Giustizia riparativa: luci ed ombre sulla impugnabilità delle ordinanze di diniego

Dopo alcune sentenze della Suprema Corte, che hanno affermato la non impugnabilità delle ordinanze di diniego dell’accesso alla Giustizia Riparativa,si aprono i primi spiragli sull’ammissibilità della stessa, sia pure in casi specifici,

Mercoledi 18 Settembre 2024

La Cassazione,Sez. III, con la sentenza n.33152/2024 del 7/6/2024 (in calce), emanata in relazione alla impugnazione proposta avverso un provvedimenti di diniego dell’invio dell’imputato ai programmi riparatori,come sancito dall’art.129-bis del CPP,.ha stabilito che,in base alla norma dell’art.586 CPP,l’impugnazione,diversa da quelle in materia di libertà personale,può essere proposta unitamente all’impugnazione contro la sentenza, salvo diversa disposizione di legge.(v. L. Radi, L’impugnabilità delle Ordinanze di diniego, in Riv Avvocati,3/9/2024).

Invero,la questione,in precedenza, era stata già esaminata dalla stessa Cassazione in senso negativo.

In particolare,con una recente decisione,la S.C. aveva escluso l’ammissibilità del ricorso avverso l’ordinanza di diniego,sulla base della affermazione che il procedimento riparativo non avrebbe alcuna natura giurisdizionale e,come tale, l’impugnazione delle ordinanze deve essere ritenuto inammissibile poiché l’oggetto e la finalità del percorso riparativo sono essenzialmente diversi da quelli del processo penale e non possono in entrambi operare gli stessi principi (v. Cass Sez. 2,sent 6595 del 12/12/2023,dep. 2024)

Anzi,l’avvio del percorso di restorative justice può addirittura prescindere dalla sussistenza di un procedimento penale in corso.

Secondo gli Ermellini,ciò deriva perchè, all’interno del procedimento riparativo, operano regole peculiari non mutuate da quelle del processo penale al punto di essere spesso incompatibili,come la volontarietà,l’equa considerazione degli interessi tra autore e vittima,la consensualità,la riservatezza e la segretezza del procedimento riparatorio. .

Da tali premesse la Cassazione, dalla sentenza innanzi citata,fa derivare una serie di ricadute di notevole impatto operativo.

Anzitutto,viene affermata la natura discrezionale,non gravata da alcun onere motivazionale,della decisione di diniego e, in conseguenza,la non impugnabilità del provvedimento con il quale il Giudice non accolga l’istanza avanzata dalle Parti, respingendo,anche,la domanda di sospensione del processo.

In particolare,la S.C. precisa che ammissione al programma ripartivo non può essere neppure richiesta alla Corte stessa né, in sede di legittimità,si può invocare la sospensione del procedimento penale pendente per consentire all’imputato ricorrente di partecipare ai percorsi riparativi.

Pertanto,durante il giudizio di legittimità le Parti dovranno rivolgere la relativa istanza al Giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. ai sensi dell’art.45 ter Disp Att. CPP.

Tali affermazioni di principio avevano,da subito,suscitato le perplessità della Dottrina prevalente,specie in ordine alla illegittimità della norma procedurale emanata dal Legislatore (v. Bonini-Maggio,L’impugnazione dei provvedimenti a caratura ripartiva, in Sistema Penale), come già riportato sulle pagine di questa Rivista,.

Come affermano gli Autori dell’articolo citato,”in questa primissima fase applicativa, l’ermeneutica della complementarietà funzionale fra i modelli impone di mettere in risalto la multiformità di atti e provvedimenti “a tema riparativo ”disegnati dal d.lgs. n 150 del 2022,le conseguenze dell’incorporazione del rigetto in un atto avente natura processuale, le ripercussioni della sindacabilità sulla discrezionalità dell’invio,i contenuti centrali del “favor reparationis”

In definitiva,.il commento afferma la natura processuale del provvedimento di diniego e,non già,la non giurisdizionalità della decisione del Giudice che finirebbe con il reprimere le ragioni del consenso,ovvero dell’eventuale dissenso delle Parti, espresse,con l’assistenza dei propri difensori,in udienza..

