Impugnazione delle ordinanze di rigetto dell'istanza per la giustizia riparativa: la parola alle Sezioni Unite

La legittimità dell’impugnazione delle Ordinanze di diniego delle istanze di accesso ai programmi di Giustizia Riparativa è stata rimessa alle SS UU dalla Quinta Sezione Penale della S.C., con ordinanza n.14833,dep.il 15 aprile 2025, affinché si pronunci sul seguente quesito“se, per quali motivi e in quali ipotesi sia ricorribile per cassazione il provvedimento con cui il Giudice del merito abbia rigettato la richiesta di invio al centro per la giustizia riparativa di riferimento per l’avvio di un programma di giustizia riparativa ai sensi dell’art. 129-bis CPP” (v. allegato)

Martedi 16 Settembre 2025

Si tratta, invero, di una questione molto dibattuta dalla Dottrina e divenuta anche oggetto di alcune decisioni controverse, siccome ritenute lesive dei diritti dell’imputato, ma anche delle Vittime, come si dirà infra, di impugnare le decisioni di accoglimento o di rigetto delle istanze per l’ammissione ai programmi riparativi, emesse dai Giudici sia nel corso delle indagini preliminari ma anche nella fase iniziale del dibattimento.

Tanto è avvenuto, ad es., per il Caso Maltesi, che ha escluso i Familiari della Vittima dalla possibilità di opporsi alla decisione della Corte di Assise di Busto Arsizio, favorevole all’imputato, benché condannato per il grave omicidio commesso in danno di una giovane donna ma che è, comunque, servita ad evitare altre analoghe decisioni in casi più recenti.

  • Le ragioni del rinvio alle SS UU

L’Ordinanza di rinvio alle SS UU, sulla quale esse dovranno pronunciarsi a breve, dovrebbe, dunque, servire a fare chiarezza sulla dibattuta questione della legittimità dell’impugnazione delle Ordinanze dei Giudici, sia di accoglimento che di rigetto, dell’istanza avanzata dall’imputato, e trova il suo rilevante fondamento logico-giuridico nelle ampie motivazioni formulate dalla stessa Corte remittente.

In particolare, a sostegno del quesito formulato, la Corte ha affermato che, ”oltre a quanto esposto sul contrasto relativo all’oggettiva impugnabi lità del provvedimento di rigetto della richiesta di invio ad un Centro per la giustizia riparativa, che deve ritenersi rilevante anche rispetto alle ipotesi in cui si denuncia l’omessa pronuncia o l’omessa motivazione di essa, sia necessario un chiarimento in ordine alla sussistenza di un interesse concreto e attuale ad impugnare, il cui difetto è stato prospettato dal Procuratore generale adducendo che il percorso di giustizia riparativa sarebbe inattuabile perché il ricorrente non potrebbe giovarsi delle «utilità processuali» che intenderebbe conseguire poiché i Centri previsti dalla legge non sono ancora operativi”(!!)

Sul punto, la Corte remittente ha osservato che le norme in materia di giustizia riparativa, elencate nell’art.92, co.2-bis, D.lgs.150/2022,si applicano dal 30 giugno 2023.non soltanto per l’art. 129-bis CPP., come pure l’art. 62,co.1,n.6, C.P.(come novellato dall’art.1,co.1,lett.b), D.lgs.150/2022), che prevede che costituisce circostanza attenuante, ai fini della irrogazione della sanzione, «l'avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, conclusosi con un esito riparativo e, qualora l'esito riparativo comporti l'assunzione da parte dell'imputato di impegni comportamentali, tale circostanza va valutata solo quando gli impegni siano stati rispettati».

Inoltre, l’art.152,comma 3,n.2,C.P.(novellato dall’art.1, co.1,lett. h), n.2,del D.lgs. 150/2022), contempla, tra le ipotesi di remissione tacita della querela, che «il querelante abbia partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo e, nondimeno, quando l’esito riparativo comporti l’assunzione, da parte dell’imputato, di impegni comportamentali, la querela si intende rimessa solo quando tali impegni siano stati adempiuti».

