultimo, della proprietà pro-quota di un immobile e che fosse dichiarata la revocazione dell'atto di liberalità sulla base dei comportamenti tenuti dal ragazzo, integranti la fattispecie di cui all’art. 801 cod. civ.

Va preliminarmente chiarito che l'ingiuria grave richiesta dal richiamato articolo, quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, si estrinseca in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante, espressivo, cioè, di un atteggiamento di avversione del donatario, il quale dovrà dimostrare un sentimento durevole di disistima delle altrui qualità morali, tale da ripugnare la coscienza collettiva.

Nel caso di specie, la donna esponeva di essere stata, con il marito, comproprietaria di un immobile acquisito, successivamente, all'attivo della procedura di fallimento del coniuge, e che, a seguito della partecipazione all'incanto, la quota era stata sì assegnata al figlio ma che la somma era stata da lei corrisposta con denaro prelevato dal conto corrente della società di cui ella stessa era legale rappresentante e socia accomandante. I problemi tra madre e figlio originano proprio dalla divergenza circa la gestione della società, della quale entrambi sono soci, tanto da sfociare in comportamenti culminati in azioni di danneggiamento del figlio all'abitazione della madre e al conseguenziale deposito di numerose querele nei confronti del danneggiante da parte della genitrice.

Il Tribunale accoglieva la domanda di accertamento della donazione indiretta, riconoscendo, in capo all'attrice, sia il pagamento del prezzo per l'intestazione della quota immobiliare al figlio sia la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 801 cod. civ. La Corte d'appello adita, nel confermare la sentenza di primo grado, stabiliva che i benefici dell'operazione di aggiudicazione del bene ricadessero a vantaggio del figlio e che tale adempimento rientrasse pienamente nell'ambito di una donazione indiretta osservando che nell'ipotesi di intestazione di un bene con denaro, dal genitore al figlio, rilevante diviene lo scopo perseguito dal disponente e dal soggetto beneficiato per cui se il fine ultimo è stato quello di consentire l'acquisto di un qualsivoglia bene a quest'ultimo, la liberalità ha ad oggetto il bene, a prescindere dallo strumento giuridico adoperato.

Il ricorrente, affidava a tre motivi, il ricorso in Cassazione:

- con il primo, lamentava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 809 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti accertati nel corso del giudizio integrassero una donazione indiretta senza tener conto che le somme utilizzate per l'acquisto dell'immobile erano state prelevate dai conti della società e, pertanto, fossero di proprietà della madre;

- con il secondo motivo, il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione dell'art. 801 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in quanto la Corte non ha tenuto in considerazione che la madre aveva acquistato dal fallimento solo il 50% della quota dell'immobile e che, pertanto, non poteva rinvenirsi, nel caso de quo, la struttura tipica della donazione indiretta;

- con il terzo motivo, per il ricorrente, la Corte d'appello ha erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti previsti dall'art. 801 cod. civ., senza alcuna dimostrazione di comportamenti oltraggiosi nei confronti della donante.

La Suprema Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi evidenziando, in primis, che la valutazione sulla idoneità dei comportamenti del donatario a porre in essere gli estremi dell'ingratitudine di cui all'art. 801 cod. civ., costituisce apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità.

In secondo luogo, la Seconda Sezione, ha evidenziato che la Corte d'appello ha ritenuto, a ragione, che l'attrice aveva corrisposto il prezzo per l'acquisto dell'immobile con denaro prelevato dal conto corrente della società, annotandolo come “prelievo a titolo personale” operando, dunque, in proprio e non come rappresentante legale della stessa.

Inoltre, ha considerato sussistenti tutti quei comportamenti del donatario nei confronti della donante, che confermano l'esistenza di una “manifestazione esterna, continua e durevole di un sentimento di forte opposizione”, certamente qualificabili come una grave ingiuria, tali, cioè, da “non poter essere tollerati secondo un sentire ed una valutazione di normalità”.

Per i suddetti motivi, il Collegio ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al rimborso delle spese di lite.

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