In precedenza ed in senso favorevole a tale opinione era anche il Tribunale di Genova,con un’Ordinanza dep. il 16/11/2023,con la quale,nella prima parte (quella più attenta alle ragioni della difesa dell’imputato) il Giudice ligure, ,in relazione alle modalità di invio ai Centri stabilite dall’art. 129-bis CPP.,giungeva alla conclusione, ragionevole ma non scontata,che “vi siano soverchie difficoltà ad ammettere un programma di giustizia riparativa nel corso di un processo (e ancora più di un procedimento) allorché l’imputato (o l’indagato) contesta la fondatezza dell’accusa” ovvero la Vittima o i suoi familiari, se deceduta,affermi la propria recisa e motivata opposizione (come, per contro, avvenuto ad es. nel noto Caso Maltesi).

Da qui deriverebbe, secondo l’Ordinanza genovese,la necessità per il Legislatore, di intervenire su questo punto nodale per assicurare un effettivo esercizio del diritto di difesa nell’ambito del procedimento, prima ancora di avviare il percorso riparatorio dinanzi ai Mediatori.

Si tratta di una decisione che trova anche il consenso della Dottrina (v. O. Mazza,commento della Ordinanza genovese), secondo quale la giustizia riparativa, così come disciplinata dal D.lgs. n.150/2022, costituirebbe un procedimento incidentale che nasce dal processo principale e che,in caso di esito positivo, conduce alla risoluzione alternativa della controversia,ossia all’estinzione del reato procedibile a querela,ovvero determina notevoli effetti penali sostanziali in termini di diminuzione e di sospensione della pena comminata ed,in conseguenza,avrebbe natura giurisdizionale e non altro..

Il procedimento incidentale, avrebbe,comunque,su quello principale,anche in caso di esito negativo,in quanto il Mediatore è costretto a riferire al Giudice circa l’impossibilità o l’interruzione del dialogo riparativo.

La Direttiva Europea (art. 12, c. 1, lett. a, Dir. 2012/29/UE) lo precisa ancora una volta,senza prestarsi ad equivoci,laddove afferma che «si ricorre ai servizi di giustizia riparativa soltanto se sono nell’interesse della Vittima» il cui consenso è essenziale all’avvio del procedimento.

Sul punto,l’Ordinanza genovese si preoccupa del fatto che la persona offesa, non costituita parte civile,non debba nemmeno essere sentita,come pure sottolinea come all’imputato e al suo difensore, non è riservato un trattamento migliore, posto che la sua interlocuzione non vincola in alcun modo il Giudice nella sua decisione. .

Ancora peggio avviene,quando la decisione è assunta dal PM,ossia dalla controparte della difesa,con buona pace della parità tra le parti imposta dall’art. 111 c.2 Cost.,poiché «alla luce dei principi che reggono il “giusto processo”,non è ammissibile che una parte,il PM, pos­sa obbligare un’altra parte,l’imputato(ma, ancor più la parte offesa),a tenere un determinato comportamento che rientra a pieno titolo nella strategia e nelle prerogative difensive,ossia nell’esercizio di un diritto co­stituzionale, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento dall’art. 24, c. 2, Cost., senza possibili deroghe o limitazioni»

A tanto si aggiunge che l’invio al Centro per la giustizia riparativa può essere anche disposto d’ufficio dal giudice, e ancor prima dal PM, senza dover tener conto della volontà espressa dai soggetti interessati e senza che la scelta operata dal Giudicante ne determini la successiva incompatibilità al giudizio.

L’Autore citato sottolinea,inoltre,che,nello sviluppo del procedimento incidentale non sono previste le garanzie fondamentali del diritto di difesa,a partire dall’assistenza del difensore,al quale è consentito di presenziare solo al primo incontro, quello finalizzato a raccogliere il consenso all’avvio del programma,e,all’ultimo,quello deputato alla formalizzazione dell’esito riparativo sul piano materiale poiché già avvenuto a sua insaputa attraverso la Mediazione Penale svolta nei Centri istituendi..

Tuttavia, sulla questione occorre pure ribadire che il diritto di difesa è inviolabile in ogni stato e grado del procedimento,compresi i procedimenti incidentali.

Non è,quindi,ammissibile che l’iter della Mediazione venga condotto in assenza del difensore, addirittura con l’espressa previsione del divieto,per quest’ultimo,di presenziare agli incontri previsti..

Nonostante i rilievi sollevati dalla Dottrina prevalente,la Suprema Corte,con la nuova sentenza in commento,ha motivato la decisione assunta sulla base di una pluralità di argomenti.