In tali casi, come previsto dall’art.58,co.1 D.lgs.150/2022 (norma entrata in vigore dal 30 dicembre 2022 ex art.99-bis dello stesso Decreto), «l'Autorità giudiziaria, per le determinazioni di competenza, valuta lo svolgimento del programma e, anche ai fini di cui all'articolo 133 del C.P., l'eventuale esito riparativo».

Si tratterebbe, in effetti, di benefici che vanno perseguiti attraverso un programma di giustizia riparativa e che denotano un interesse a impugnare la decisione di rigetto anche in presenza della mancata istituzione dei Centri per la Giustizia Riparativa, istituiti dalla Riforma.

Le stesse disposizioni transitorie del nuovo Istituto processuale fanno riferimento ai «servizi esistenti», ossia ai «servizi di giustizia riparativa in materia penale erogati […]da soggetti pubblici o privati specializzati, convenzionati con il Ministero della Giustizia ovvero che operano in virtù di protocolli di intesa con gli uffici giudiziari o altri soggetti pubblici».

La loro ricognizione è stata affidata alle «Conferenza locali per la giustizia riparativa», istituite dalla stessa Riforma, sebbene alcuni Centri, istituiti per la Giustizia Minorile, continuino ad operare, proprio in virtù di protocolli stipulati con gli Uffici Giudiziari, mentre solo nello scorso mese di Luglio le Conferenze locali hanno cominciato ad individuare le sedi dei Centri da istituire, in notevole ritardo del termine inizialmente previsto e poi prorogato al 31 Dicembre 2023.

In conseguenza, secondo la Corte remittente, il contrasto interpretativo la cui risoluzione è necessaria per provvedere in merito al ricorso, ”impone di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell'art.618,co.1,CPP, in relazione alla ricorribilità in cassazione dell’Ordinanza con cui il Giudice rigetta la richiesta di invio delo ’istante ad uno dei Centri di Giustizia Riparativa istituiti (o da istituire) sul Territorio”.

  • Le decisioni precedenti della Suprema Corte

Invero, sin dalle prime applicazioni della nuova disciplina riparativa, sono emersi alcuni orientamenti difformi sulla impugnabilità della decisione di rigetto della richiesta di accesso ai programmi riparativi (v.a commento, V. Bonini e P.Maggio, L’impugnazione dei provvedimenti a caratura riparativa:equilibri e squilibri tra sistemi, in Riv Sistema Penale 5/2024) e la stessa Cassazione aveva manifestato indirizzi contrastanti nelle sue decisioni.

In particolare, la Terza sezione, nella sent.n.33152/2024 propendeva per l’impugnabilità dell’Ordinanza di diniego mentre la Seconda sezione, con la sent.n. 12986/ 2024,aveva ribadito che tale diniego non era impugnabile.

Più di recente, anche la Prima Sezione della Corte, con la sent.n.8400/2024,è intervenuta sulla stessa problematica, mostrando di condividere l’orientamento verso un’apertura in materia, già espresso nella decisione n.33152,innanzi citata.

In effetti, tale pronuncia aveva ritenuto ammissibile l’impugnazione della Ordinanza di rigetto, ai sensi dell’art.586,co.1,CPP, sulla base della interpretatazione dell’ art.129-bis CPP, che disciplina il procedimento riparativo, introdotto anch’esso ex novo dalla Riforma, laddove la stessa sia stata «emessa durante il compimento degli atti preliminari o nel corso del dibattimento (ovvero nel corso del giudizio di appello).purché tale richiesta risulti avanzata dall’imputato e riguardi reati procedibili a querela di parte suscettibile di remissione, trattandosi del solo caso in cui il suo eventuale accoglimento determina la sospensione del processo per la durata di 180 giorni, come sancito dalla norma procedurale citata.