  • In primo luogo, ha richiamato il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, di cui all’art. 568, comma 1, CPP.

  • In secondo luogo, ha osservato che i provvedimenti di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa non sono riconducibili alle sentenze o ai provvedimenti sulla libertà personale, per i quali l’art. 111, settimo comma, Cost. prevede l’ammissibilità del ricorso per cassazione.

  • In terzo luogo, ha escluso che la mancata previsione nella norma dell’impugnabilità dell’Ordinanza di rigetto dia luogo ad una illegittimità costituzionale.

La Corte ha riaffermato,come avvenuto in altre decisioni,che il procedimento riparatorio “non è un procedimento giurisdizionale,ma un servizio pubblico di cura relazionale tra persone,non costituisce del procedimento penale ed è retto da principi differenti rispetto a quelli regolativi di quest’ultimo” (!!).

Tale assunto deriverebbe dal fatto che l’accesso ai programmi da un lato,non può avere alcun effetto sfavorevole per l’accusato nel giudizio penale, e, dall’altro, non richiede  nemmeno l’esistenza di un procedimento penale in corso,perché è possibile ricorrervi anche dopo l’esecuzione della pena (art.44, comma 2, d.lgs. n. 150/ 2022),ovvero,nel caso di reati perseguibili a querela di parte,anche prima della proposizione della querela (art.44, comma 3, del D.lgs.),come evidenzia L.Radi a commento della decisione (v. articolo citato).

Nondimeno,riesaminando nuovamente la questione, la Corte ha ritenuto ammissibile l’impugnazione differita,ai sensi dell art 586 CPP,che riguardi l’Ordinanza emessa nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento, purchè essa abbia un’influenza giuridica sulle determinazioni e sul contenuto della successiva sentenza emessa nel procedimento a cui la stessa appartiene (!!).

Si tratterebbe,quindi,di un provvedimento che, in tali casi, per i suoi effetti rilevanti sul procedimento e sulla sentenza emessa può essere soggetto ad impugnazione...

Sul punto,peraltro,la Dottrina aveva già affermato,in maniera conforme,che la regola dell’impugnazione differita impone di attendere l’esito del processo per consentire di accertare,se e in quale misura,le decisioni e le Ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari o nel dibattimento,abbiano effetti sulla decisione finale,come ricordato dalla Corte.

Tuttavia la stessa Corte esclude che la decisione di accogliere o rigettare la richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa. possa avere un’incidenza giuridicamente rilevante sulla decisione finale,perché essa esplica un’influenza solo meramente eventuale che ricorrerebbe solo al verificarsi di ulteriori fatti del tutto estranei ed indipendenti dal procedimento penale e dal suo svolgimento,derivanti dal preogramma riparatorio avviato che esula dalla competenza del Giudice...

Dopo l’esercizio dell’azione penale,infatti,la norma procedurale prevede che il Giudice «può disporre, con Ordinanza, la sospensione del processo,per un periodo non superiore a 180 giorni, al fine di consentire lo svolgimento del programma ripartivo ma per il solo caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione ed in presenza di richiesta dell’impu tato (art.129-bis, comma 4, CPP.).

In conseguenza, in tutti gli altri casi ,l’invio degli interessati al Centro di riferimento per un programma riparativo,non può determinare alcuna sospensione del processo.

Obbietta la stessa Corte che,una interpretazione analogica dell’art.129-bis ,quarto comma CPP, si porrebbe in contrasto con il principio generale della eccezionalità dei casi di sospensione del processo desumibili,dall’art.50,comma 3, CPP.,e con l’obbligo costituzionale di assicurare a ragionevole durata del processo.

Inoltre,l’assoluta autonomia del processo penale rispetto ai tempi (congrui?), non individuati dal Legislatore per lo svolgimento dei programmi riparatori, deve ritenersi pienamente coerente con l'assoluta variabilità della durata dello stesso, dovuta esclusivamente “alle necessità del caso ed alla piena discrezionalità dei mediatori,come si evince, in particolare, dalla lettura dell’art. 55, commi 2 e 4, D.lgs. n. 150 del 2022”..

Risulta evidente che,in questi casi,solo l’esito positivo del programma riparatorio esplica effetti sul trattamento sanzionatorio poiché, la stessa norma dell’art 129-bis attribuisce rilievo proprio all’«esito riparativo» ai fini della riduzione della pena,in base aqll’art 133 CPP ovvero per la concessione delle ’attenuante di cui all’art 62 n.6 C.P.