Sul punto, merita di essere sottolineata l’attenzione rivolta dalla S.C. ai reati procedibili d’ufficio ovvero a querela non soggetta a remissione, atteso che la decisione afferma che, in tali casi, «posto che nulla impedisce all’interessato di attivarsi autonomamente per accedere al programma di giustizia riparativa, l’intervento del Giudice […] non rappresenta né una condizione necessaria per l’acquisizione di diritti né sufficiente»(!!), sebbene il Legislatore abbia omesso nella norma procedurale di chiarire se il procedimento possa riguardare reati di particolare gravità e di allarme sociale e quali siano i tempi da assegnare alle Parti per lo svolgimento delle attività riparatorie in pendenza del giudizio penale non sospeso (NdR),

La stessa circostanza attenuante, prevista dall’art.62,n.6,C.P., come modificato dal D.lgs.n.150,«non sarebbe correlata alla decisione dell’invio di cui allo art.129-bis, posto che:

a) l’interessato non avrebbe alcuna necessità dell’Ordinanza del Giudice per attivarsi al fine di accedere a programmi di giustizia riparativa;

b) il mero invio non eliderebbe la discrezionalità dei mediatori nel ritenere non fattibile il programma».

Invero, va evidenziato che la tesi espressa dalla Prima Sezione si affianca ad almeno altri due indirizzi che si registrano nella giurisprudenza di legittimità.

Il primo, emerso nelle prime decisioni, ritiene inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Giudice, poiché lo stesso non avrebbe natura giurisdizionale (v.Cass., Sez. II,7 novembre 2024,n. 46018; Cass., Sez. III,4 giugno 2024, n. 24343;Cass., Sez. II,12 dicembre 2023,n. 6595).

Il secondo è intervenuto più di recente (v.Cass., Sez. V,26 novembre 2024, n. 131,) e risulta confermato da una decisione della Terza Sezione penale (Cass., Sez.III, ud.26/2/2025), in base al quale, l’Ordinanza sarebbe ricorribile unitamente alla sentenza che definisce il grado di giudizio, ai sensi dell’art.586 CPP, qualora si tratti di un «Ordinanza reiettiva della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa pronunciata dal Giudice su istanza dell’imputato, senza alcuna distinzione tra reati procedibili a querela suscettibile di remissione e reati procedibili d’ufficio».

Verrebbe, in tal modo, superata la pur contestata limitazione dell’impugnazione, scaturita nelle sentenza pregresse, ai soli reati perseguibili a querela suscettibile di una remissione.

Tuttavia, la stessa Prima Sezione della S.C.ha precisato che colui che impugna il provvedimento“è tenuto a «dedurre contestualmente l’interesse alla attenuazione del trattamento sanzionatorio, come possibile conseguenza dell’esito positivo del programma di giustizia riparativa affrontato”(v.Cass., Sez. III, ud. 26 febbraio 2025 cit, commentata da Elisa Grisonich(in Riv Sistema Penale 13 Marzo 025).

Nondimeno, in questo scenario, non sono mancati alcuni incidenti di percorso, come sostiene V.Bonino nella Riv.Terzultima Fermata, poiché anche la stessa Suprema Corte è giunta a soluzioni visibilmente contrastanti con il dettato normativo, escludendo la possibilità di accedere al programma riparativo durante l’esecuzione della pena, in aperta violazione di quanto sancito dall’art 44 D.lgs. 150/2022, benché la sentenza in questione si riferisca ad una grave condanna da scontarsi al 41-bis (v.Cass., sez. I,9 luglio 2024,n.41133),

Alla luce di tale affermazione si può solo comprendere ma non condividere il problema applicativo di una questione rimasta intonsa a livello normativo, come quella dell’impugnabilità dell’Ordinanza di rigetto, quando essa concerne reati gravi, che non sono stati esclusi dalla disamina operata dal Legislatore (vedi Cass., sez. I,9 luglio 2024,n.41133).

Dinanzi al silenzio del Legislatore sul pur importante argomento, le primissime seentenze emanate hanno fatto ricorso all’alterità del paradigma riparativo, per escludere la natura giurisdizionale anche degli atti preliminari al programma riparativo per affermare la non impugnabilità delle Ordinanze di diniego emanate (così Cass., sez. II,12 dicembre 2023,n. 6595)

Tanto meno tali decisioni hanno riguardato la necessità del consenso della Vittima sebbene esso costituisca un presupposto essenziale dell’Ordinanza del Giudice per l’accoglimento dell’istanza avanzata.

In definitiva, una volta affermato nelle decisioni, in maniera ritenuta erronea dalla Dottrina prevalente, che il percorso riparativo non ha natura giurisdizionale, perché si colloca al di fuori del giudizio penale e perché non riguarda l’accertamento dei fatti e delle responsabilità penali, secondo la Bonino, si è ricorsi ad una sorta di “contaminazione riparativa”degli atti a tema ripartivo, benché gli stessi appartengano al processo penale e sono ad esso collegati dalle decisioni assunte dal Giudice.

Da tale orientamento, divenuto tanto scontato quanto erroneo, sarebbe scaturita la non impugnabilità di un’Ordinanza pur demandata al Giudice in un contesto processuale e sulla base di criteri offerti dal Codice di rito, perché ritenuta espressione di un «servizio pubblico di cura della relazione tra persone»(!!) e non un vero e proprio strumento introdotto ex novo per la tutela delle Vittime ed il ristoro dei danni oltre a rendere possibile una deflazione del contenzioso pendente nei Tribunali, posta a base della Riforma.

Una prima correzione di questa interpretazione limitativa è emersa dalla decisione della Cassazione, Sez.III,7 giugno 2024,n.33152,innanzi citata, che ha superato la ritenùta natura extra-giurisdizionale dell’Ordinanza di rigetto e l’impugnabilità della stessa, sebbene limitandola solo a quella pronunciata in relazione a reati perseguibili su querela soggetta a remissione.

Come afferma, in maniera condivisibile, la stessa Bonino, sebbene la Corte ammetta la natura giuridica del provvedimento emanato exn art.129-bis CPP, la decisione limita l’impugnabilità del rigetto tenendo conto solo degli effetti processuali del programma riparativo, come la sospensione del processo in caso di reato procedibile a querela soggetta a remissione, senza, tuttavia, prendere in considerazione gli effetti sostanziali, pur rilevanti, derivanti dall’esito riparativo positivo, ai fini della determinazione della pena ex art.133 C.P.;dell’applicazione della circostanza attenuante dell’ art.62,n.6 C.P.;della sospensione condizionale della pena ex art.164 co.4 C.P., oltre alla possibile rilievanza dell’esito positivo dei percorsi riparativi ai fini dell’ applicazione dell’art.131-bis C.P. e dell’art.464 bis CPP, che possono avere una notevole incidenza anche nei casi di reati procedibili d’ufficio.

Per contro, i Giudici di legittimità hanno ritenuto che il rigetto dell’istanza, nei casi di reati procedibili ex officio non abbia«una incidenza giuridicamente rilevante sulla decisione finale, perché non influente sulla sospensione del procedimento”e, per tale ragione, che l’istanza dell’imputato può, in tali casi, essere rigettate legittimamente (!!), così escludendo di fatto tali reati dal percorso ripartivo sancito dal Legislatore, sebbene, come innanzi ricordto, senza escludere alcuni reati gravi dall’accesso al procedimento riparativo.

Basterebbe a chiarire questo passaggio controverso la più recente pronuncia della Corte (sez.V,26/11/2024,n.131/2025), che supera i limiti all’impugnabilità emersi dalle precedenti decisioni, innanzi riportate.

Invero, una volta riconosciuto, come dato generalmente acquisito, che il provvedimento di cui all’art. 129-bis CPP, in ragione della forma, dei tempi e dei luoghi in cui è adottato in contraddittorio tra le Parti processuali, rappresenta un «atto del procedimento/processo di natura endoprocedimentale», la Prima Sezione della Corte ricorda che, in mancanza di una disciplina specifica, occorre fare ricorso alla regola generale dell’impugnabilità delle Ordinanze, nei limiti di cui all’art.586 CPP. ossia in base al principio di tassatività delle impugnazioni.

Nondimeno, l’obbligo di osservare tale principio, consentirebbe un controllo di legittimità delle Ordinanze di diniego pronunciate nel dibattimento o negli atti preliminari, oggetto dell’impugnazione della sentenza finale, perché tale controllo sarebbe utile alla conoscenza dei criteri decisori adottati e che la stessa norma processuale assegna al Giudice che, tuttavia, devono essere improntati alle regole della legalità, evitando visioni arbitrarie dei presupposti codificati dal Legislatore per l’invio ai servizi riparativi.