La sentenza,in definitiva,ribadisce che dalla stessa norma procedurale,si evince la completa autonomia del procedimento riparativo da quello penale,purché lo stesso abbia ad oggetto reati perseguibili a querela soggetta a remissione,che costituirebbe l’unico caso di necessaria applicazione del provvedimento ammissivo e la necessaria sospensione..

In conseguenza ,secondo la S.C.,appare ragionevole affermare che l’Ordinanza di rigetto della richiesta di accesso può ritenersi giuridicamente influente sull’esito del processo, e,quindi,impugnabile, unitamente alla sentenza.

Inoltre,solo in tale ipotesi, è previsto anche che il Giudice possa disporre la sospensione del processo «al fine di consentire lo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa».

Negli altri casi,invece, significherebbe introdurre, di fatto, un obbligo di sospensione del processo penale non previsto dalla norma procedurale e tanto meno dal D.lgs.150 ovvero da altre specifiche disposizioni di legge, ed in contrasto con il principio generale della eccezionalità dei casi di sospensione del processo sancito da Codice di Rito all’art. 50, comma 3,CPP, come già ricordato..

Tale conclusione,tuttavia,non escluderebbe la possibilità di chiedere nuovamente al Giudice,dopo un provvedimento di diniego,un nuovo invio al Centro per la giustizia ripartiva.

In questo senso, infatti,depongono sia la forma della decisione,prevista come Ordinanza ,ossia un provvedimento generalmente revocabile,sia il riconoscimento di un’ampia possibilità di formulare tali richieste nel corso di tutto il giudizio e ,persino, in pendenza di ricorso per cassazione,come prevede l’art.45-ter Disp. Att. CPP.

Sulla base di tali considerazioni,la Corte ha rigettato l’impugnazione dell’Ordinanza di diniego poiché proposta fuori dei casi consentiti.

Nel caso all’esame della Corte,il rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa, formulata nell’udienza dei giudizio di appello,non è stata ritenuta idonea non avendo alcuna incidenza giuridicamente apprezzabile sulla decisione finale della Corte di Appello poiché la richiesta non si riferiva ad un reato perseguibile a querela soggetta a remissione e,pertanto,un suo eventuale accoglimento non avrebbe comunque comportato un potere-dovere del Giudice di disporre la sospensione del processo.

In conclusione,la Cassazione ha il merito di avere chiarito uno dei temi fondamentali del dibattito scaturito nella Dottrina sulla impugnabilità delle Ordinanze di diniego.

Si tratta,tuttavia,di un passo avanti per avviare una Riforma che,nonostante le prime isolate sentenze,tarda ad essere avviata e che sarà oggetto di ulteriori riflessioni sulla sua controversa impostazione e regolamentazione legislativa.

A seguito della mancata attuazione della importante Riforma,a distanza di oltre un anno dall’entrata in vigore 30 Giugno 2023, numerose sono le perplessità della Dottrina.(v.ex multis G. Daraio,Le pre-condizioni per la concreta operatività della ristorative justice)

Senza dubbio la concreta operatività,tanto della Riforma introdotta con il titolo IV del d.lgs. n. 150/2022 quanto del regime transitorio,come delineato negli artt. 92, commi 1 e 2, e 93 dello stesso Decreto,sono condizionate dalla futura istituzione ed attivazione delle attività complementari necessarie al funzionamento dei Servizi di giustizia riparativa.

Infatti,fino a quando non saranno istituite le Conferenze locali per l’attivazione dei “Centri per la giustizia riparativa” cui inviare le Parti,in pendenza dell’accertamento penale, (art.129-bis CPP) o, nella fase esecutiva un condannato o internato adulto (art. 15-bis l. n. 354/1975) o un condannato minorenne (art. 1-bis d.lgs. n. 121/2018), la Riforma non sarà mai completa.  .

Né si potrà fare ricorso,per la stessa ragione,alla disciplina transitoria dettata dal legislatore delegato per i “Servizi esistenti”(art. 92 d.lgs.n.150/2022),posto che il censi mento dei Servizi di giustizia ripartiva, erogati anteriormente all’entrata in vigore della Riforma,da soggetti pubblici o privati specializzati poiché è compito delle Conferenze locali redigere l’elenco delle strutture esistenti idonee ad ospitare i Centri.