Per tali ragioni, la S.C. ritiene che«escludere la impugnazione differita dell’Ordinanza ai sensi dell’art.586 citato si tradurrebbe nella assenza di confronto con i principi che disciplinano il sistema processuale, ma anche con le ulteriori indicazioni legislative che collegano significative ricadute di natura sostanziale derivanti dall’accesso ai programmi di giustizia riparativa”, specie in ambito deflattivo del contenzioso (NdR).

A sostegno di tale principio di diritto, la Corte richiama le fonti sovranazionali ed, in particolare, il § 33 della Raccomandazione CM/Rec 2018-8 del Consiglio d’Europa e ripercorre gli effetti sulla pena collegati all’esito riparativo.

Sulla base di queste semplici osservazioni, risulterebbe superata la limitazione del diritto ad impugnare il diniego ai soli casi in cui il reato sia perseguibile su querela di parte, così valorizzando il principio dell’accesso generalizzato al procedimento ripartivo, come sancito dall’art.44 D.lgs.150/2022,applicabile in ogni stato e grado del giudizio e senza alcuna limitazione della natura dei reati da valutare e da ammettere al procedimento riparativo, che esprime una sorta di favor riparatio nis non scalfito né dalla fase procedimentale né dalla tipologia criminosa.

Inoltre, la Corte, recuperando un inciso della Relazione illustrativa del D.lgs.150/ 2022,osserva che, sebbene la sospensione del procedimento sia prevista dallo art.129-bis CPP solo in caso di reati perseguibili a querela, anche nelle altre ipotesi «resta […]salva la possibilità di valorizzare l’istituto, già impiegato nella prassi del rinvio su richiesta dell’imputato, per consentire di accedere ai programmi riparativi e, quindi, permettere al Giudice di tenerne conto in sede di definizione del trattamento sanzionatorio».

Così argomentando, la decisione assunta dalla Prima Sezione sgombra anche il campo dalle questioni di legittimità costituzionale del procedimento, fondate sui limiti all’impugnazione fissati dalle precedenti decisioni, pure criticate dalla Dottrina più autorevole, per pervenire ad un’effettiva apertura all’impugnabilità delle Ordinanze un base all’esame demandato alle SS.UU., chiamate a dirimere la questione.

Conclusioni

Molti segnali e lamentate criticità applicative, lasciano intravedere una sorta di “crisi di rigetto” nei confronti della giustizia riparativa da parte del sistema penale, incentrato sia nella fase del processo quanto soprattutto in quella dell’esecuzione penale, sulla figura dell’autore di reato (indagato/imputato/condannato) e, in ultima analisi, tuttora orientato al paradigma della “giustizia punitiva”.

In questo contesto, appare necessario, in primo luogo, attivare un cammino, tuttora incerto, per rendere operative le strutture organizzative sul Territorio indispensabili per il concreto avvio della Riforma.

Una questione particolarmente delicata attiene alla distinzione tra il profilo riparatorio della pena e quello propriamente riparativo, introdotto dalla Riforma, e la possibile confusione tra la giustizia riparativa con la riparazione attraverso l’esecuzione della pena.

A tal proposito, la Riforma “Cartabia” ha scelto di strutturare una disciplina che mette l’incontro delle Parti al centro delle attività dei Centri, sia pure con l’ausilio dei Mediatori Penali, ma che prevede, nei casi in cui la disponibilità all’incontro non vi sia stata, il ricorso alla c.d. “vittima surrogata”.

Tutto questo comporta una sorta di cortocircuito con il rischio di fraintendere gli scopi effettivi del nuovo procedimento riparatorio, che non sono certo quelli di offrire allo imputato/condannato uno strumento per mitigare il trattamento sanzionatorio o favorire l’esecuzione della pena in forme alternative al carcere sulla base dei benefici premiali.

Se a tanto si aggiunge che la prassi dei Centri si indirizzerà verso programmi con esito materiale/economico, appare elevata la probabilità di una sostanziale omologazione degli esiti riparativi, integrati da prestazioni di tipo materiale, alle prescrizioni già elaborate dalla Magistratura di sorveglianza con riferimento all’affidamento in prova (art.47 Ord.Pen.).

Un ulteriore elemento di criticità è quello correlato al ruolo svolto dall’avvocato nel contesto del procedimento.