La stessa disposizione transitoria dell’art.93 d.lgs. n. 150/2022, relativa all’iscrizione di diritto nell’elenco dei mediatori esperti dei soggetti in possesso di determinati requi siti alla data di entrata in vigore della riforma,richiede, a sua volta, altre disposizioni attuative.

Inoltre, occorrerà istituire, presso il Ministero della Giustizia l’elenco dei Mediatori esperti, s in deroga al regime stabilito nell’art. 59 secondo criteri per la valutazione delle espe rienze e delle competenze ai fini dell’attribuzione della qualifica di “formatore”, ossia di soggetti legittimati ad impartire “formazione pratica” dei Mediatori presso i Centri. Vi sono, dunque, alcuni passaggi essenziali i da compiere, sul piano tecnico-organizzativo ma anche politico-amministrativo, da parte del Governo, delle Regioni e degli Enti locali affinché il nuovo sistema possa cominciare a funzionare.

Tale assetto dovrà tenere conto, in base all’art. 63, comma 5, d.lgs. n. 150/2022, delle esperienze di giustizia riparativa in atto; delle risorse umane,strumentali e finanziarie disponibili; del fabbisogno di servizi sul territorio;della necessità che l’insieme dei Centri assicuri per tutto il Distretto di Corte di Appello,l’intera gamma dei programmi di giustizia riparativa e che ciascun Centro assicuri, nello svolgimento dei servizi,i livelli essenziali delle prestazioni,come stabiliti mediante intesa assunta nella Conferenza unificata di cui all’art. 8 d.lgs. n. 281/1997, in conformità ai principi e alle garanzie stabiliti dal d.lgs. n. 150/2022.

Il tutto dovrà,infine,tenere conto del limite delle disponibilità economiche del «Fondo per il finanziamento di interventi in materia di giustizia riparativa».istituito presso il Ministero della Giustizia a cui le amministrazioni che ospiteranno i Centri potranno attingere le risorse necessarie.

Soltanto allora si potrà procedere alla stipula,con le stesse Amministrazioni,dei «protocolli d’intesa»per la creazione e per la gestione delle strutture e dei relativi servizi;attività cui le amministrazioni interessate provvederanno «con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (art. 63, comma 6).

Tuttavia,é stata data facoltà agli Enti interessati (Regioni, Province autonome, Città metropolitane, Province e Comuni)ed alla Cassa delle Ammende, di «concorrere, nei limiti delle risorse disponibili nell’ambito dei propri bilanci, al finanziamento dei programmi di giustizia riparativa».

In tal caso, si è osservato, «i servizi saranno vincolati in favore dei residenti nel territorio dell’Ente territoriale medesimo .

Solo in quel momento si potranno impiegare mediatori esperti dell’Ente di riferimento o reperirne altri mediante la stipula di contratti di appalto ai sensi degli artt. 140 ss. d.lgs. n. 50/2016 ovvero con le Associazioni del terzo settore, individuate mediante procedura selettiva, di una convenzione ai sensi degli artt. 55 e 56 d.lgs. n. 117/2017 e dall’art. 64 d.lgs. n. 150/2022).

Una volta terminata la fase transitoria,i Centri per la giustizia riparativa,oltre a svolgere tutte le attività necessarie all’organiz­zazione,gestione,erogazione dei programmi di giustizia riparativa,dovranno farsi carico,con la collaborazione delle Università,della formazione «iniziale» e «continua» dei Mediatori Penal operantii.

Infine,a parte le criticità segnalate per la nascita delle strutture applicative ed il loro funzionamento,restano alcuni dubbi sul procedimento di invio delle Parti ai Centri che sono già stati esplicitati in questa stessa Rivista e che sono costituiti da:

a. l’avviso alle Parti di potersi avvalere del percorso di Giustizia Riparativa

b. l’accertamento del consenso ad accedere a tale percorso

c. il ruolo dei difensori nel procedimento e nell’ambito dei programmi riparativi dinanzi ai Mediatori Penali anche al fine di favorire il buon esito degli stessi

Sono tutte questioni altrettanto rilevanti da cui nasce la necessità che la Suprema Corte faccia chiarezza sulla normativa varata dal Legislatore o, almeno,è auspicabile che lo faccia in tempi ristretti..

In mancanza,l’impianto legislativo apparirebbe,sempre di più,come una vera chimera destinata a lasciare un pessimo ricordo di sé……

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