Appare evidente, infatti, che gli avvocati possono avere una funzione di impulso fondamentale per il successo della giustizia riparativa, sebbene ritenerla complementare al giudizio penale finisca per marginalizzare il difensore nominato, benché il Legislatore gli abbia affidato l’atto di impulso ossia la richiesta motivata al Giudice ex 129-bis CPP. Nondimeno, il difensore viene estromesso dal procedimento riparatorio nella fase della mediazione penale e può “rientrarvi” solo assistendo il cliente per l’accordo sull’esito della trattativa che è quello essenziale per la richiesta dei benefici previsti in tali casi per gli imputati.

Inoltre, il difensore si trova, in generale, a muoversi in un terreno non presidiato dalle garanzie difensive che gli sono familiari in ambito processuale.

L’avvocato si trova, in altri termini, in un campo dove i poteri della difesa sono ridotti al minimo di fronte alla discrezionalità del Giudice ed all’attività dei Mediatori che appaiono, secondo il Legislatore, i veri ed unici protagonisti della Giustizia Riparativa.

A tanto aggiungasi che escludere il difensore nominato dall’impugnazione della Ordinanza di rigetto nell’interesse della Vittima, nel caso di ammissione dell’imputato senza il consenso della stessa, sarebbe un ulteriore pregiudizio dei diritti difensivi.

In ogni caso la scelta della complementarietà del procedimento riparativo comporta dei problemi anche per la posizione della Vittima e la tutela della stessa in giudizio.

La Riforma si ispira, invero, alla Direttiva europea n.29 del 2012,che si concentra particolarmente sui diritti processuali delle vittime ed alla Raccomandazione del 2018,sempre in tema di riconoscimento del reato e delle sofferenze arrecate alla Vittima, sebbene, in realtà, sempre dal punto di vista processuale, la disciplina italiana sembrerebbe offrire più vantaggi all’autore di reato che alla sua vittima che può essere solo “sentita”nel corso della emissione della Ordinanza demandata alla discrezionalità del Giudice e non anche nel caso di opposizione motivata quanto legittima al provvedimento emanando ove favorevole.

Da un punto di vista più generale, occorre partire dalla considerazione che i bisogni della Vittima possono essere efficacemente tutelati se vengono qualificati e definiti come “diritti”dalla Legge, come il diritto a essere informati, assistiti, protetti e non solo a ottenere il risarcimento dei danni subiti, mentre sarebbe carente sul piano dell’annissione dell’imputato ai programmi riparativi.

Sul punto va, comunque, segnalato che la stessa Comsulta ha escluso, di recente, un “obbligo”dell’avviso alle Parti della possibilità di accedere ai programmi riparativi, stante la possibilità di avvalersi del difensore che potrebbe assicurare l’assistenza tecnica necessaria ai fini della richiesta.

Tuttavia, anche in questo caso, occorrerebbe guardare alla Riforma dal punto di vista delle Vittime, per le quali il crimine è, innanzitutto, una violazione dei suoi diritti e dei bisogni che rientrano nel più generale diritto di diesa delle stesse che il Legislatore pare avere reso minimale sulle questioni più essenziali .

Gli studi di vittimologia hanno analizzato i bisogni effettivi delle Vittime di reato, evidenziando che all’offeso non importa solo e non tanto ottenere la punizione del colpevole o un risarcimento economico, sebbene costituiscano aspettative pienamente legittime, ma l’esigenza maggiore è costituita da quella di essere ascoltata, di essere riconosciuta come tale e di essere “curata”, dopo il trauma derivante dal reato e dalle sue conseguenze in tutti gli ambiti della sua vita e non dunque solo sul piano patrimoniale.

In questa prospettiva, sono certamente importanti l’assistenza di un legale nel procedimento penale ed il risarcimento dei danni riconosciuto alla persona offesa nella sentenza di condanna dell’imputato, anche se tutto questo non potrà reintegrare del tutto la perdita subita.

Rimarrà sempre per la Vittima, un “vissuto doloroso” condivisibile solo con chi ha vissuto la stessa esperienza che giammai può compensare“il denaro del pianto” di latina memoria....….

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